L’inaccettabile lentocrazia che uccide

La tragedia della giovanissima ragazza morta nelle ore scorse ad Anagni. C'è rabbia per l'ennesima vittima di una strada che da anni attende una rotatoria. Che non arriva perché questo è un Paese governato dalla lentocrazia

Paolo Carnevale

La stampa serve chi è governato, non chi governa

Nelle polemiche che da ore stanno divampando ad Anagni per l’ennesima tragedia stradale al bivio della ex Winchester, che ha strappato ancora una vita, quella di una 26enne amata e benvoluta, hanno tutti ragione e tutti torto.

Ha ragione il sindaco Daniele Natalia quando dice che non è corretto strumentalizzare una tragedia, che certamente non si può addossare alla amministrazione comunale la responsabilità morale della morte di Francesca Colacicchi: che farlo equivarrebbe a mandare a processo ogni sindaco dei comuni in cui si sono verificati casi simili. Hanno ragione i cittadini che da anni fanno l’elenco triste degli incidenti nella zona, e chiedono da sempre la realizzazione di opere di messa in sicurezza, a partire dalla tanto attesa rotatoria.

Hanno ragione gli altri enti coinvolti, ognuno con regole e norme che vanno rispettate. Perché non si può seriamente pensare che una rotatoria, per fare un esempio, non si fa perché qualcuno non la vuole.

La lentocrazia che uccide

E forse il problema è proprio questo. Ovvero che quando le parti in causa sono troppe si crea, come accade da anni, uno stallo che genera un blocco complessivo.

In fondo, a ben guardare, in questo senso la morte di Francesca è figlia di un enorme problema che da anni caratterizza non solo Anagni, non solo provincia e Regione, ma tutto il sistema burocratico del nostro disfunzionante Paese. Un problema che ha due facce. Il primo è quello della imponente massa burocratica che, letteralmente, annichilisce ogni volontà di fare qualsiasi cosa.

Questo è un Paese in cui possono volerci anni per cambiare un segnale stradale, mettere un cartello,  operare una modifica banale. Un Paese in cui la mole di scartoffie necessarie a far partire qualcosa è un incubo di proporzioni kafkiane. Mediamente un Comune, cioè un pezzo dello Stato, impiega non meno di un anno per raccogliere la documentazione necessaria all’avvio di un’opera. Che è opera pubblica e non per il godimento di un singolo privato. E da quel momento a quello dell’effettivo avvio del cantiere trascorrono non meno di due anni. Per realizzare opere strategiche come il nuovo Ponte di Genova o l’ultimo tratto della Salerno – Reggio Calabria lo Stato ha dovuto commissariare se stesso.

Nessuno vuole responsabilità

Foto: Domenico Mattei © Pixabay

È un Paese nel quale un sindaco, un assessore, un amministratore, un dirigente, possono essere chiamati a rendere conto solo per aver voluto fare qualcosa. Rispondendone di tasca propria. Chiaro perché non si firma: nessuno vuole assumersi responsabilità.

E se qualcuno se le assume diventa sospetto: com’è avvenuto per l’ex presidente della Provincia Peppe Patrizi, finito sotto processo fondamentalmente perché prima occorrevano anni per avere un’autorizzazione e dopo il suo intervento le pratiche si concludevano nei tempi di legge. Accadde lo stesso al suo predecessore Francesco Scalia: per essersi assunto la responsabilità di applicare la norma che imponeva il gestore unico dell’acqua o la responsabilità di avere credto nell’aeroporto. Assolto con formula piena in entrambi i casi. Un sistema che fatalmente condanna all’immobilita’ , al lassismo congenito. 

Il rimpallo della lentocrazia

Foto: fulopszokemariann

L’altra faccia è, appunto, il rimpallo. Lo scaricabarile, la tendenza a gettare sugli altri, chiunque siano, doveri e responsabilità. Anche qui, un sistema che porta, a lungo andare, al blocco. Colpa del sistema dunque? Fino ad un certo punto. Perché quegli stessi sindaci, assessori, amministratori, hanno la possibilità , magari anche il dovere di fare di più in tal senso. Nel caso della rotatoria invocata al bivio della ex Winchester quel progetto è in appalto da sette anni, è stato necessario riaprire la gara 4 volte, c’è stata una fase in cui sono stati persi i fondi.

Occorre sbattere i pugni sul tavolo, urlare laddove è necessario, magari anche minacciare. Perché altrimenti la burocrazia asfissiante, da limite, diventa un alibi. E di storie come quella di Francesca, con tutto il corredo di lacrime e di accuse, continueremo ad averne ancora a lungo

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