Le monetine contro Craxi furono il suicidio della politica (di B. Cacciola)

Sono trascorsi 26 anni dal giorno in cui l'Italia imboccò il bivio che l'ha condotta ad oggi. Lo fece con la pioggia di monetine contro Bettino Craxi all'uscita del Raphael. In molti se ne sono pentiti. Le riflessioni di Cacciola. Che - in molti sostengono - all'epoca era lì. Oggi dice...

Biagio Cacciola

Politologo e Opinionista

premessa di Alessioporcu.it

Giurano che ci fosse anche lui. E che fosse in prima fila. Insieme ai militanti del FdG, il fronte della Gioventù del Movimento Sociale Italiano. Anche se nel 1993 il filosofo Biagio Cacciola aveva lasciato l’università da tempo. E pure il carcere: nel quale era stato detenuto alcuni mesi con l’accusa di ‘banda armata‘ perché Segretario del Fuan, il Fronte Universitario del Msi. Solo dopo si scoprì che invece di carnefice era vittima designata e volevano fargli la pelle sia i comunisti (in quanto militante fascista) e sia i fascisti (in quanto contrario alla lotta armata).

Quel 30 aprile del ’93 davanti all’Hotel Rapahel di Roma l’Italia imboccò un bivio. Mise fine alla parabola politica nazionale di Bettino Craxi, colpendolo sotto una pioggia di monetine.

Più di qualcuno ricorda che il professore del liceo di Frosinone fosse lì. È molto probabile perché ad organizzare tutto – ha rivelato anni dopo il suo amico Delio Andreoli – fu Teodoro Buontempo. Che scippò così l’azione al Pds, il Partito Democratico della Sinistra nato dalle macerie del Pci e diventato poi Ds e infine l’attuale Pd.

«Teodoro – racconta Andreoli che all’epoca era militante del FdG – arrivò da Montecitorio. In mano teneva due sacchettini piccoli. Si era fermato ad una tabaccheria per cambiare una banconota da 10 mila lire. Poi consegnò a tutti quel che dovevamo tirare». 

Monetine da 50 e 100 lire. Ma quel giorno volarono accendini, pietre, di tutto… Era la rabbia di un Paese. Che non capiva la votazione avvenuta poche ore prima: la Camera aveva negato l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Che nel suo discorso disse, in sostanza, “Si alzi chi, in questa aula, non sapeva come ha sempre funzionato il finanziamento dei Partiti. Personalmente lo sapevo da quando portavo ancora i calzoni corti“.

Cacciola quel giorno non c’era. Aveva avuto un feroce scontro con Gianfranco Fini, accusandolo di voler “risalire nei sondaggi grazie a ste piazzate“.

Dietro a quella piazzata c’era anche molto altro. A distanza di tanti anni è possibile rivedere quell’azione e rileggere cosa rappresentò.

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Il suicidio della politica (di B. Cacciola)

La degenerazione di Mani Pulite fece piazza pulita. Non tanto della corruzione, che è rimasta endemica, quanto della politica quella vera.

Lo spettacolo miserabile e suicida, per la politica, a cui fummo costretti ad assistere all’uscita di Bettino Craxi dall’Hotel Raphael di Roma il 30 aprile del 1992 è ancora impresso nei nostri ricordi. Guitti che lanciavano, su ordine dei Partiti ‘moralizzatori’ di destra e di sinistra, monetine che più tardi, metaforicamente, sarebbero state scagliate su di loro. Come diceva Pietro Nenni infatti i puri muiono sempre per mano di altri più puri di loro.

Fu cosi pure per quei Partiti d’allora che per trovare una giustificazione alla loro esistenza, indifferente dal punto di vista programmatico, si accanivano contro l’unico politico che avrebbe potuto trattare l’entrata nell’Unione Europea in modo diverso e più vantaggioso per l’Italia. Invece l’accordo con l’Europa fu consegnato ai nuovi politici prestati dalle banche proprio per questo servizio.

Craxi fu colpito proprio per questo. Per la sua capacità di non mandare a dire le cose in modo criptico. Come quando si alzò in Parlamento e chiese a un’aula, che rimase silenziosa, chi non avesse mai preso un finanziamento per il proprio Partito. A iniziare proprio dall’ex Pci, all’epoca Pds.

Fu cosi che Craxi rappresentò il capro espiatorio di un sistema che credeva di salvarsi sacrificando il più scomodo sei suoi esponenti. Fu la vendetta giustizialista di chi non tollerava la riscoperta di un socialismo ‘patriottico’ che correva (e corre) come un fiume carsico nella storia politica italiana e che non si riconosce nelle sue deformazioni ideologiche fasciste, comuniste e socialdemocratiche .

Per questo tipo di socialismo Craxi polemizzò duramente proprio sul settimanale l’Espresso contro la rigidità dell’interpretazione marxista da parte del bolscevismo e dei suoi accoliti.

Gli anni Ottanta craxiani rappresentarono una forma di ‘sovranismo’ reale  e democratico che niente ha a che fare con le parodie contemporanee. Basta ricordare Sigonella per capire quanta indipendenza c’era nella politica italiana di allora rispetto alla subordinazione di ora nei confronti degli Usa.

La storia ha ora la sua nemesi, eliminati i giganti proliferano i nani.