Le primarie, quelli che vogliono vincere facile e… Jake La Motta

Quando Giuliano Pisapia partecipò e vinse le primarie del centrosinistra per scegliere il candidato sindaco di Milano tutti capirono che lo strumento democratico poteva mettere in discussione le leadership e gli equilibri consolidati. Da allora l’ordine non scritto, e tanto meno declamato, in tutti i santuari di partiti fu semplice: “Le primarie o si governano o non si fanno”.

Con buona pace degli esempi che arrivano dagli Stati Uniti: basti pensare alla sfida tra Barack Obama e Hillary Clinton o anche alle difficoltà che ha dovuto superare Donald Trump all’interno del suo partito.

 

In Italia le primarie si fanno soltanto quando il sicuro vincitore è nelle condizioni di “asfaltare” gli altri: Matteo Renzi prima ha surclassato Gianni Cuperlo e Pippo Civati, poi ha fattola stessa cosa con Andrea Orlando e Michele Emiliano. La lezione imparata nella sfida con Pierluigi Bersani gli è servita: controllare il partito è garanzia di trionfo.

Il Movimento Cinque Stelle è stato un anno a predicare la necessità di coinvolgere il popolo del web e di garantire una partecipazione oceanica per un risultato incerto. Adesso però candida da imperatore Luigi Di Maio, sia per la carica di candidato premier che di capo del partito. Beppe Grillo e Davide Casaleggio resteranno ben saldi dietro le quinte, ma sarà Di Maio a dettare regole e candidature. Alessandro Di Battista e Roberto Fico si sono sfilati soltanto perché, nel caso dovesse esserci il flop dei pentastellati, uno di loro potrà prendere il timone. Con la stessa metodologia di primarie tra un leader e sei o sette sconosciuti destinati a fare da sparring partner.

 

Dalle nostre parti Alfredo Pallone e Nicola Ottaviani, quelli abituati a vedere lontano, questo meccanismo lo hanno capito in anticipo, nel 2012. Organizzando primarie del centrodestra per la scelta del candidato sindaco Nicola Ottaviani che finirono con percentuali da far impallidire la Bulgaria in orbita sovietica.

Stesso discorso nel novembre del 2016, quando Ottaviani (da sindaco uscente) concesse l’onore della partecipazione alle primarie ad altri sfidanti per rimarcare che il centrosinistra invece non le faceva.

 

Insomma, a tutti piace vincere facile. Silvio Berlusconi, invece, le primarie non le fa e forse è questo l’atteggiamento più coerente.

 

Non che con i congressi vada molto meglio. Nel Pd finisce sistematicamente con un accordo “preventivo” e alla fine vince sempre Simone Costanzo. Mentre Francesco Scalia e Francesco De Angelis pensano alle candidature.

In Forza Italia nessuno si ricorda più chi e quando ha eletto Pasquale Ciacciarelli coordinatore. Ma non importa a nessuno, tanto tutti sanno che è Mario Abbruzzese a decidere ogni dettaglio, perfino le penne da acquistare per la segreteria.

 

La verità è che in Italia a tutti piace vincere facile, non si vogliono sorprese, l’inciucio ha operato la traslazione finale, passando da un accordo da non sbandierare a soluzione istituzionale. Nulla a che vedere con la Grande Coalizione tedesca.

 

In queste ore è morto Jake La Motta, a 95 anni. Il mitico Toro Scatenato reso immortale dall’interpretazione di Robert De Niro. Che c’entra con le primarie della politica, direte voi?

 

C’entra. Lui, Jake La Motta, affrontava a testa bassa ma a viso aperto, Ray Sugar Robinson, uno dei più forti pugili di tutti i tempi. Sapeva che sarebbe stato sfigurato, ma provava comunque a sovvertire il pronostico (una volta ci riuscì vincendo ai punti), infiammando il pubblico. Per un motivo: dava tutto, si metteva in discussione fino all’estremo (la vita) e dimostrava che sul ring era tutto vero.

 

Le primarie della politica italiana al massimo sembrano una fiction.

 

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