La vendetta dell’underdog Giorgia è stata Chiara

Non è Chiara Colosimo che è andata a presiedere l'Antimafia. È Giorgia Meloni che è andata a dir al mondo che grazie alla generazione Atreju lei ce l'ha fatta. E la sinistra è in ritardo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Tutta colpa della biografia. E di Repubblica che ci ha fatto una contro-inchiesta ruvida come i respingenti di una Littorina. Poi di Andrea Palladino de La Stampa che ci ha fatto una contro biografia. E di tutti quei maledetti giornalisti che se trovano un tema (ma dove andremo a finire signora mia) lo sviluppano.

Il guaio primevo è che Giorgia Meloni ha ancora bisogno di parlare di come ha fatto ad arrivare da dove veniva più di quanto non abbia bisogno di parlare di dove vuole andare.

Il grande equivoco

Chiara Colosimo (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Da tutto questo poi nasce il grande equivoco per cui pare che la premier scelga sempre ciambellani identitari della destra muscolare al solo scopo di marcare il terreno ideologicamente. E invece lei sceglie solo specchi, simulacri del suo vissuto da underdog ma in versione “pezzotto”. Così Giorgia Meloni riesce a raccontare ed affermare sé stessa senza che sia lei in prima persona a farlo. In Europa vedono una leader matura e in Italia qualcuno ancora scorge una capo banda incazzata e sono tutti felici: Bruxelles, gli elettori e soprattutto lei.

Prendiamo Chiara Colosimo: sul nome dell’attuale Presidente della Commissione Antimafia la Meloni si è impuntata come raramente aveva fatto in passato. Il nome dell’ex consigliera regionale della Pisana era stato spinto dalla premier in un parossismo talmente muscolare che perfino i “papabili” della prima ora, quelli che a volte si bruciano e a volte vanno a briscola, avevano dovuto non solo recedere, ma dichiarare pubblicamente che recedevano.

L’esempio è lì, sotto gli occhi di tutti, basta fare un raccordo ex post. E riflettere. (Leggi qui: Diarchia in Antimafia: con Colosimo presiederà Cencelli).

Il raccordo ex post

Rita Dalla Chiesa (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Il 27 aprile un già lanciato Federico Cafiero De Raho aveva fatto capire a tutti che la metamorfosi da toga requirente a politico era compiuta ed aveva lanciato la candidatura alla presidenza per Rita Dalla Chiesa. Piccolo inciso: essendo la Commissione Parlamentare Antimafia organismo di garanzia per starci dentro essere “skillati” eticamente è molto più importante che esserlo tecnicamente, soprattutto se qualcuno ti lancia l’assist della Presidenza che come tutte le presidenze è rappresentativa.

A strettissimo giro di posta però la diretta interessata aveva risposto così: “Sono molto onorata di quello che ha detto Cafiero De Raho. Perché si vede che l’ha detto con affetto e lo ringrazio. Detto da lui è una bella prova di fiducia nei miei confronti. Ma io conosco i miei limiti, e per quanto sia tutta la vita che, bene o male, purtroppo mi devo occupare di mafia, se c’è una persona che io vedo per questo ruolo è mio fratello.

Ecco, la Dalla Chiesa, figlia di un martire di mafia con la greca, in quota maggioranza essendo forzista e di certo non immune da una certa sensibilità “fisiologica” sul tema, aveva detto di conoscere i suoi limiti. Ora, se in giro vi è qualcuno che possa sottoscrivere che i limiti (che ci sono) della Dalla Chiesa siano più discriminanti dei limiti di Chiara Colosimo e lo siano al punto tale da rendere digeribile che la seconda sia stata prescelta e la prima sia stata “demotivata” lo faccia. Lo faccia e chiami la Neuro però, noi gli saremo vicini.

L’altra lettura

Giorgia Meloni all’Altare della Patria

Il dato è un altro e appartiene ad una lettura che rese a suo tempo benissimo Davide Mattiello su Il Fatto Quotidiano. Il sunto era che dato che la sola ipotesi di non considerare un presidente della Commissione fuori dai “desiderata” della maggioranza era “romantica” ma irrealizzabile (giustamente e a ragione) e che tuttavia bisognava limitare i danni con il colonialismo egotico della Meloni la scelta di Rita Dalla Chiesa sarebbe stata ottimale. Il tutto anche a considerare che la Commissione ed i suoi cruciali lavori erano in ritardo. Tanto in ritardo che che dopo sette mesi di gestazione la “creatura” è nata nel giorno in cui si commemorava Falcone mentre invece sarebbe dovuta nascere in quello in cui si ricordava la strage di Gela del novembre ‘90.

Ma La Meloni non ha mollato (dire che chi lo fa è boia è di pessimo giusto, lo sappiamo) ed ha imposto una prova di forza. Chiara Colosimo è romana come lei, underdog come lei, arrivata in alto dopo aver scorticato il basso come lei, perfino minuta, tiroidea e battagliera come lei. Ha un passato di celtiche e profili social farciti con le foto di stragisti neri (ex non lo si è mai) ed è una che se pigia il tasto della modalità “urlare” non la battono neanche i cantanti di doom metal finlandesi.

Non è Chiara è Atreju

Chiara Colosimo (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Chiara Colosimo, appena eletta alla presidenza della commissione antimafia, sceglie con cura i termini. E dice che la mafia non può essere percepita come lontana nel tempo. Confessa di sentirsi «Piccola dinanzi ai giganti. Risponderò con il lavoro».

Non usa parole d’ordine. Non dichiara guerre che non potrebbe combattere. Nemmeno promette né olii di ricino né prefetti di ferro. È il realismo della destra nata dalla generazione Atreju. Un fenomeno sul quale la sinistra non ha ancora sintonizzato le sue antenne.

Se si parte da quel dato si capisce che non è Chiara Colosimo che è andata a presiedere la Commissione Parlamentare Antimafia, è Giorgia Meloni che è andata a dire al mondo che lei ce l’ha fatta. Grazie anche alla generazione Atreju. E che malgrado una vita scabra in esordio oggi può permettersi di richiudere i fantasmi nell’armadio.

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