L’Espresso – Alfa Romeo, la rinascita parte da Cassino

DI MAURIZIO MAGGI E STEFANO VERGINE per L’ESPRESSO

 

Alta tecnologia e salamelle. La task-force di prescelti – duecento tra operai, tecnici e ingegneri – che lavora dietro un muro di impenetrabile riservatezza alla prima Alfa del grande rilancio un mesetto fa ha passato la notte in decine di tende canadesi blu, nello stabilimento Fiat a pochi chilometri da Cassino, Frosinone. Non per un’emergenza ma per una operazione di “team building” all’americana.

Un week-end da maturi boy scout all’interno dell’impianto ciociaro, con tanto di grigliata e musica in compagnia. Il 24 giugno, al Museo dell’Alfa Romeo alle porte di Milano, Sergio Marchionne e alcuni top manager del gruppo alzeranno il velo sulla futura berlina davanti a centinaia di invitati da tutto il mondo.

A Wall Street si chiacchiera di un Sergio Marchionne che studia come andare all’assalto della General Motors, alleandosi con gli aggressivi hedge fund, ma in tanti giurano che la sua concentrazione sul lancio della prima Alfa del nuovo corso sia massima. Il nome ancora è top secret – Giulia è il favorito – ma di sicuro si sa che l’auto sarà una tre volumi aggressiva, pensata per entrare in diretta competizione, soprattutto sul mercato nord-americano, con le parigrado delle tre marche premium tedesche Audi, Bmw e Mercedes.

In realtà, l’obiettivo numero uno sembra la Serie 3 della Bmw, la più venduta al mondo dal gruppo bavarese. La produzione partirà probabilmente in ottobre, il debutto sul mercato è ipotizzabile per febbraio-marzo 2016. Ad Arese saranno esposti 4 o 5 nuovi esemplari ma nessuno li potrà guidare, e forse neppure sbirciarne l’abitacolo.

I duecento del barbecue, a Cassino, sono gli unici ad aver visto finora la nuova Alfa. Lavorano sul “pilotino”, la mini-linea di montaggio da cui sono usciti finora i primi dieci esemplari della Giulia preserie. Tra di loro parecchi “team leader” dell’impianto laziale – dove ancora si produce la Giulietta, che andrà in pensione nel 2017 – ma pure diversi ingegneri in trasferta da Torino e da Modena, questi ultimi in prestito dalla Maserati. In Emilia, in due capannoni vicini alla storica sede del marchio del Tridente, intorno al progetto nuova Alfa s’affannano in 700, tra i quali ben 400 ingegneri.

La consegna del silenzio è ferrea, a Modena come a Cassino. La trazione è posteriore – come per tutte le future Alfa, alcune delle quali saranno 4×4 – il telaio nuovo di zecca, e pare che verranno adottate innovative soluzione tecniche per le sospensioni, sia in termini di geometrie che di materiali. Gli addetti ai lavori ipotizzano il sofisticato ricorso al “falso quadrilatero”. Incalzati dal responsabile tecnico del progetto, il mago delle sospensioni francese Philippe Krief, i tecnici stanno pensando soprattutto alle performance.

La nuova Alfa dovrà essere eccitante da guidare e stare incollata a terra, specie se a spingerla ci sarà il potente propulsore V6 di 3 litri, parente stretto di quello, di derivazione Ferrari, che equipaggia la Maserati Ghibli. Il secondo motore a benzina è un 2 mila, declinato in varie potenze. Entrambi saranno prodotti a partire dall’autunno nella fabbrica di Termoli, in Molise. Nessuna informazione, invece, sui motori a gasolio. Circolano voci su un 2,2 litri prodotto dalla VM di Cento (Ferrara) ma anche su un altro diesel che potrebbe essere costruito nella fabbrica campana di Pratola Serra.

 

DUE PIATTAFORME, OTTO MODELLI
Sulla stessa piattaforma della Giulia nasceranno anche il primo Suv compatto, che dovrebbe andare in produzione entro la fine del 2016, e un’altra vettura del segmento “D”, forse una coupettona a quattro porte, tipologie che abbondano nei listini delle solite tedesche. Su un’altra architettura prenderanno invece forma le vetture più grosse, come il Suv e la berlina del segmento “E”, di cui ancora nulla si sa. Così come è impossibile prevedere oggi in che maniera saranno suddivise le otto Alfa Romeo del “new deal”.

Oltre a Cassino, sono tre gli impianti candidati: Mirafiori (dove per un altro anno e mezzo sarà costruita la piccola Mito), Modena (da dove escono le sportive 4C coupé e spider) e Pomigliano d’Arco, nel Napoletano, la culla della Panda. Anche se, in teoria, Cassino avrebbe le carte in regola per produrre in futuro circa 350 mila veicoli e spedirne una buona parte a Civitavecchia, il porto di partenza per il mercato americano, fondamentale nel progetto di rilancio del Biscione.

Intanto la fabbrica laziale sta cambiando pelle, in attesa della “salita produttiva”. Il piano industriale tratteggiato dal capo di Fca nel maggio 2014 prevede che l’Alfa arriverà a produrre, nel 2018, 400 mila vetture, quando la gamma sarà tutta a regime. Nel primo piano dell’era Marchionne, annunciato nel 2005, l’obiettivo era di arrivare a 300 mila pezzi nel 2010. Anno in cui, però, di Alfa ne vennero costruite 119 mila. Ed è proprio del 2010 il progetto con l’asticella più alta di tutte: mezzo milione di vetture prodotte entro il 2014.

Pronostico altamente disatteso: l’anno scorso, Giulietta e Mito si sono fermate a 63 mila pezzi. Dopo il grande recupero in Nord America, la storica prima volta della Jeep sopra il milione di vendite e la partenza a razzo della Renegade e della 500X a Melfi, il clima è però cambiato. Anche se il bersaglio da colpire – 400 mila immatricolazioni nel giro di tre anni – non è una passeggiata, stavolta in giro si respirà più fiducia che scetticismo.

 

SULLA LINEA PILOTA VIETATI I CELLULARI
L’uomo scelto da Marchionne per trasformare Cassino nella casa dell’Alfa si chiama Sebastiano Garofalo, ingegnere siciliano arrivato in Ciociaria a dicembre dopo aver ristrutturato con successo gli stabilimenti del gruppo a Pomigliano d’Arco e Melfi. Sotto l’abbazia benedettina che vigila sulla città fin dal Medioevo, il clima di attesa è corroborato dal mistero che aleggia intorno alle auto che verranno.

Raccontano Cosimo Bucci e Roberto Giuliani, due operai della Lear intercettati davanti allo stabilimento al cambio turno delle 14, che se entrano nella zona del “pilotino” devono mollare ai vigilanti i loro cellulari. Spiega Cosimo: «Io smisto i sedili quando arrivano dentro alla fabbrica, ma quelli della nuova Alfa non ho idea di come siano, perché sono totalmente imballati, non si capisce neppure che forma abbiano». La Lear è un gigante dei sedili e storica fornitrice Fiat.

Qui a Cassino ha allestito una nuova linea di montaggio per l’Alfa. Quasi tutte le aziende dell’indotto, peraltro, sono in fermento: la Mac, che fa longheroni e montanti delle portiere, ha appena comprato cinquanta robot, mentre la Meccanica Tiberina , da dove escono le traverse del telaio, sta ampliando i capannoni. Sostanziosi anche i cambiamenti all’interno dell’impianto. Se si esclude l’area dove si assembla la Giulietta, «dei vecchi capannoni sono rimaste solo le colonne di cemento», dice Vincenzo Folcarelli, operaio del montaggio.

E il collega Francesco Esposito aggiunge: «I reparti lastratura, verniciatura, montaggio e finizione sono stati completamente svuotati, da mesi ogni giorno vediamo uscire cinquanta camion carichi dei pezzi delle linee in cui si producevano Bravo e Delta». Gli investimenti nella messa a nuovo superano il miliardo e la formazione delle “élite” che dovranno produrre con teutonica precisione le Giulia è già in atto da un po’. Dopo aver identificato 300 addetti, la Fiat ne ha scelti 160 che si sono sciroppati otto settimane di incalzante corso d’aggiornamento. Alcuni di loro sono stati pure spediti a Modena, a far pratica.

 

L’IBRIDO VERRÀ, QUANDO NON SI SA
E ovviamente sale la fibrillazione nella speranza di nuove assunzioni, com’è avvenuto a Melfi, oltre che del rientro più rapido possibile per i cassintegrati. «Oggi un dipendente lavora 6-7 giorni al mese e porta a casa 1.000-1.200 euro, contro i 1.400 -1.500 del tempo pieno», sostiene Tommaso Valente, sindacalista Fismic, per 34 anni operaio in Fiat. «Se la Giulia parte davvero in autunno, tutti i lavoratori rientreranno entro febbraio 2016 e prevediamo che già alla fine del prossimo anno la produzione salirà a 260-270 mila unità», è la professione d’ottimismo di Francesco Giangrande, 18 anni da operaio in verniciatura e ora segretario provinciale Uilm, la sigla più forte nello stabilimento laziale, dove i dipendenti sono 4.100. Sul fronte delle nuove entrate, per ora quelle sicure dovrebbero riguardare 30 diplomati selezionati dopo una raffica di test.

Il candidato ideale? Età massima 26 anni e diploma di maturità non inferiore a 95 su 100. Scrutinati dalle agenzie interinali e interrogati dai manager Fiat il 29 maggio, i ragazzi hanno dovuto cimentarsi in inglese, fisica, matematica, oltre che in prove mnemoniche e attitudinali. «Ci è stato detto che, se verremo ingaggiati, andremo a gestire i team di lavoro sulle linee», racconta uno di loro, che vuole restare anonimo.

In città, però, non ci sono solo studenti modello. E alla sede della Fim-Cisl di via Bonomi, vicino alla stazione, i disoccupati Antonio Manco, 36 anni, e Carmine Nigro, 42, chiedono consigli su come partecipare al prossimo giro di eventuali assunzioni. Mirko Marsella, il segretario locale, suggerisce di aspettare l’inizio delle selezioni: «Con tutti gli investimenti che sta facendo la Fiat dovebbe esserci finalmente un po’ di movimento». Anche nelle decine di imprese dell’indotto, che a regime “valgono” circa 8 mila posti di lavoro.

Dice Michele De Palma, coordinatore Fiom per Fca: «Siamo contenti degli annunci di Marchionne, ma un modello non darà lavoro a tutti i dipendenti di Cassino. Speriamo dunque che si aggiungano altre vetture e che ce ne sia anche qualcuna ibrida, perché il futuro dell’auto è lì». E in effetti Harald Wester, il tedesco che guida Alfa e Maserati, qualche settimana fa ha ammesso che le motorizzazioni ibride prima o poi verranno, perché dopo il 2020 il 40 per cento almeno delle macchine di fascia alta disporrà della doppia alimentazione termica-elettrica. Bocche cucite sui tempi. Sul pianeta Marchionne si usa così e, per come stanno andando oggi le cose, nessuno o quasi ha voglia di agitare la bandiera della diffidenza.

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