L’ex Cassa per il Mezzogiorno e la profezia di Di Vico

La fiscalità di vantaggio può rappresentare un incentivo, ma per attivare il “ritorno al futuro” c’è bisogno di innovazione e di progettualità. L’analisi del 2010 di Dario Di Vico fa capire di quale tipo di sviluppo ha beneficiato la Ciociaria. E perfino di cosa c’è bisogno oggi.

Ma se guardiamo le trasformazioni da un punto di vista storico l’industrializzazione della provincia di Frosinone è un caso di successo, è forse una delle poche eccezioni nelle quali un intervento dall’alto (leggi Casmez, Cassa del Mezzogiorno) ha funzionato. Non ha prodotto cattedrali nel deserto, ma anzi un tessuto industriale che sarebbe sbagliato sottovalutare”. Vale la pena di ripartire da questa analisi di Dario Di Vico, editorialista principe del Corriere della Sera e frusinate doc.

Partendo dal presupposto che l’articolo che contiene l’analisi su cosa abbia rappresentato la Cassa del Mezzogiorno per lo sviluppo della Ciociaria è del 29 giugno 2010. Più di undici anni fa. Ma il tema è attualissimo.

L’analisi di Dario

Dario Di Vico, editorialista del Corriere della Sera (Foto: Alessia Mastropietro / Imagoeconomica)

Scriveva Dario Di Vico: “Del resto il manifatturiero è stimato ancora attorno a una quota del 35% del Pil provinciale e la cifra è sicuramente da area del Nord. Gli occupati nell’industria sono 62 mila di cui 38 mila nel manifatturiero e per ogni 100 euro di beni importati se ne esportano 131”.

È vero che durante e dopo l’azione della Cassa c’è stata una forte rotazione delle imprese, si sono verificati episodi al limite della truffa, svariate aziende grazie all’uso del suffisso «Sud» hanno lucrato prebende, ma in questi anni si è comunque sviluppata un’imprenditoria indigena che ha mostrato una discreta attitudine a crescere e a proiettarsi sui mercati esteri”.

Quella descritta era la situazione del 2010. Oggi purtroppo è molto diversa. Continuava Di Vico: “Una spiegazione di questa performance gli addetti ai lavori la rintracciano addirittura nella storia pre-Casmez e nella presenza nel Frusinate di ceppi di cultura industriale nei settori della carta, del tessile e del mobile. In più, anche se in proporzioni evidentemente ridotte rispetto al modello veneto, anche in Ciociaria sono diventati piccoli imprenditori ex operai e tecnici che lavoravano in precedenza in media aziende del Nord stabilitesi nelle aree industriali del Lazio meridionale”. 

L’evoluzione di Darwin nell’industria

La produzione della 126 nello stabilimento Fiat di Cassino

Poi ancora: “È evidente che una riflessione sull’industrializzazione del Frusinate pur volendo concentrarsi sugli elementi di «modello» e di presenza diffusa sul territorio non può dimenticare il peso dell’investimento Fiat a Piedimonte S. Germano anche per i riflessi che ha avuto nella nascita di un indotto di piccole e medie imprese locali. Ma pur concedendo a Cesare quel che è di Cesare la valutazione degli addetti ai lavori è che l’insediamento Fiat si è aggiunto al modello ciociaro e non il contrario. La differenza è profonda”.

Gli incentivi della Casmez sono saltati da una ventina d’anni anche se successivamente lo Stato ha erogato risorse con lo strumento della legge 488 ma pur non essendoci fluidità di finanziamento le aziende sono sopravvissute, hanno imparato darwinianamente a camminare con le proprie gambe. Le rassegne della Camera di Commercio segnalano la presenza di ben tre distretti, del tessile-abbigliamento (valle del Liri), del marmo (Monti Ausoni) e della carta, forse si può obiettare che in questo caso l’uso della definizione distrettuale è un po’ generoso e infatti il tallone d’Achille dell’industrializzazione ciociara sta proprio nella ridotta specializzazione produttiva”.

Ci sono aziende e aziendine in quasi tutti i settori e questa caratteristica in momenti di crisi ha una valenza anti-ciclica perché distribuisce più omogeneamente i rischi e non fa dipendere il territorio da una sola produzione, ma segna anche un limite fino ad oggi non valicato”.

Poi una sorta di testamento: “Le aree industriali sono chiamate quindi a un upgrading, a darsi un’identità più precisa sulla quale poter crescere e internazionalizzarsi…Prima si ritorna alla condizione precedente e poi si innova, i due compiti stavolta vanno di pari passo. Altrimenti l’industria ciociara resta ibrida, perennemente a metà del guado”.

Bene incentivi ma serve innovazione

Proprio ieri il presidente di Unindustria Angelo Camilli ha detto: “Il rilancio dell’economia, della competitività ed attrattività della nostra Regione da oggi ha un’arma in più, grazie al via libera in via definitiva alla misura della fiscalità di vantaggio arrivato dal Senato, con 135 milioni di euro di risorse nei prossimi tre anni. Un incentivo importante che permetterà alle imprese che operano in provincia di Frosinone, Latina e Rieti di beneficiare di risorse ad esse destinate, rendendo, così, questi territori più attrattivi per chi vuole investire”.

Certamente la fiscalità di vantaggio può rappresentare un incentivo, ma non è la Cassa per il Mezzogiorno. E la strada indicata da Dario Di Vico rimane valida: bene gli incentivi, ma serve tanta innovazione. Oltre che capacità progettuale e di riconversione.

Perché da allora, 2010, sono passati undici anni e la situazione è molto peggiorata.

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