L’epidemia colposa e le colpe che (forse) non sono un reato

Le accuse di epidemia non stanno in piedi. Lo ha detto con chiarezza un tribunale. Che non serviva. Perché era logico dall'inizio: non puoi punire per una legge che non c'era

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il Tribunale dei Ministri ha fatto il suo dovere e lo ha fatto senza briciole di equivoco sul tavolo del Diritto. Sentenziando che non è possibile imputare il reato di epidemia colposa all’ex premier Giuseppe Conte ed agli ex ministri Roberto Speranza, Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri e Alfonso Bonafede.

Era nell’aria, era intuibile anche dai profani. Ed era necessario. Perché il solo atto di piegare la Legge alle esigenze di rivalsa del dolore non è la strada giusta. Il dolore resta ma quello che dovrebbe sanarlo deve stare nel recinto della norma: altrimenti, tanto vale tornare a Mastro Titta a questo punto.

Non si cambia ad epidemia iniziata

C’è un dato di partenza sul quale, anche prima del pronunciamento del Tribunale, forse avremmo dovuto riflettere tutti: un reato è la violazione di una regola scritta con cui uno Stato si è dato ordinamento. Ma c’è un vincolo fondamentale: quella regola deve essere scritta prima che il reato venga commesso, un base al principio del “tempus regit actum. In buona sostanza vuol dire che non si cambiano le regole del gioco a partita già iniziata, sennò è comodo.

Tuttavia se accade un fatto sul quale non sono state previste regole allora violarle è impossibile perché quelle regole passibili di violazione non c’erano. Magari sarebbe stato opportuno che ci fossero ma questo è menu etico e politico, non giurisprudenziale.

E scendiamo nella polpa del fatto: quando in Italia arrivò il coronavirus le azioni di Palazzo Chigi assomigliarono un po’ a quelle del meccanico che nei film sci-fi deve studiare come funzionino di dischi volanti degli alieni invasori e brutti.

Come si può imputare ad un onesto capofficina di essersi fermato ai pistoni ed alle bielle e di non saper mettere mano per mancata formazione sotto il cofano di cosi che vanno a fotoni? Semplicemente non esisteva un precedente normato. E quindi non doveva esserci giurisprudenza attiva (non c’erano regole scritte ed operative sul tema). E se non c’era un precedente, non c’era giurisprudenza, nemmeno può esserci sulla mancata applicazione delle regole studiate e messe in casella sulla scorta di quello che abbiamo scritto dopo avere imparato cos’è il Covid-19.

Il reato di epidemia impossibile

Foto: Luigi Avantaggiato © Imagoeconomica

È difficile da capire con le immagini delle bare di Codogno in mesta e tremenda sfilata. È arduo comprenderlo con una campagna mediatica che si è buttata a carpiato sulle intercettazioni di un disorientato ex ministro della Salute Roberto Speranza che per noi era consapevole ed urticante sergente e che invece nelle stesse si è rivelato burba da vestizione in caserma. Ma è così.

Eppure i segnali c’erano tutti. Bastava coglierli nella giurisprudenza ordinaria. Uno dei reati contestati, quello di epidemia colposa, è stato sotto la lente degli ermellini di Piazza Cavour in più fiate. E la Cassazione lo ha scritto a chiarissime lettere. Lo ha fatto ammettendo “l’impossibilità di configurare il delitto di epidemia colposa nella forma omissiva, come da consolidato orientamento giurisprudenziale. Il reato in oggetto viene, infatti, considerato come reato a condotta vincolata, caratterizzato da un agire unicamente commissivo avente ad oggetto la diffusione di germi patogeni”.

Che significa? Che anche con casi già regolati da nome scritte in precedenza c’è reato non quando ometti di applicare una regola (che con il Covid non c’era) ma quando attivamente partecipi al moltiplicarsi dei contagi. Cioè per esserci reato non basta che non fai una cosa che avresti dovuto fare (ma per il Covid non c’era) ma devi compiere delle azioni con la chiara volontà di diffondere la malattia.

C’è la stessa differenza, per intenderci, che passa fra non mettere la mascherina in zona rossa (violazione non a caso sanzionata amministrativamente e deprecata moralmente) e con la febbre a 39 sputare in faccia al vicino metallaro che in lockdown ti ha terremotato i timpani con i Black Sabbath vanificando il tuo “ce la faremo”.

Il filone Zona Rossa

(Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

Resta in piedi il secondo filone e ce n’è un terzo, ma andiamo per gradi. Quello residuale dal primo “boom” mediatico riguarda la mancata applicazione della zona rossa e scivola nel terzo filone.

Che significa? Che dal primo fascicolo sono rimasti esclusi Attilio Fontana, Giulio Gallera e i vertici dell Cts: loro non sono ministri, su di loro dovrà pronunciarsi la giustizia ordinaria ed anche lì la pialla delle attenzioni mainstream ci è andata giù ruvida alla faccia di un garantismo che le testate usano a scatti e secondo umori editoriali. Posto che in punto di Diritto il più è ancora da accertare, in un senso o in un altro, e posto che le pressioni a non fermare il cuore economico del Paese ci furono e come, resta un fatto.

La mancata istituzione di una zona rossa è atto omissivo che avrebbe avuto senso come reato ex post, un anno dopo, quando cioè la zona rossa venne normata da un decreto. Ma agli esordi quella della zona rossa era un’opportunità strategica, non una regola violabile.

Il piano pandemico

Foto © Paolo Cerroni / Imagoeconomica

Il terzo filone è forse quello che con più polpa perché poggia su un normato già presente. Cioè qui la legge c’era ed era scritta ben chiara. Ed è quello del mancato aggiornamento del piano pandemico fermo al 2006. Lì la Procura di Roma dovrà accertare le eventuali omissioni dei tre titolari della Salute che furono in arcione negli anni in cui si intende presuntivamente commesso il reato di omissione: Lorenzin, Grillo e Speranza che ormai è un evergreen fascicolare.

Comunque andasse a finire in fascicolo o faldone l’impressione è che anche in quel caso possa arrivare il percorso sdrucciolo della competenza. Ma il senso è un altro. E’ quello per cui in Italia ci sono reati evidenti che si disegnano con l’inchiostro simpatico e reati evanescenti che si tratteggiano con la vernice indelebile.

E forse in questo caso elevare il benaltrismo al rango di categoria etica male male non sarebbe.

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