Le parole antiche su cui Zingaretti può ricostruire il Pd

Il 90,8% della Convenzione a favore di Zingaretti è lo stesso risultato che la volta scorsa venne tributato a Renzi. Il nuovo Pd deve elaborare il suo passato se vuole costruire il futuro. Che passa per due parole chiave di ieri, valide soprattutto oggi.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Nel guardaroba politico della sinistra ci sono due parole che negli ultimi anni nessuno ha voluto indossare. E che oggi tutti fanno a gara per tirare fuori dall’armadio. La prima è Unità: invocata a gran voce da Piazza del Popolo nel giorno della prima grande manifestazione della sinistra ripresasi dalla batosta del 4 marzo 2018.

Nel nome di quell’Unità Nicola Zingaretti, Carlo Calenda e Maurizio Martina trovano un comune denominatore con il quale dare vita ad una lista unitaria alle prossime Europee. Sul territorio, il commissario Asi del Lazio Francesco De Angelis ed il presidente della Provincia Antonio Pompeo individuano un terreno comune sul quale costruire il futuro Pd in provincia di Frosinone.

La seconda parola è Rinnovamento. Insieme alla prima, viene dall’armadio culturale di una sinistra antica come Antonio Gramsci: “Noi siamo una grande forza democratica di trasformazione e dobbiamo costantemente trasformare noi stessi se vogliamo essere al passo con le masse che ci candidiamo a guidare“. E anche “Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza, unitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza“.

Zingaretti, Martina e Calenda da un lato, De Angelis e Pompeo dall’altro, si riscoprono di fronte all’armadio di quei valori antichi. Che ora la piazza ha voglia di rivedere indossati.

Non è così semplice. Prima vanno regolati i conti con il passato.

Il fantasma Matteo

È una necessità imprescindibile nel momento in cui Francesco De Angelis consegna a Nicola Zingaretti il 90,8% dei voti alla Convenzione provinciale con cui iniziare a scaldare i motori per le Primarie del 3 marzo 2019. Perché quella stessa percentuale, precisa al decimale, “il cannibale” l’aveva consegnata a Matteo Renzi nella scorsa Convenzione: sezione per sezione, voto per voto.

Gli elettori sono gli stessi. Alle urne non è andato un inesistente popolo della sinistra antirenziana a gridare la sua voglia di ristabilire un Pd diverso.

Il voto di questo fine settimana non è opportunismo politico. Va detto che Matteo Renzi ha risposto con precisione all’esigenza di una fase storica: non è salito al potere con un golpe. Lo ha fatto dopo. Come tutti i satrapi del Ventesimo Secolo. E come loro è stato deposto. Perché il suo leaderismo, la sua inattitudine a costruire l’unità, non fanno parte del Dna della sinistra che doveva governare. Ha assolto in pieno alla funzione di una fase storica. Che ora è finita perché il popolo della sinistra ha respinto come estraneo, sviluppando una crisi di rigetto. E di disillusione.

Nessuno deve chiedere scusa di nulla ad alcuno, non c’è stato tradimento dei valori all’epoca.

Se non si parte da qui non è possibile accettare quel 90,8% della Federazione di Frosinone. Solo se si parte da qui è possibile turare fuori adesso la parola Unità.

Chi siamo, dove andiamo…

La parola più difficile è Rinnovamento. Nicola Zingaretti non può permettersi di commettere lo stesso errore di Matteo Renzi: sbagliare il rinnovamento.

Cosa significa rinnovamento della sinistra oggi? Cosa ha da spartire il Pd di domani con la Brexit sostenuta dal Laburista Jeremy Corbyn? E con il suo ‘no’ ostinato a rivedere la decisione di lasciare la Ue, attestandosi su una guerra di logoramento alla premier conservatrice May? O il futuro Pd è più vicino ad un Tony Blair che da tempo ripete la necessità di un nuovo referendum?

Cosa ha da spartire la sinistra italiana di domani con i gilet gialli e con Jean-Luc Mélenchon, i gilet jaunes sono dei sovversivi anti democratici politicamente vicini a Marine Le Pen? O è parte di un processo rivoluzionario che Macron non ha saputo intercettare ed imbrigliare, incanalando verso un percorso politico?

La sinistra moderna di rinnovamento alla quale pensa Nicola Zingaretti è una sinistra Europea, che si candida al rinnovamento anche del Pse – il Partito Socialista Europeo di cui è componente – oppure vuole essere una sinistra antieuropea come quella inglese e francese?

L’errore irripetibile

Rincorrere l’elettore leggendo i sondaggi e sintonizzandosi sulla sua pancia rischia di determinare un nuovo grave errore alla Renzi. Ed orientare la vela del futuro Pd verso una nuova e definitiva crisi di identità.

Ha ragione Zingaretti quando dice che è dagli errori che il Pd deve ripartire. E che deve tornare a prendersi il suo elettorato, attrarre i giovani con le loro passioni.

Il valore di riferimento della sinistra moderna italiana, oggi come ieri, è quell’immenso patrimonio che ancora può essere sintetizzato nella Questione Morale sollevata da Enrico Berlinguer quando nel 1981 evidenziò il problema dell’onestà della classe dirigente. Non denunciava solo episodi di corruzione individuale. Ma sollecitava a difendere le istituzioni dalla partitocrazia che le stava invadendo. E che alla fine hanno soffocato.

Quel patrimonio morale che vedeva in Italia due blocchi contrapposti a fronteggiarsi in ogni modo ma allo stesso tempo a rispettarsi e legittimarsi. Fino ad arrivare a vedere la delegazione del Msi al funerale di Berlinguer e quella del Pci alle esequie di Almirante. Lì nacque l’Italia che disse no alla violenza terrorista, salvando se stessa dal baratro.

Questo è il Dna. Dal quale partire per evitare crisi di rigetto.