Il rischio di mandare in Parlamento un numero di imbecilli solo ridotto

Foto © Benvegnu' Guaitoli / Imagoeconomica

Le grandi manovre dei vari leader politici destinate a concretizzarsi soltanto dopo aver capito verso quale sistema elettorale si andrà. Ma l'assenza di un dibattito rischia di legittimare un metodo inaccettabile. Dettato solo dal taglio dei Parlamentari, voluto dal M5S. Il rischio è quello di ritrovarsi in parlamento un numero di incapaci soltanto ridotto. Mentre il vero tema è la necessità di selezionare la classe dirigente

Il nuovo soggetto politico di Matteo Renzi guarda al centro e, per costituire i gruppi parlamentari alla Camera, secondo autorevoli indiscrezioni, gli sherpa dell’ex rottamatore starebbero sondando anche la disponibilità di Mara Carfagna. Quindi di esponenti di Forza Italia. Mentre alcuni fedelissimi di Renzi, Luca Lotti e Lorenzo Guerini, almeno in questa prima fase, sembrerebbero intenzionati a rimanere nel Pd.

Al centro si è messo anche Carlo Calenda, con Siamo Europei. Da quelle parti staziona pure Forza Italia, con Silvio Berlusconi che però ha appena rinsaldato il legame politico con la Lega. Ma vedremo, il Cavaliere è il numero uno a far saltare tavoli e cambiare prospettive.

Sempre al centro c’è Cambiamo di Giovanni Toti, con un occhio attento e privilegiato nei confronti del centrodestra. Ieri a Fiuggi Lorenzo Cesa ha concluso la festa dell’Udc. (leggi qui Cesa a Fiuggi sposta al centro la rotta dell’Udc).

Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Quale spazio ha però il Centro in un sistema politico dove da un lato ci sono Lega e Fratelli d’Italia e dall’altro Pd e Cinque Stelle, che si avviano verso un patto civico in Umbria, primo mattone di una stabile alleanza? Dipenderà dalla legge elettorale. Un ritorno al proporzionale puro riporterebbe  l’Italia negli anni ’70-’80 e ’90. Con una serie di Partiti tutti indispensabili. A quel punto però il centro non sarebbe unico, ma formato da tanti… centrini. Con il maggioritario, gli schieramenti maggiori avrebbero una forza riconosciuta e sarebbe complicato per chiunque altri inserirsi. Forse è per questo che in realtà tutti aspettano di capire se e come verrà riformato il sistema elettorale.

Non si tratta di un banale cambio di metodo con cui contare i voti degli elettori e poi assegnare i deputati ed i senatori. È un modello diverso di Paese che si intende realizzare.

L’Aula di Palazzo Madama

Dal Dopoguerra siamo andati avanti con il Proporzionale: il numero dei parlamentari viene assegnato in proporzione al numero di voti presi dai Partiti. E poi le maggioranze nascono in parlamento, trovando un accordo. In seguito c’è stata la stagione del Maggioritario: chi vince, anche per un solo voto, prende tutto il collegio. Chi arriva secondo, anche per un solo voto, resta a casa. Ora siamo in una fase mista: una parte viene eletta con il proporzionale ed una parte viene eletta con il maggioritario.

La differenza sta proprio nel tipo di Paese che si intende far crescere: uno che discute ed è capace di arrivare ad una sintesi, oppure uno che per cinque anni deve osservare quanto realizza chi ha vinto. Ci sono vantaggi e svantaggi per ciascun metodo. Soprattutto ci sono stagioni che richiedono un metodo piuttosto che un altro.

Romano Prodi, Piero Fassino, Walter Veltroni, Francesco Rutelli © Imagoeconomica, Paolo Cerroni

Il grande dubbio è esattamente questo: il modo con cui stiamo arrivando ad un nuovo momento di cambio del sistema elettorale. Perché lo stiamo facendo? Il Paese è lento ed ha bisogno di un modello smart, senza il freno a mano rappresentato dai continui accordi richiesti dal Proporzionale? Fu la tesi spostata a suo tempo da Prodi, Veltroni, Rutelli e dagli altri ulivisti. Oppure abbiamo bisogno di un modello nel quale la condivisione e la prudenza siano centrali? Il rischio legato ad un Partito che chiede i poteri assoluti autorizzerebbe ad una svolta di garanzia fatta in questo modo.

Il vero nodo sta proprio nell’assenza di un dibattito che spieghi perché ora è necessario cambiare modello. È un rischio enorme: potrebbe passare il principio in base al quale chi ha i numeri si aggiusta la Legge Elettorale in base al criterio che gli fa più comodo per garantirsi il potere nella prossima tornata: è quello che fece il fascismo. Oggi sono M5S e Pd. Ma se il principio è questo, domani potrebbe essere la Lega o chiunque altro a fare una variazione, solo in forza dei numeri che può mettere in campo nel Parlamento.

Quel dibattito non avviene perché c’è ben poco da dire. Il cambio della Legge Elettorale oggi avviene solo perché si sta per tagliare il numero dei Parlamentari. E se si applicasse il vecchio metodo, i territori non sarebbero più rappresentati in modo coerente.

Ma perché li stiamo tagliando: non servono? Se non lavorano la colpa è la nostra che li abbiamo scelti; se sono incapaci, la colpa è sempre la nostra che li abbiamo scelti. Il timore allora è che li stiamo tagliando solo per una forma di rivalsa, invidia nei confronti dei privilegi che ancora la casta conserva. Se così fosse, il taglio non sarebbe la soluzione ma solo la riduzione del problema.

Foto © Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Occorrerebbe altro. Una seria selezione della classe dirigente. Cioè candidare ad andare in Parlamento solo gente che sia all’altezza del compito che gli viene richiesto. C’è stata una stagione in Italia, in cui questo avveniva. Se ne occupavano i Partiti: erano loro a selezionare. Le clickarie del Movimento 5 Stelle o l’apertura delle liste fatta da Antonio Di Pietro con il suo sciagurato Partito, sono state un disastro: hanno mandato a Camera e Senato alcuni campioni dell’incompetenza, paragonabili per inutilità a certi tromboni piazzati lì da Forza Italia, Lega e Pd per i motivi meno nobili; da igieniste dentali da ammirare ad inquisiti da tutelare.

C’è stato un tempo in cui Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano avevano un senso dello Stato così forte che arrivavano a candidare personaggi non iscritti ai loro Partiti. Ma che avevano una preparazione ed uno spessore fondamentali per il Parlamento. Li schieravano come Indipendenti.

Oggi ci si scannerebbe per aggiudicarsi quella candidatura blindata. Proprio perché manca la selezione. Ed i mediocri vanno avanti: perché alzano la mano, fanno poche domande, incassano lo stipendio a fine mese, come il mitico senatore Razzi ed il suo celebre consiglio “Prenditi lo stipendio e fatti i cazzi tuoi“. È chiaro che in questo contesto, tutto sembra superfluo e allora i Parlamentari si possono tagliare. Troppo comodo.

Se il problema è la qualità dei Parlamentari basta mandare in Parlamento persone adeguate. Tagliare, rischia di mandare alle Camere solo un numero di imbecilli ridotto. Ma sempre inadeguati resterebbero.

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright