Le lacrime che Mattarella ci chiede di non versare su Cutro

Dall'Aula di un ateneo Sergio Mattarella mette a nudo le nostre ipocrisie. E sposta a spallate l’asse della tragedia nel mare di Cutro

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

C’è un immenso equivoco che non smette di tormentarci da quando ragioniamo per categorie kantiane. È quello della morale passiva. Nel mondo e nei suoi sistemi complessi ormai alberga un’etica in negativo che, come le immagini fotografiche, rimanda ad alcuni valori che vengono considerati “a prescindere”: immoti, scontati ed invocabili al solo declinarli. Valori come la democrazia che è diventata un diritto invece che una conquista.

Valori come la sofferenza, che è ormai melodrammatica contemplazione di tragedie invece che pungolo a non provarne più e a non vedere altri stretti nelle sue maglie chiodate. O valori come la pace, che invece di uno scopo con precisi percorsi didattici è divenuta paradigma parolaio.

I segnali di Mattarella

Foto via Imagoeconomica

Ogni tanto però accadono cose che ci mandano segnali potenti di come dovremmo tornare ad interpretare quei valori. E con essi, uomini che ci aiutano nel recuperare il loro giusto significato. Uomini come Sergio Mattarella, che dall’aula di un ateneo, cioè da uno spot pedagogico per eccellenza, ci ha ricordato che le cose brutte vanno combattute, non piante. Vanno sconfitte, non inzuppate nella retorica.

Con parole immense come l’eco delle urla che arrivano dai flutti di Cutro, dove a spegnerle è stata l’acqua salata nei polmoni scoppiati, il Capo dello Stato ha indicato la via e la via è l’azione.

Eccole, quelle parole potenti che hanno dato scacco alla lunga tradizione retorica di un Paese accovacciato beato a mirare le sue miserie: “Come in altri Paesi, il cordoglio deve tradursi in scelte concrete, operative, da parte di tutti: dell’Italia, per la sua parte, dell’Unione europea, di tutti i Paesi che ne fanno parte, perché questa è la risposta vera da dare a quel che è avvenuto”.

Le spallate all’asse della tragedia

Sergio Mattarella alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 2022/2023 dell’Università della Basilicata

Non è poco, perché quello espresso da Mattarella è un concetto che sposta a spallate l’asse della tragedia nel mare di Calabria. Lo sposta dalle diatribe sulle colpe e dai gemiti di empatia una tantum al piano dell’azione.

Non si scrive più alla lavagna cosa è tragicamente accaduto, no, si passa il cancellino sulla parte dell’equazione che quelle cose le fa accadere e si scrivono i numeri giusti che preludono all’azione.

Azione che è strada obbligata per qualunque esecutivo nazionale che voglia risolvere il problema invece che emendarsi dalla colpa. E per una comunità sovranazionale che la pianti una volta per tutte di usare l’orrore come spot pubblicistico ma quasi mai come step operativo per un legiferato comune e chiaro.

La chiave della pace

Sergio Mattarella a Crotone

La chiave di tutto è la pace, quella pace montessoriana che non è un valore “genetico” della specie umana ma una precisa e raggiunta condizione di equilibrio perfetto. Per arrivare alla quale bisogna formare coscienze. Donne e uomini che ne apprezzino più il percorso per arrivarci che il semplice raggiungimento. E che facciano tesoro degli sforzi e delle bestemmie per trovarla scrivendo regole certe che la preservino.

Pace nelle terre da cui partono i migranti, pace sulle coste dove essi appuntano lo sguardo spesso prima che gli occhi diventino cibo per saraghi voraci. Pace nei luoghi dove una cosa sacra come la vita non dovrebbe essere spunto di dibattito. ma dovrebbe essere punto univoco di approdo delle volontà di chi abbiamo delegato ad agire in nostra vece. Una pace attiva, scolastica, cercata, stanata, inseguita e perfezionata nelle parole di uomini senza preconcetti. E di governi con idee chiarissime per forgiarla.

Mattarella: siamo fabbri

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rende omaggio alle vittime del naufragio avvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro

Sergio Mattarella ci ha ricordato che non siamo esteti della Giustizia ma fabbri ferrai del Diritto e ci ha sbattuto in faccia, anche a chi delegando potrebbe cadere nell’equivoco furbo si sentirsi manlevato, la Verità Grossa. Scoprirla fa male almeno quanto male ha fatto coprire di legno laccato e terra grassa le membra sfatte di chi in quella verità ci sperava in rollio nel mare grosso: dovunque muoia gente devono esserci persone che studiano ed applicano i migliori modi possibili per non far morire più nessuno.

Che sia Ucraina o Congo o Canale di Sicilia o Afghanistan, di cui il Capo dello Stato ha ricordato l’epopea attiva degli italiani in soccorso delle vittime dei talebani, si deve agire. Perché “questa è la risposta vera da dare a quel che è avvenuto, a queste condizioni che, con violazioni di diritti umani e della libertà, colpiscono tutti, in qualunque parte del mondo“.

E ancora una volta la strada per una pace snella e decisa al posto di quella pingue e proclamata ce l’ha indicata un uomo che ha già buttato più e più volte il cuore oltre un protocollo che lo vedrebbe solo totem di legalità ma non alfiere di legge. Un uomo che un anno e passa fa è rimasto dove si trova ora perché semplicemente doveva farlo. E che adesso invita tutti a fare come lui. Perché non c’è altra via. Non più.

Non adesso che i morti di Cutro ci guardano.

(Leggi anche: Ventisei anni ed un’ultima poesia prima di morire)