Le tre vite della Mandarelli: Socialista, con Renata, di nuovo con Memmo

Già assessora nella Giunta Marrazzo e consigliera regionale con la Polverini, oggi è la più votata nel Campo costruito attorno al Pd. «Schietroma e Ottaviani mi volevano fare fuori, ma non ci sono mai riusciti». Eletta con la lista civica dell’ex sindaco Marzi, con cui cominciò vent’anni fa. «L’ho fatto solo per lui, che mi tratta da sempre come un politico e non come donna o quota rosa». I retroscena della cacciata dalla Regione

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

«Quando ti buttano in mare aperto o impari a nuotare o finisci per affogare»: è la premessa della consigliera comunale di Frosinone Alessandra Mandarelli. Prima di dirlo una volta per tutte: ce l’ha con Gian Franco Schietroma e Nicola Ottaviani. Ce l’ha con il dirigente nazionale, coordinatore regionale e leader provinciale del Psi. E ce l’ha pure con il coordinatore provinciale della Lega ed ex sindaco di Frosinone.

Lei che in Regione è stata dal 2005 assessora nella Giunta di Piero Marrazzo e dal 2010 consigliera della Lista Civica di Renata Polverini. Nonché presidente della Commissione Sanità. Lei, Socialista, prima con L’Unione di centrosinistra e poi con il centrodestra del Popolo delle Libertà. Non si è mai tesserata con il Pdl, neanche con Forza Italia. Lei è Socialista craxiana, ma si tiene alla larga ormai da tempo dal Psi Frosinone: «Lì c’è il padre padrone». Parla di Schietroma.    

Alessandra Mandarelli

Perché ce l’ha così tanto pure con Ottaviani? Per tutto quello che le è capitato tra il suo esordio come amministratrice (assessora nella seconda Giunta Marzi) e la sua recente rielezione in Consiglio comunale: ancora una volta con la Lista Marzi. «Perché nella mia rubrica telefonica Memmo era, è e sarà sempre salvato come “Sindaco”, scritto tutto in maiuscolo».

Anche per questo, dopo Ottaviani, non ha sostenuto la candidatura dell’ormai primo cittadino Riccardo Mastrangeli. «Non mi sono candidata con lui e la mia parte politica per lasciare un messaggio: chi semina vento, raccoglie tempesta». A parte l’eloquente proverbio, dice “la mia parte politica”: il Centrodestra, a cui sente di appartenere ma contro cui si è schierata.

La più votata nel Campo Largo

Domenico Marzi (Foto © Filippo Rondinara)

È stata la più votata di tutti nel Campo largo progressista a sostegno di Domenico Marzi. Stavolta ha preso 424 voti: suoi e del suo ingombrante marito, l’avvocato Giampiero Vellucci. E viceversa: al contempo lei è la moglie ingombrante dell’Avvocato e collega. «Diciamo che è una bella lotta – dice Alessandra Mandarelli – ma lui è mio marito e mi ha sempre sostenuta». I loro voti, stavolta, non sono andati al Centrodestra: «Ho chiamato direttamente io Mastrangeli per dirglielo, che potevano evitare di venire a bussare alla nostra porta. Perché io stavo di nuovo con Memmo».

Racconta che Alessandra Sardellitti, dirigente provinciale di Azione e neo assessora nella Giunta di centrodestra varata da Mastrangeli, avrebbe detto a suo marito: «Non mi aspettavo di vederti dall’altra parte. Ho ancora le foto di tua moglie con Ottaviani». Non le va proprio giù: «Ma da che pulpito parte la predica. Quello di chi tradisce l’ideale (mai con i 5 Stelle e con FdI aveva detto il leader Calenda NdR) e viene premiato. Invece chi resta fedele viene ammazzato politicamente, come la sottoscritta ma anche più di recente le donne presentate alle Primarie finte del Centrodestra».

Poi ripensa a Schietroma, a quando era assessora regionale: «Una volta ad Aquino, durante un mio intervento a favore della candidatura di Schietroma al Parlamento raccontai quello che stavo facendo in Regione per conto dei Socialisti. Mi presero da parte e mi avvisarono: “Ma lo vuoi capire che devi stare zitta sennò questo ti caccia?! Se parli un altro paio di volte, questo ti caccia tra un anno”». Andò a finire in quel modo. «Avevo 38 anni, ero stata catapultata dal Comune alla Regione, non ero dentro i meccanismi politici, ero più pura».    

Il ritorno della Mandarelli

Alessandra Mandarelli (Foto © Filippo Rondinara)

Ora la Mandarelli ha 55 anni: età non richiesta ma rivendicata. Alla seduta di insediamento ha preso posto a fianco a Marzi: vestito scuro, castigato, austero. È una bella donna: la classica arma a doppio taglio in Politica. Si dice schifata da tanto maschilismo e sessismo: «Mi hanno trattata sempre come una donna, non come un politico, e pensavano che fossi controllabile come una bambolina».

Memmo no: «Marzi mi ha valorizzata quando non mi conosceva nessuno – sottolinea la consigliera Mandarelli -. È l’unico politico che ha sempre valorizzato il mio cervello e le mie capacità. Mi ha sempre tratta come un politico e non come donna o quota rosa. E non mi ha mai temuto e non è mai entrato in competizione con me». Schietroma e Ottaviani, stando al suo racconto senza peli sulla lingua, tutto il contrario.

Eppure fu indicata da Schietroma per ricoprire l’incarico di assessora regionale alle Politiche Sociali in quota Sdi-Rnp: Socialisti democratici italiani con la sperimentale Rosa nel pugno. Eppure aveva sostenuto Ottaviani sia nel 2012 che nel 2017, «dopo essere stata la punta di diamante della Giunta Marzi con le Politiche Giovanili e aver contribuito fortemente all’elezione di Michele Marini».

Stava col Centrosinistra, eppure poi è passata con il Centrodestra. «Ed è stata di fatto la sottoscritta a far diventare sindaco Ottaviani per la prima volta». Creò, nell’occasione la lista Città Nuove: «Al ballottaggio contro Marini vinse con il 53%. Oltre il 7%, ovvero duemila voti, glieli hanno portati i trentadue candidati di Alessandra Mandarelli». E aggiunge subito dopo: «Ho sempre più dato che ricevuto. Il racconto superficiale della mia carriera mi vede invece come una super premiata».

Chiacchierata con la Mandarelli

Alessandra Mandarelli con Francesco Storace e Giuseppe Patrizi
Consigliera Mandarelli, lei diventò assessora comunale a 35 anni. Poi le nomine in Regione tra centrosinistra e centrodestra. Ora il ritorno con Marzi vent’anni dopo nel ruolo di consigliera. Una rincorsa?

«Per ora una carriera al contrario (ride, NdA). Cominciai nella Giunta Marzi, con l’omonima lista allora di estrazione di destra: con candidati trasversali come il professor Biagio Cacciola e l’avvocato Filiberto Abbate. Decidemmo di appoggiare il sindaco che aveva cambiato il volto della città. E a noi non stava bene la candidatura di Ottaviani dall’alto».

È stata assessora con Marrazzo e presidente di commissione con la Polverini. Alle Comunali ha appoggiato Marzi e Marini e poi Ottaviani. Ma lei è di Destra o di Sinistra?

«Io sostanzialmente vengo da Destra, non sono di Sinistra. Oggi ho una crisi d’identità, ma rivendico la mia matrice interiore socialista. La Giustizia sociale è di Destra o di Sinistra? Finché la Destra è questa, io sto dall’altra parte. E penso che non siamo tutti uguali, ma dobbiamo avere gli strumenti per raggiungere i migliori risultati possibili in proporzione a noi stessi. I principi di Craxi sono completamente disattesi dal punto di vista amministrativo, politico e di attuazione».

Disattesi da Gian Franco Schietroma?

«Sì. Fui presentata come la punta di diamante della Giunta Marzi, per questo anche difficile da fare fuori politicamente senza che passasse inosservato. Ma c’è un detto in politica: “Promuovi per rimuovere”. Neanche due anni dopo, malgrado fossi impegnata con soddisfazione ed entusiasmo con l’assessorato comunale, fui chiamata a ricoprire il ruolo di assessore regionale subito dopo un nome forte come Anna Teresa Formisano. A suo tempo la vidi come una decisione assolutamente immotivata, qualcosa più grande di me. Sfido chiunque, però, a rinunciare a un incarico del genere. In realtà volevamo togliermi da Frosinone per non essere la candidata a sindaco dopo Memmo».

Come ha saputo dell’assessorato regionale?
Gian Franco Schietroma

«Mi avevano appena chiamato: “Assessò, assessò, corri! Ci sono quelli del Giro d’Italia che stanno smontando i cartelli del Comune. Mi trovavo in zona Madonna della Neve e ricevetti un’altra chiamata improvvisa, stavolta dal Padre Padrone (Schietroma, ndr). Mi disse “Se non sei seduta, siediti. Perché sei il nuovo assessore regionale alle Politiche Sociali della Regione Lazio”. “Ma tu stai scherzando? Non mi sono neanche candidata”, gli dissi. Stavo svenendo. Ero diventata l’unico assessore regionale socialista in tutta Italia. Sarebbero venuti persino dalla Sicilia a incontrarmi. Avevo una responsabilità enorme».

Dunque promossa dal Comune alla Regione per non farla candidare a sindaca nel 2007?

«Col senno del poi sì. Mi hanno chiesto di lasciar perdere tutto, anche lavorativamente parlando, perché avrei dovuto fargli fare bella figura. Una stakanovista secchiona come me, anche cocciuta, l’hai praticamente condannata a lavorare venticinque ore su ventiquattro. È quello feci, nella consapevolezza di essere inadeguata al ruolo. Mi misi a studiare e lavorare come una pazza. Con la complicità del grandissimo direttore regionale Mario Fiorito, per il quale ero il ventitreesimo assessore che affiancava. E che non rimossi perché ritenevo che la sua esperienza fosse importante. Dovevo diventare bravo quanto lui per poterlo dirigere».

I Socialisti la vantavano come Assessora. Dietro le quinte?

«Soltanto irriconoscenza. Evidentemente ruppi le uova nel paniere di chi pensava di farmi fuori nel giro di qualche anno con qualche buccia di banana sotto i piedi. Avevo una segreteria fatta completamente dal Partito, dove nessuno rispondeva direttamente a me. Non lavoravano per me, ma contro di me. Ero giovane e, col senno del poi, non mi rendevo conto di tutto questo. Non si aspettavano, però, che l’anziano direttore regionale non si spiegasse il perché e si mettesse al mio fianco per farmi imparare. Mentre covavano di togliermi di mezzo a breve. Forse temevano che potessi fare il sindaco dopo Marzi».

Come andò poi con la corsa alle Regionali?
Il Palazzo della Pisana, sede della Regione Lazio

«Iniziamo a correre coi Socialisti in cinque, ben distribuiti sul territorio. C’era il compianto Franco Celani e Memmino Merfi. Avevamo i numeri per eleggercelo da soli il consigliere regionale. Avremmo preso intorno alle ventiseimila preferenze. Queste persone avevano già i santini elettorali ed erano ormai in campagna elettorale. Invece poi ci dissero che si sarebbe fatto il listone dell’Ulivo, creato da Prodi. Nella sezione provinciale s’era sempre detto che non avremmo aderito. Andarono a Roma e tornarono dicendo l’esatto contrario».

Ci fu un confronto tra lei e Schietroma?

«Sì. Il Padre Padrone, quello che oggi butta avanti i giovani e dietro va a chiedere l’assessorato regionale a Zingaretti. Doveva scegliere uno solo dei cinque candidati. Proteste su proteste, erano già in campo. La sua soluzione fu mettere uno con il cognome suo, il suo cugino carnale Fabio Schietroma, per trovare la sintesi. Tutti, quindi, dovevamo spenderci per lui. Era un anno e mezzo che facevo l’assessore comunale, non ero dentro questi meccanismi politici, ero più pura. Ci credetti tranquillamente. Mi misi a pancia piatta, come faccio sempre, per fare la campagna elettorale per questo».

Piero Marrazzo ai tempi della presidenza della Regione Lazio (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Qual era la strategia?

«Era il consigliere uscente Rapisardo Antinucci, anche segretario regionale del Partito, che decideva tutte le nomine e candidature. Nel listino dell’Ulivo, contrariamente a tutti gli altri Partiti, non avevano messo una donna. Fu imposto nel listino Peppe Celli. I Socialisti frusinati allora si accordarono per lasciare entrambi i posti in lista ai Romani in cambio del potenziale assessorato in caso di vittoria di Piero Marrazzo. Lui propose il cugino. La candidatura in Parlamento la voleva Antinucci».

Al Partito nazionale stava bene?

«No, infatti il segretario Boselli gli ricordò ovviamente che si era imposto come unico candidato all’interno della coalizione. E in caso di elezione al Parlamento, sarebbe entrato un altro di un altro Partito. Non gli liberava il collegio. Lui di conseguenza diceva che, se non fosse stato candidato, non avrebbe dovuto esserlo neanche Schietroma. Pertanto erano entrambi bloccati».

Come si sbloccò la situazione?
Alessandra Mandarelli ai tempi del passaggio a destra

«Ero amica di Claudio Bucci, primo dei non eletti di Forza Italia. Gli chiesi di lavorare all’assessorato regionale con me. Mi ha aiutato a capire gli equilibri romani per dare risposte lecite ai cittadini. Gli chiesi di aderire al Partito non appena sarebbe entrato in Consiglio regionale. Lui fece questo passo. Io avevo imparato a nuotare, ma ancora non facevo la traversata. Però ho sbloccato le candidature ai due Padri padroni».

In che modo?

«Ho portato Bucci da Schietroma, che se lo è “venduto” ad Antinucci. Un’operazione da mille e una notte per l’allora neofita che ero. Ma non è stato mai riconosciuto pubblicamente. Da assessore regionale feci la campagna elettorale per Schietroma talmente bene che prese ottomila voti in un collegio notoriamente di destra come quello di Latina, dove non lo conosceva nessuno. Prese i voti nelle cantine dei miei amici di centrodestra».

In realtà, stando alla sua ricostruzione, stava remando contro di lei?

«Sì. Io lo sfidavo a convocare il Direttivo provinciale, in modo da dirmi che non mi volevano e me ne sarei andata. Lui il mio posto lo aveva promesso ad Anna Salome Coppotelli, ma c’era in ballo anche Laura, la figlia di Filippo Materiale. Materiale era Socialista, non Socialdemocratico. Una vecchia volpe: se avesse piazzato la figlia là, Schietroma la palla non l’avrebbe vista più. Lo avevano promesso anche ad Antonella Di Pucchio, che io avevo fatto tanto crescere come consigliere comunale di Isola del Liri. Mi ha voltato le spalle».

«Se avesse convocato il Provinciale, sarebbero usciti fuori i quattro nomi e tutti i giochetti. I romani non mi volevano cacciare, avevano capito che lavoravo anche per loro. Marrazzo non mi voleva mandare fuori. È bastata una chiamata a Materiale, che tra l’altro non sento da vent’anni, per sbloccare la situazione».

Cosa ha chiesto al professor Materiale?
L’ex sindaco di Castrocielo Filippo Materiale

«Gli ho chiesto cosa stesse succedendo visto che si parlava di candidare la Coppottelli invece di sua figlia Laura. Lui mangiò la foglia e fece arrivare a Marrazzo una lettera firmata dai segretari socialisti dell’area sud per dire che io ero l’assessore giusto».

«Di contro altrettanti dell’area nord che volevano mandarmi via. È in quel momento che si è spaccato il Partito, che si è spaccato tutto. E Marrazzo, vista la spaccatura, non ha potuto che chiedere perché non fosse stato ancora convocato il Provinciale».

Cosa c’è dietro quel vertice?

«Schietroma s’inventò al momento il Regionale, che in quel momento non esisteva, con gente di parte. Che, malgrado le evidenze e difese da parte mia, votò per la mia destituzione. Lo fece in un’aula di passaggio verso l’acquario regionale. La riunione durò dodici ore, roba da Tso all’uscita. Ero frastornata e sconvolta. Dopodiché fui estromessa e venne nominata la Coppotelli. Schietroma sosteneva che fosse negli accordi sostituirmi dopo un anno e mezzo, ma io non ne sapevo niente.

«Gli autisti, che diventano un pezzo di famiglia, mi raccontarono poi che la Coppotelli un giorno esclamò in auto: “Aveva ragione la Mandarelli, con questi non si può fare niente!”. Perché avrebbero voluto far fuori anche lei dopo un anno».

Passiamo alle Elezioni Regionali 2010.
Renata Polverini e Silvio Berlusconi durante le Regionali 2010 (foto Mistrulli / Imagoeconomica)

«Candidarono anche miei elettori. Tra questi Maurizio Ottaviani, presidente dell’Aipes, il Consorzio per i servizi alla persona nei Comuni della Media Valle del Liri. Allora andai a Roma a dire che non mi volevo candidare più. Mentre tornavo indietro, con entrambi i telefoni fino a quel momento bloccati e stanchissima dopo varie riunioni, iniziano ad arrivare tutti insieme centinaia di messaggi. Mi dissero di prendere l’auto e tornare immediatamente a Roma. Mi venne a prendere e mi accompagnò un collaboratore di mio marito».

Dove l’ha accompagnata?

«Quando arrivo, finisco in un’auto blindata di Forza Italia. C’era anche la mia futura assistente personale. Andammo nella sala riunioni di Silvio Berlusconi e fuori c’era un via vai… C’era anche Alfredo Pallone, all’epoca potentissimo Coordinatore del lazio e che poi ho scoperto galoppasse per i corridoi contro di me. Ma c’era anche Renata Polverini ed era la terza volta che la guardavo in faccia. Mi disse che stavo in cima al suo Listino elettorale. Praticamente in quota Presidenza. A quel punto faccio la campagna elettorale non solo per portare voti al Governatore e quindi al Listino ma anche alla Civica della presidente».

All’epoca fu attaccata duramente da Nicola Ottaviani, influentissimo in Forza Italia.

«Voleva prendersi il Partito, il Pdl. E mi attaccava sui giornali sostenendo che la mia fosse una candidatura calata dall’alto. Diceva che avrebbero dovuto scegliere i territori. Ma sinceramente da che pulpito parte la predica! In realtà non mi aveva perdonato il 2002 con Marzi. Lui non era riuscito ancora a diventare Sindaco e io stavo per entrare per la seconda volta in Regione. Faceva le crociate contro di me nei ristoranti, anche sotto i miei occhi. Riteneva che la mia fosse soltanto fortuna e non capacità».

Però lei ha sostenuto comunque Ottaviani alle Comunali.
Nicola Ottaviani

«Non avevo la forza politica di dire a Polverini, Abbruzzese e Fiorito di lasciar perdere Ottaviani. Anzi, per sotterrare l’ascia di guerra, ho creato la lista civica Città Nuove, che lo fa veramente diventare sindaco per la prima volta. Al ballottaggio contro Marini vinse con il 53% e oltre il 7%, ovvero duemila voti, glieli hanno portati i trentadue candidati di Alessandra Mandarelli. Ma lui ormai era sindaco e io, dopo la caduta della Giunta Polverini, non ero più nessuno. E io non ho preteso, anche se avrei potuto, l’assessorato attribuito a Carlo Gagliardi per conto della mia lista. Non potendo distruggere me, Ottaviani ha distrutto man mano tutti i miei».

Come si è arrivati poi alla sua candidatura con la Polverini?

«In vista della sua ricandidatura Ottaviani mi chiese una trasfusione di voti nella lista di Forza Italia. Mi disse di aiutare il Partito e di aderire in modo da averne uno alle spalle per candidarmi alle Regionali. Poi mi chiamò Francesco Zicchieri, era l’agosto del 2017 e lui aveva appena iniziato a bazzicare in Regione. Nel mentre, però, era diventato segretario della Lega. Io sinceramente non avevo tempo da perdere con Zicchieri».

Zicchieri, la new entry in Italia Viva di Renzi. Cosa voleva?
Francesco Zicchieri e Francesca Gerardi

«Voleva propormi la candidatura alla Camera poi assegnata all’eletta Francesca Gerardi. Ho rifiutato anche e soprattutto perché avevo creato un progetto dal basso a sostegno del sindaco Ottaviani. Volevo rispettare semplicemente gli accordi e sarei stata ricandidata al Consiglio regionale. Volevo essere eletta per una volta direttamente la gente, per evitare che dicessero ancora che sono stata sempre nominata. L’anno dopo ho scoperto che avrei dovuto fare la portatrice di acqua per Pasquale Ciacciarelli. Assolutamente no».

Voglia di vendetta contro Ottaviani?

«In realtà mi sono già vendicata. In dieci anni il primo atto che ho fatto contro Ottaviani è stato non fargli uscire il consigliere provinciale. Abbiamo sostenuto fortemente Fabio Tagliaferri, dirigente di FdI cacciato da una giunta di centrodestra dal sindaco, che è però il coordinatore della Lega. Voleva tenersi il Polo Civico che stava già dall’altra parte? Mi ero convinta che volesse sfasciare la coalizione affinché dopo di lui ci fosse il nulla. Allora, nel quadro del centrodestra, abbiamo fatto perdere il consigliere provinciale di Forza Italia per quattro voti. I miei non sono andati a votare».

I vertici di FI Frosinone, nell’occasione, hanno attaccato gli assenti: il sindaco di Piedimonte Ferdinandi e i consiglieri comunali Masecchia (Frosinone), Calvani (Cassino) e Naretti (Anagni). Ormai fuori del tutto dal centrodestra?
Gioacchino Ferdinandi, sindaco di Piedimonte San Germano (Foto: Michele Di Lonardo)

«Non mi sono candidata con Mastrangeli e la mia parte politica per lasciare un messaggio: chi semina vento, raccoglie tempesta. Marzi è sempre stato leale e, se fosse diventato sindaco, avrebbe valorizzato i suoi giovani come fece con me. A prescindere che fossero uomini o donne. Un uomo autorevole che avrebbe meritato di salire nuovamente a fare il Sindaco».

Non ha pensato minimamente al candidato del Psi?

«Schietroma ha sbandierato Iacovissi come la faccia giovane e nuova. Sono vent’anni che Iacovissi sta nel Partito Socialista. È bravo e preparato, ma l’ha tenuto in una scatola. Mi pare di vedere un ventriloquo. E quello è giovane politicamente come io sono la regina di Inghilterra. Non esiste il Socialismo all’interno del Partito Socialista della provincia di Frosinone. Non mi sento rappresentata e di stare insieme a loro».

Ma allora chi gliel’ha fatto fare a tornare in campo?
Il passaggio della campanella tra Ottaviani e Mastrangeli

«La molla è stata la chiamata a Mastrangeli, che davanti alla mia defezione ha lasciato intendere che in caso contrario avrebbe ricambiato il mio sostegno con un assessorato. Se non sei facile, diventi un nemico. Ho dato fastidio soltanto perché esisto e sono me stessa. A questo punto potevo essere parlamentare e andare in pensione facilmente. Invece ho cinque anni in meno di contributi versati e sono una dei pochi che non prende la pensione da consigliere regionale. Ho sempre più dato che ricevuto. Il racconto superficiale della mia carriera mi vede invece come una super premiata».

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