Le mani sull’agenda rossa di Paolo Borsellino non erano “punciute”

L'agenda rossa di Paolo Borsellino non fu portata via da mani mafiose. Ma mani che agirono per conto dello Stato. A scriverlo è lo Stato

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Lo imparammo tutti da Masino Buscetta, cosa significasse “punciuto”: il pentito mandamentario di Porta Nuova lo rivelò a Giovanni Falcone in uno dei seicento interrogatori-fiume che poi diventarono la spina dorsale in procedura de “U’ Maxi”. Quello fu il processone a Cosa Nostra che diede ai Corleonesi il movente per ammazzare Salvo Lima, cercare nuovi protettorati politici ed inaugurare la stagione dei macelli.

Il “punciuto” è il mafioso affiliato ufficialmente, quello che pronuncia giuramento facendosi pungere con una spina di arancio amaro e che fa ruscellare gocce di sangue su un’immaginetta di Santa Rosalia che poi verrà bruciata dal padrino affiliatore. Ecco, a molti sarà sfuggito nel mainstream di ieri ma i giudici del Tribunale di Caltanissetta hanno scritto una cosa che in Italia non era mai stata scritta sul tema: le mani che rubarono l’agenda rossa di Paolo Borsellino nel carnaio di via D’Amelio non furono mani mafiose, ma mani dello Stato.

Omicidio di Stato

La strage di via D’Amelio

Ripetiamola ché forse non si è capita bene: una parte dello Stato ha certificato in punto di Diritto che un’altra parte dello Stato ebbe a che fare con una strage mafiosa in maniera diretta, attiva e non solo omissiva. In buona sostanza i giudici chiamati a pronunciarsi sul processo in merito al depistaggio sulla strage del luglio ‘92, nel depositare le 1500 pagine di motivazioni, hanno spiegato tra l’altro: A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra.

Rileggiamola smart: in mezzo ai pezzi fumanti dei corpi di Borsellino e dei cinque agenti di scorta, con i soccorritori anneriti da tritolo combusto e sangue cotto, c’era qualcuno autorizzato ad esserci che invece di mettersi le mani nei capelli e maledire la mafia approfittò del lavoro della mafia per togliere dalla scacchiera uno scrigno di segreti. Cosa conteneva l’agenda rossa di Paolo Borsellino? Il dossier Mafia-Appalti su cui la toga aveva raggiunto vette conoscitive e probatorie presunte tali da far scarrocciare di lato mezza Roma.

Altro che trattativa

Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica

Qui si pone un problema: è lecito pensare che qualcuno approfittò del lavoro della mafia o è mostruosamente provato che pezzi di Stato e “viddani” corelonesi ebbero un accordo preventivo e pianificarono via D’Amelio di concerto? Leggiamo: “Il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via d’Amelio“.

Rileggiamo smart: si, la pianificarono assieme, quella mattanza, anche perché è improbabile che chi abbia rubato l’agenda rossa si trovasse a passare di lì per caso e, sentendo il botto, ne abbia approfittato. Per approfittare di un carnaio devi sapere che carnaio ci sarà, e poi tuffarti nella ridda folle dei suoi effetti e fare il tuo lavoro.

Quelle pagine dicono altre cose orribili, orribili non perché della loro mistica non se ne sapesse nulla, ma perché una cosa è una vulgata complottarda, altra cosa è una sentenza motivata, quella fa storia ufficiale. I giudici parlano della “presenza di altri soggetti o gruppi di potere co-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino con un ruolo nella ideazione, preparazione ed esecuzione della strage di via D’Amelio” e spiegano anche un’altra cosa. Di solito la mafia corleonese, imbrigliata in papelli ed uso strategico del sangue per ottenere vantaggi, lasciava che fra una sua azione criminale eclatante e la successiva vi fosse un tempo di decantazione.

Digerire l’orrore

Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica

Quel range serviva a far digerire bene l’orrore che si era seminato, a far abbassare la soglia di attenzione di uno Stato ovviamente in allerta massima e sotto pressione con l’opinione pubblica. Poi soprattutto a garantire i processi decisionali romani che da quel feroce monito sarebbero scaturiti. Se picchi uno perché ti deve dei soldi gli dai il tempo di capire quanto fanno male le botte, di andare a trovare il denaro e di spiegare agli amici quanto tu sia pericoloso.

Con via D’Amelio non fu così, perché Paolo Borsellino ed i suoi furono spersi sull’asfalto meno di due mesi dopo che Giovanni Falcone ed i suoi erano stati depezzati a Capaci.La tempistica della strage di via D’Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto, di regola, a diluire nel tempo le azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali e ciò nella logica di frenare l’attività di reazione delle istituzioni“.

Rileggiamo smart: bisognava fare in fretta perché se Borsellino non fosse morto e se l’agenda rossa non avesse cambiato mano chi ci avrebbe rimesso non era la mafia, ma lo Stato. E allora è scattata un’altra mano, quella che un po’ ti aspettavi ma che non credevi venisse smascherata sulla carta dei faldoni, quella che ha preso l’agenda rossa.

Quella che è più rossa dell’agenda e che, a suo tempo – sta scritto – si alzò per giurare alla Repubblica. Rileggiamo. E inorridiamo.

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