La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la prossima fermata (Il caffè di Monia)

La sottile distanza che separa il momento in cui pensi 'Mi faccio i ca... miei' e quello in cui la coscienza ti impone di aiutare la povera pensionata che non ce la fa a salire sull'autobus. Senza sapere che la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la prossima fermata.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la prossima fermata. Ma quale viaggio dantesco! Lui, l’Alighierone nazionale il suo bel viaggetto se l’è fatto a piedi, il furbo. Al massimo una traghettata e credetemi non è la stessa cosa. Lui non ha visto niente, lui. Nè tutto il male e neppure tutto il bene. E soprattutto non ha visto Lei.

Ebbene sí, la vita del pendolare su ruota non offre solo sofferenze, ma anche spaccati di vita ed esperienze devastanti che chi è paciosamente alla guida di un’auto manco si sogna.

È come chi è stato davvero in guerra. Quello che si prova non potrai mai farlo capire a chi ha fatto il Car ad Ascoli Piceno ed aspettava il sabato sera per andarsi a gustare il pornazzo nel cinema della città con i commilitoni. E, fra le multiformi specie che colonizzano gli autobus che scarrozzano me, il mio trolley rosa comprato quindici anni fa, e le mie umane miserie su e giù per la provincia la specie più pericolosa fra quelle che si annidano come in savana fra i sedili di quei grossi mezzi spernacchianti è una, quella che il profano mai si aspetterebbe, quella non pericolosa, quella letale. Più del giaguaro, dello scorpione e dell’orca assassina.

Su un autobus, specie se corsa di mezza mattinata, quello che devi temere e tenere alla larga non è il senza tetto avvinazzato in crisi mistica e con l’accetta nella busta, non è il proto nazi che ti guarda prima di affettarti come un culatello, non è il 70enne agricolante che vuole chiacchierare e passa dall’essere piacione a stupratore in sei secondi netti se solo indossi una gonna al ginocchio e calze nere.

No signori miei, questi qua sono Ghandi, il reverendo King e Marcellino Pane e Vino a paragone di Lei, La Vecchietta con le Buste della Spesa.

Sale sempre alla fermata dopo la tua, quando ti sei già accomodata e stai cominciando a fare il nido nei tuoi pensieri. Solo che lei non sale, non subito. Resta immobile, ansimando a metà predellino, e ti guarda ingrugnita come a dire: “Non lo vedi che sono vecchia, carica, stanca e che con me ho sedici buste del Conad piene di frangiflutti di cemento?“.

A quel punto scatta in te un doppio meccanismo: quello mentale, per il quale piena di santo livore ti chiedi come diavolo avrà fatto a portare tutta quella roba per miglia cittadine intere e soprattutto, dato che ce l’ha fatta, perché cacchio stia guardando proprio te che prendi l’ernia solo ad impugnare lo spazzolino da denti la mattina.

Il secondo, quello probo e reattivo, che ti fa scattare, arrossendo per la tua stessa cattiveria di prima, a darle una mano.

E lì accade il dramma. Alla terza busta che issi su per le scalette del bus ti parte un tendine che trilla come la corda di uno Stradivari, ma devi resistere. Abbozzi un sorriso e, dopo aver issato a bordo roba sufficiente a ingolfare una nave porta container e sudato come un manovale di Matera ad agosto, ti sorbisci Lei, La Vecchina.

In quel momento lei ti guarda con il suo Secondo Sguardo: non di ringraziamento, no. Con L’Occhio di Sauron ti guata e senza parlare ti fa capire che “hai fatto il tuo dovere“. Ci sta. Ma non è finita lì.

L’autista, che si è goduto la scena e che è creatura malvagia, chiude le porte e accelera all’improvviso, proiettandoti la Vecchina che stava obliterando il biglietto, Le Buste e la Speranza Che Sia Finita, tutti assieme sullo sterno, subito sotto ai seni.

Sotto enfisema e con il plesso solare sfasciato, inviti la signora a sedersi e si, fai l’impensabile: per accelerare un processo che altrimenti ti vedrebbe morta in meno di seicento metri, la aiuti a mettere le buste sui sedili. Dato che sono sedici, praticamente ingombri ogni sedile del mezzo con un passeggero di plastica e alla fine hai i deltoidi come le spalline delle Guardie Reali inglesi.

Morta, torni al tuo posto con la consapevolezza compiaciuta di Aver Fatto il Tuo Dovere Civico e lasci che i tuoi glutei stremati atterrino sul sedile di quel maledetto pullman. Quando capisci cosa sta per accadere gemi, letteralmente guaisci. Nel mentre ti arrabattavi per fare tutte quelle cose il bus è arrivato a quattro fermate oltre e Lei, la Vecchina Con Le Sedici Buste, deve scendere. Mentre la sua testa con i capelli a crocchia e il collo grinzoso si girano lenti e inesorabili a cercare il tuo sguardo, sei file di sedili più indietro.

Vorresti provare a far finta di dormire, ma non puoi perché devi capire cosa sta accadendo. Lei ti fissa, non te lo dice, ma tu capisci: “Che fai? Mi hai fatta salire e ora non mi aiuti a scendere?“. 

Tu detergi la lacrima che ti scendeva sulla gota, inghiotti la maledizione sumera che stavi per urlare e, rassegnata, ti rialzi.

La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la prossima fermata e Dio c’è ma non viaggia in pullman. E quel gran furbacchione di Dante lo sapeva L’inferno…capirai!

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright