Lavoro e inquinamento: chi se la sente di prendere iniziative serie?

La devastazione ambientale del territorio: la Ciociaria assiste ad una deriva territoriale ed industriale. Non servono iniziative sporadiche. Occorrerebbe una strategia. Che tenga conto dei casi Saf e delle proteste. Ma ci sono gli uomini per farla?

L’incendio divampato domenica sera alla Mecoris di Frosinone impone una serie di riflessioni. Fatte a mente fredda, sgomberando il campo dal panico che ha colpito l’intera area nord della Ciociaria. E lasciandolo libero dagli aspetti giudiziari: saranno i carabinieri forestali, insieme ai tecnici dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, coordinati dalla Procura di Frosinone a stabilire cosa sia accaduto, se tutto si svolgesse in regola dentro allo stabilimento, se tutto fosse regolare nel rilascio delle autorizzazioni. La riflessione da fare è più ampia e profonda. Riguarda tutto il territorio e la salute di tutti.

Non a casa mia

Chi ha qualche capello bianco ricorderà la devastante crisi dei rifiuti che colpì la provincia di Frosinone nella prima metà degli Anni Novanta. Ne portiamo ancora le cicatrici: la discarica di via Le Lame a Frosinone con le sue montagne di spazzatura, decine di altre colline o buche simili in giro per la Ciociaria, sono la conseguenza di quell’emergenza.

Per chi non ha i capelli bianchi lo ricordiamo in due frasi. Fino a quel momento i camion dei Comuni ciociari e di tutto il Lazio portavano a Roma i rifiuti raccolti nei cassonetti e li scaricavano dentro la discarica a cielo aperto più grossa d’Europa chiamata Malagrotta. Andavamo lì perché nessuno voleva un impianto sul suo territorio: “Va fatto ma non a casa mia“. E per anni abbiamo finto che non esistesse la legge che vietava di farlo. Eravamo rimasti gli ultimi in Europa a gettare nelle buche i rifiuti così com’erano stati raccolti. L’Ue capì che per farci mettere in regola aveva una sola via: ci inflisse una multa da miliardi per ogni giorno fino a quando non avessimo smesso di uccidere l’ambiente ed ucciderci la salute.

Lo Stato incapace di far applicare una norma operativa da anni in Europa reagì nell’unico modo in cui era capace: dicendo “Arrangiatevi“. Chiuse Malagrotta.

A Frosinone c’era un giovane presidente della Provincia. Forse perché sostenuto dall’incoscienza dei giovani, si assunse una responsabilità: commissariò l’assemblea di sindaci che per anni non era stata capace di trovare una soluzione e diede finalmente avvio alla realizzazione dello stabilimento Saf di Colfelice. Un impianto pubblico, proprietà di tutti i Comuni in parti uguali a prescindere da quanti abitanti e quanta immondizia producessero. Lì da circa 25 anni si lavorano i nostri rifiuti, nessuno ci guadagna, ci dobbiamo ripagare solo le spese vive: il rifiuto lavorato diventa carburante per alimentare il termovalorizzatore di San Vittore (oggi comprato da Acea) producendo energia elettrica Quello che avanza viene interrato in una discarica privata, la Mad di Roccasecca. È privata perché nessun comune ha voluto sulla sua area una discarica pubblica.

Va detto con chiarezza: l’impianto spesso puzzava ed ha sempre recuperato poco. Ha funzionato al meglio che fosse consentito dalla tecnologia, tutte le inchieste a carico del presidente della Saf Cesare Fardelli si sono concluse con un’assoluzione. Le cose sono migliorate solo una quindicina di anni fa, quando Fardelli ha sostituito i macchinari con quelli di ultimissima generazione: è finito sotto inchiesta pure per quello. E pure per quello è stato assolto: nessuno è stato capace di dimostrare che fosse possibile fare di meglio e spendere meno. La puzza è diventata molta meno ma è rimasta. L’inquinamento nei terreni c’è: ma è lo stesso inquinamento che c’è anche prima dell’impianto e quindi al momento la scienza non può dire che sia stata colpa di Saf o Mad.

Il bilancio approvato ed il progetto

Nei giorni scorsi il CdA della Saf ha approvato il nuovo bilancio. È quello messo a punto dall’attuale presidente Lucio Migliorelli. Ha una competenza doppia: è uno che per professione lavora con i numeri ed i bilanci, è stato per anni nella segreteria dell’Assessorato regionale competente sulle discariche del Lazio e conosce a menadito tutte le leggi ed i decreti.

Il bilancio dice una serie di cose. La prima: abbiamo smesso di accumulare debiti (dovuti al fatto che alcuni Comuni non pagavano a Saf il lavoro svolto sui loro rifiuti) e ora c’è oltre un milione di utili; la cura Migliorelli ha rimesso in equilibrio i conti. La seconda: quel milione dimostra che ora siamo in grado di sostenere il mutuo con cui rifare da zero lo stabilimento, avviando il piano che prevede la soppressione delle attuali tecnologie Tmb (trito e vaglio i rifiuti, produco carburante per San Vittore, interro l’avanzo). Migliorelli lo ha detto appena arrivato in azienda: lo stabilimento così com’è è superato, va chiuso e rimpiazzato con una moderna fabbrica dei materiali. (leggi qui Inizia la chiusura di Saf, via ai lavori per la Fabbrica dei Materiali e prima ancora qui «Ingegnere, voglio chiudere la Saf». Pronto il progetto per la nuova Fabbrica dei Materiali).

Già oggi la puzza non c’è più. Perché anche qui c’è stato il coraggio di assumersi una responsabilità: nel momento in cui il presidente ha avuto consapevolezza che l’impianto non fosse più in grado di lavorare i rifiuti prodotti dalle cucine delle nostre case ha fatto l’unica cosa possibile sotto il profilo legale. Ha stoppato la lavorazione.

Ora mandiamo i nostri avanzi di cucina fuori provincia, Saf li lavorava ad 80 euro a tonnellata, siamo passati a 160 euro a tonnellata (a meno non si trova). Ma la puzza non c’è più, siamo all’interno della legge, non sarà un salasso così costoso per sempre perché ora parte la costruzione della nuova Fabbrica dei Materiali e torneremo a lavorarci tutto in casa.

La parabola Saf

Saf è lo spaccato della situazione presente in tutta la provincia ed il Paese. Non è più possibile interrare: siamo tanti, non c’è spazio. E quello che per noi è un rifiuto invece per altri è materia prima: il foglio sul quale sono stati annotati gli appunti per scrivere questo articolo tra poco sarà un ‘rifiuto’ ma per la cartiera che lavora a due chilometri dal nostro ufficio è ‘materia prima’.

Siamo in ritardo anche su questo. In Europa è già attiva da anni la normativa sul End of Waste. Che roba è?  Tradotto in italiano vuole dire  Cessazione della qualifica di rifiuto: un processo di recupero eseguito su un rifiuto consente di trasformarlo in nuova materia prima. La carta appallottolata con i miei appunti, fatta macerare diventa nuova cellulosa da cui ricavare altra carta.

Per end of waste si deve intendere, quindi, non il risultato finale bensì il processo che, concretamente, permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto.

Saf si sta attrezzando per fare questo. Ed il suo progetto è ora il più avanzato in Italia.

Mecoris, la fabbrica che è bruciata domenica, è questo. Il cementificio di Colleferro è questo: nella polvere di cemento c’è una parte che deriva da ceneri e macerie edilizie lavorate. C’è un’intera filiera industriale che sta nascendo e si sta sviluppando. Enorme. Vista la pubblicità Eni con Luca che non getta la bottiglia di plastica e nella quale dice più o meno “abbiamo imparato a ricavare il carburante dai rifiuti“?

Il futuro industriale

Il futuro industriale è questo. Se negli Anni 70 il futuro era l’Automotive, oggi il futuro è il recupero dei materiali.

Sbagliano quelli che protestano: come lo sparito gruppo andato nei giorni scorsi davanti a Marangoni per dire no alla riaccensione del termovalorizzatore? (leggi qui Marangoni, quando si chiude la stalla ed i buoi ormai sono altrove)

Dipende dal motivo della protesta. Se manifestano contro l’impianto in quanto tale, sbagliano. Hanno ragione se manifestano perché non si fidano di chi rilascia le autorizzazioni, se manifestano perché siamo in Italia e le cose vengono fatte molte volte senza nemmeno guardare, perché lo Stato è diventato un avversario del quale diffidare anziché essere una parte di noi che ci tutela.

Il vero problema non è la tecnologia. Ma come la si controlla, come la si autorizza, come la si verifica, come si monitora l’ambiente.

Hanno ragione a manifestare se pensiamo che a Vienna il termovalorizzatore sta nel centro della città e nessuno ci trova qualcosa di strano; se pensiamo che il nuovo lussuoso quartiere costruito alle spalle della Sirenetta a Copenhagen è realizzato intorno ad un maxi termovalorizzatore. Mentre qui da noi si muore di inquinamento. Una ‘Terra dei Fuochi’ a Vienna o in Danimarca sarebbe impossibile. Così come sarebbe impossibile una Valle del Sacco: chi ha consentito che quello scempio avvenisse? Chi ha autorizzati gli avvelenatori? Chi li doveva controllare? Sta qui la diffidenza dei cittadini.

Se anche qui ci fossero normative semplici, chiare ed uno Stato ‘amico‘ di chi fa impresa in modo serio, ‘avversario‘ degli avvelenatori, sarebbe tutto molto più semplice. Invece la realtà è l’esatto contrario. Al punto che, su questo territorio, industriali serissimi hanno rinunciato ad ampliare la loro azienda per non dover sopportare un’altra volta la via crucis con cui rivedere le autorizzazioni ambientali.

Così non cresceremo mai. Perderemo altre occasioni di sviluppo.

Muovetevi!

C’è qualcuno che, al di là degli annunci e delle iniziative ad intermittenza, se la sente di prendersi in carico queste problematiche a livello parlamentare? Prendersi in carico non significa mandare comunicati stampa o convocare delle conferenze per poi apparire sui giornali o sui social. Prendersi in carico non significa polemizzare con l’avversario politico. Ma prendersi in carico significa articolare e motivare per bene un disegno di legge, interagire con il Governo, coinvolgere le associazioni di categoria, promuovere delle vere e scientifiche analisi sui territori, portare il problema ai più alti livelli.

I parlamentari eletti in questo territorio, ma pure i sindaci e i leader dei vari Partiti ce l’hanno la voglia e la forza di fare una cosa del genere. Mettendo in preventivo che occorrerebbero anni e che anzi alla fine potrebbe non succedere nulla? Ma che però in ogni caso ne varrebbe la pena?

Perché la pena ne vale davvero, se consideriamo che il depauperamento industriale di questo territorio ha comportato il crollo dell’occupazione, la fuga dei cervelli e tutto il resto. Mentre gli spaventosi tassi di inquinamento del nostro territorio ha fatto impennare la curva di diverse malattie, ha distrutto l’habitat, ha scoraggiato gli investimenti e ha perfino messo le aziende in una difficoltà enorme.

Nel nostro territorio bisognerebbe soprattutto ricucire i fili tra la politica (nazionale, regionale, comunale), le associazioni di categoria, le parti sociali, i sindacati.

Non c’è più traccia di tutto questo. Qualcuno se la sente?