C'è una cosa che è stata dimenticata in tutta la storia del ministro che non ha potuto dire la sua e chi rivendica il diritto di contestarla. È stata dimenticata una cosa che si chiama contraddittorio. O confronto. Ed è di sinistra. O meglio, lo era
Quella del diritto al dissenso è stata sempre una motivazione di gesso: lo è perché nel nome del dissenso si possono fare cose prodigiose. Ma per paradosso amaro il diritto al dissenso è una cosa che attiene all’esercizio del libero pensiero in purezza. Perciò esso sta nella casa bella della democrazia, che però ha in pigione anche il diritto ad essere ascoltati. Un casino insomma, dove ragione e torto diventano un uroboro che concede pochissimi margini di manovra.
E tutto questo la sinistra dovrebbe saperlo più della destra. Perché la sinistra, per definizione, ha maggior consuetudine con la democrazia della destra. Ce l’ha almeno in Italia dove il post comunismo ed il riformismo blando non portano il giogo di peccati originali illiberali più o meno recenti.
Come ne usciamo quindi a proposito del “pasticciaccio brutto” del Salone di Torino? Come facciamo ad equalizzare il diritto della ministra Roccella a presentare un libro con il battage della suddetta che la rende poco gradita ad una certa parte ma pienamente in possesso del diritto di stare sulle balle senza vedere pregiudicate le sue prerogative di libertà?
Riassunto in breve
Facciamo un recap spiccio: la ministra della Famiglia doveva presentare il suo libro al Salone ma è incappata nelle proteste muscolari, nevrili e vibrate di quanti non le perdonano l’ortodossia retrò sulla maternità surrogata. In virtù di quelle proteste la ministra ha rinunciato a presentare il libro e su tutto si è innescato un siparietto crotalo fra il direttore Lagioia e la deputata di FdI Montaruli che gli avrebbe a suo dire latrato cose innominabili.
Perciò oggi abbiamo Giorgia Meloni che parla di fatto “inaccettabile e fuori da ogni logica democratica” da un lato; ed Elly Schlein che dall’altro proclama che “in una democrazia si deve mettere in conto che ci sia il dissenso” e poi la mette sul sanculotto-truce per cui “noi siamo per il confronto duro, acceso“.
A ben vedere quindi abbiamo una leader di destra e seguito annesso che invoca la democrazia di esprimersi malgrado il dissenso; ed una di sinistra con il suo, di seguito, che invoca il dissenso come sola realizzazione della democrazia. Due acque, due mulini e due fazioni assetate ma con la mineralità partigiana di chi non schioda dalle sue posizioni.
Il bandolo della matassa
È uno stallo messicano, non ci piove, una cosa dove tutti hanno l’arma carica e puntata e chiunque spari per primo non vince ma muore nel momento esatto in cui anche a lui sparano, perciò muoiono tutti.
Ora, sull’imperfezione splendida della democrazia bancali di menti studiate ci hanno speso più sudore di mille camalli genovesi e ci hanno scritto ettari di pagine. Pagine che hanno fatto massa critica in libri. Ecco, è proprio su loro ed a loro che dobbiamo appellarci per trovare il bandolo della matassa senza uscire stritolati dalle ganasce cervellotiche di un problema insolubile in punto di logica. Qui serve buon senso più che sinapsi attive, serve Guareschi più di Cartesio.
Per mettere da parte la faziosità che ammala ogni vicenda italiana da sempre bisogna riflettere su quello che da sempre è un libro. Con quei mucchi pressati di pagine ci puoi fare due cose: ponti se ne conosci il valore dopo averli letti e muri se ne conosci il potere dopo averli sfogliati.
Ecco, qui nasce il paradosso perché sulla questione morale e sulla superiorità intellettuale la sinistra italiana ci ha sempre e storicamente fatto surfate gloriose fin dai suoi albori. E lo ha sempre fatto in faccia ad una destra vista come un sacello di ottusità terragna. Una sorta di ameba muscolare capace solo di vivere dei moti della sua pancia e di flatulenze cognitive di basso rango ma senza mai concedere spazi di manovra all’avversario.
Il bello del confronto
Ecco perché stupisce e non poco che non si sia capito che Eugenia Roccella è molto di più di quel che pensa e che il suo diritto a dirlo è moltissimo di più del dovere di contrastarla. Si chiama contraddittorio e presuppone una cosa piccola ed immensa: che prima di dire ad un tizio che ha torto gli devi far esporre le sue ragioni e devi fare di tutto perché le esponga al meglio. E che dopo tante pagine sfogliate e tanti libri letti a sinistra questo non li sia ancora capito un po’ di mestizia la mette.
Perché la delusione arriva quando toppano quelli che credevi essere bravi, ed è delusione doppia: per loro e per te. Te che ancora una volta non hai saputo cogliere il distinguo fra uno colto ed uno intelligente.