La svolta rossa dello zar Nicola

La lunga marcia di Nicola Zingaretti è arrivata ad un bivio. Lo ha attraversato nelle ore scorse. Il suo endorsement a favore di Andrea Orlando per la segreteria del Pd segna una tappa decisiva. Esce dal suo ruolo di efficiente amministratore territoriale (provincia di Roma e Regione Lazio). Si ritaglia una dimensione nazionale.

Quella lunga marcia l’aveva iniziata da tempo. A fari spenti. Non per modestia. Rimanere nell’ombra è una necessità se si vogliono evitare le derive cannibaliste di un Partito capace di produrre leader per poi mangiarseli: senza sconti per padri fondatori, segretari politici, premier, candidati presidenti della Repubblica.

Gli scarponi li aveva calzati già da tempo: segretario nazionale della Sinistra Giovanile, presidente dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista (IUSY), vice presidente dell’Internazionale Socialista. Soprattutto, responsabile delle Relazioni Internazionali presso la Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra. E’ lui a portare a Roma il Dalai Lama. Poi la conquista di Roma: segreteria dei Ds, la candidatura e l’elezione di Walter Veltroni a sindaco della Capitale.

Poi la fase del cannibalismo. Che in poco tempo porta il Pd a mettersi nelle fauci Veltroni e Marino. E poi sempre bocconi più grandi fino a divorare nomi come Bersani, Letta, Prodi, Marini. A Zingaretti va di lusso: viene mangiato a metà. Si ritrova dirottato all’ultimo momento dalla candidatura al Campidoglio a quella per la Regione Lazio. E lui da uomo di Partito fa quello che gli hanno insegnato: riorganizza, entusiasma, aggrega, vince.

L’unico a vederlo quel percorso è stato Matteo Renzi. E’ per questo che a lungo lo ha annusato, ne ha diffidato, tentato di capire cosa stesse facendo questo Zingaretti da Roma e fino dove volesse arrivare. Ha cercato di assorbirlo, amalgamarlo ed incorporarlo nel suo Giglio Magico: proponendogli di sedere in una direzione politica nella quale Nicola rifiuta di entrare perché teme possa diventare una sorta di trofeo di caccia, bello da vedere ed esibire ma ormai incapace di azzannare. Ma nasce una sorta di patto di reciproca non aggressione

Ora, il momento della dimensione nazionale invece è arrivato. Nicola Zingaretti si è schierato con Andrea Orlando nella corsa alla segreteria nazionale del Pd. Contro Matteo Renzi. Il presidente della Regione Lazio ha detto: «Dobbiamo cambiare il Pd. Perché così non va. Ci vuole innovazione, protagonismo, coinvolgimento di chi ne fa parte, collegialità. Andrea Orlando credo possa rappresentare questa novità e quindi lo sosterrò nella scommessa che ha lanciato. Forza e coraggio, rimettiamoci in cammino. Dobbiamo allargare, rafforzare un campo di forze intorno al Pd, per un nuovo centrosinistra, altrimenti rischiamo di continuare con le sconfitte anche nelle elezioni amministrative e soprattutto, di isolarci nella ricerca di un progetto che ha bisogno delle idee di tutte e tutti. Serve un segretario che unisca. Bisogna ricostruire un rapporto positivo con chi ci ha voltato le spalle, i giovani in primo luogo».

L’Huffington Post ha descritto così la partenza di Orlando: «E’ stata lenta e apprezzabile. Seduto sulle poltrone del salotto di Vespa ci è sembrato moderato, ma soprattutto di un’altra stoffa rispetto gli arruffapopolo alla Emiliano o agli ex piddini incarogniti Bersani&Speranza old style. Orlando pareva di aver capito la lezione, seguendo il suo nuovo papà politico e principale sponsor Giorgio Napolitano, della serie ci si può candidare e vincere, perché no, nel Pd, senza dover cannoneggiare contro l’ex premier Renzi. Tempo 24 ore e questa tesi è passata nella colonna delle antitesi. Anche Orlando fedele a un vecchio copione ammuffito ha pensato bene di dire peste e corna contro Matteo Renzi, addirittura agitando il vessillo di una candidatura, la sua, contro la prepotenza, chiaro e palese l’evidente riferimento all’ex segretario Pd. Insomma Orlando non ha capito cosa è avvenuto dentro il Pd e l’aria che tira da quelle parti».

«A parte che ci vuole poco smontare l’impalcatura neo napoleonica dell’uomo ex funzionario di partito della federazione di Genova, basta chiedergli cosa ci stava a fare nel governo del prepotente Renzi. Oppure dov’era Orlando (e la ministra Pinotti) quando c’era la campagna elettorale per prendere voti e vincere la sfida della regione Liguria, vinta alla grande dal forzaitaliota Toti. Ma quello che più ci ha sorpreso di Orlando è la sua idea di sinistra, intenzionato a cambiare pure questa insieme al segretario e forse al premier. Per farla breve: sostanza. Orlando per avere una minoranza che lo segue deve parlare di idee, di programma, di cose da fare e non replicare la guerra a Renzi che oggi chi sta dentro il Pd guarda sempre più con insofferenza. Non segua, Orlando, i modi del neoborbonico Emiliano che, alla fine della fiera, nulla hanno a che fare con la tradizione prima comunista e oggi piddina».

Dopo il Patto per il Lazio era sembrato che Nicola  Zingaretti e Matteo Renzi fossero vicinissimi, ma il Governatore del Lazio non ha mai voluto chiudere davvero l’accordo. Ora si ritrova con Orlando in una battaglia politica nella quale dopo niente sarà più come prima. Se Matteo Renzi dovesse vincere il congresso, accelererà su tutto. Dalle elezioni politiche anticipate alla nuova segreteria politica. Ma soprattutto sulle candidature. Il monarca fiorentino ha già dimostrato di essere un “cannibale”. Anzi Il Cannibale

Forse Nicola Zingaretti si candiderà alle politiche. Resta il problema nel Lazio, dove si decide tutto al primo turno. Senza ballottaggio. Il Movimento Cinque Stelle è molto temuto dal Pd in questo tipo di competizione.

Per Zingaretti la scelta di appoggiare Orlando rappresenta un punto di svolta. Anche nei rapporti all’interno della sua maggioranza. Dove c’è Massimiliano Smeriglio, che ha tenuto a battesimo i Democratici e Progressisti. Con Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Enrico Rossi e Roberto Speranza.

Non a caso Massimo D’Alema ha aperto ad Orlando…

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