L’infinita promessa della bonifica alla Valle del Sacco

L'infinita promessa della bonifica nella Valle del Sacco. Ma da dove nasce l'inquinamento. Cosa è stato fatto in questi anni. Quali sono stati i passaggi amministrativi e gli scambi di accuse. Il processo. L'accordo. L'arrivo del commissario. In un caso dove tanti parlano tanto.

Roberta Di Domenico

Spifferi frusinati

Ne parlano tanto, ma solo ora che c’è la campagna elettorale. Ne hanno parlato in tanti, ma pochi hanno fatto davvero qualcosa. La Valle del Sacco è un’emergenza da decenni. Il primo a denunciare in maniera pubblica i livelli d’inquinamento in quel fiume fu il senatore Romano Misserville che si presentò in aula a Palazzo Madama indossando una maschera antigas nel pieno dell’intervento del neo Premier Giovanni Goria. Era il 30 luglio 1987.

Da allora qualcosa si è mosso. Per poi fermarsi e cedere il passo a 18 anni di immobilismo. Che sono culminati nella decisione del colosso Catalent di spostare da quell’area un progetto da cento milioni d’euro. Con cui voleva creare un polo di ricerca d’eccellenza nel campo chimico – farmaceutico. Lo farà nell’Oxfordshire, stanco di aspettare da anni le certificazioni necessarie per iniziare i lavori.

Per via di quei ritardi, la provincia di Frosinone ha perso occasioni di investimento, di sviluppo, opportunità occupazionali. Chi paga, ha pagato, o pagherà per tutto questo? Nessuno.

LA STORIA DEI VELENI NELLA VALLE DEL SACCO

Foto: Pietro Scerrato

La storia del disastro della Valle del Sacco è nota ed impatta su tutta l’aria nord della provincia, compreso Frosinone. È una storia intimamente legata allo sviluppo industriale nell’area che va da Colleferro a Ceccano.

L’esempio più noto è quello della Bpd – Bomprini Parodi Delfino che venne fondata a Colleferro nel 1912 per produrre polvere da sparo ed esplosivi. Si allargò a Ceccano con l’arrivo dei venti di guerra sull’Europa nel 1936. In quello stabilimento si insediò nel 1968 il colosso chimico Snia Viscosa mentre intorno nascevano la Accumulatori Piombo Derivati, la Bpd Sigme per la produzioni di componenti destinati ai missili.

Sono anni nei quali l’ambiente sta solo nella mente di pochissimi esperti. Verranno considerati a lungo solo degli stravaganti: nessuno o quasi si curerà degli scarichi industriali che tutti riversavano nel Fiume Sacco. Che spesso si riempirà di schiume e cattivi odori. L’eredità lasciata sul letto del fiume si chiama beta-esaclorocicloesano (β-HCH). Il caso esplode nel 2004 quando le analisi rivelano concentrazioni superiori al livello limite.

Il tetto è di 0.003 mg/kg ma ce n’è molto di più in un campione di latte proveniente da un’azienda bovina situata nel comune di Gavignano. I controlli scattarono nell’estate di quel 2004 subito dopo che i laboratori della Centrale del Latte di Roma segnalarono la presenza di beta-esacloricicloesano nel latte in arrivo dalla Valle del Sacco.

LO STATO DI EMERGENZA

La moria di vacche a seguito di uno sversamento di nichel

Ne scaturisce un processo, celebrato al tribunale di Velletri nel 2019. Durante il quale il Pubblico Ministero chiede chiarimenti anche sulla paratia mobile realizzata dalle società SecosvimCaffaro e Fiat Ferroviaria per separare le acque meteoriche e bianche di pertinenza di ciascuna azienda dalle acque del fosso Cupo. La paratia venne realizzata dopo un incidente con il benzene avvenuto negli Anni 90. Il Pubblico Ministero è convinto che la paratia «veniva lasciata sempre aperta», permettendo il passaggio di acque inquinate nel fosso Cupo e, da qui, al fiume Sacco. (Leggi qui: Processo Valle del Sacco: «Il latte non venne ritirato dopo la scoperta dei veleni»; leggi qui: Hanno avvelenato la Valle del Sacco: condannateli a 2 anni; e leggi qui: Veleni nella Valle del Sacco, sentenza a febbraio: «Ma qui ormai è tutto prescritto»).

Nel frattempo dal 2005 viene dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco. Viene prorogato il 6 aprile 2006, 24 aprile 2007, 30 maggio 2008 e 31 ottobre 2008, fino al 31 ottobre 2009. E poi ancora fino al 11 novembre 2011 quando si dispone una ulteriore proroga fino no al 31 ottobre 2012.

In quel periodo lo stato di emergenza interessa il territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano nella provincia di Roma; nonché il territorio dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino nella provincia di Frosinone. Sono i centri attraversati dal Fiume Sacco. Viene nominato un Ufficio commissariale. In breve tempo le sue competenze vengono estese alle aree agricole/ripariali dei comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra.

SIN OPPURE SIR? LO DICE IL TAR

Foto Sara Minelli © Imagoeconomica

Arriva il momento di fare qualcosa. E per fare c’è bisogno di qualcuno che tiri fuori i soldi. A quel punto tutti si defilano. E la Valle del Sacco improvvisamente non è più un Sin cioè un sito con livelli d’inquinamento tali da essere d’Interesse Nazionale. Lo stabilisce il decreto 7 dell’11 gennaio 2013 “declassava” il SIN Bacino del fiume Sacco, lo retrocedeva a Sito d’Interesse Regionale restituendo la titolarità del procedimento alla Regione Lazio. La differenza? nel primo caso i soldi li doveva tirare fuori il Ministero, nel secondo caso la Regione Lazio. Nel dubbio nessuno li tira fuori.

Il caso finisce al Tribunale Amministrativo Regionale. Che pronuncia la Sentenza 7586 del 2014. In pratica: annulla la competenza alla Regione Lazio e la riporta al Ministero dell’Ambiente: stabilendo che la Valle del Sacco è un Sin e non un Sir.

L’iter amministrativo di riperimetrazione con cui si definisce l’area a rischio inquinamento si conclude il 22 novembre 2016 con il Decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 293 del 16 dicembre 2016. Cosa c’è scritto? , Che viene approvato il perimetro definitivo del SIN.

Con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 4 agosto 2017 vengono approvate le Linee guida sulle procedure per la bonifica del Sin Bacino del fiume Sacco. Attualmente in Italia Sono 42 i Sin.

FINALMENTE L’ACCORDO PER IL SACCO

Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ed il Governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Foto © Andrea Sellari / A.S. Photo

Il rimpallo di competenze che si è succeduto per 15 anni ha fornito il pretesto per fare niente. Soltanto nel 2019, con l’Accordo di Programma, tra l’allora Ministero dell’Ambiente e la Regione Lazio, sembrerebbe essersi stabilizzata la macchina organizzativa, i ruoli e le competenze dei soggetti attuatori. È previsto un finanziamento di 53,6 milioni di euro. (Leggi qui: Via i veleni dalla Valle del Sacco: ma il M5S snobba il suo ministro).

Vengono stabilite le prime “priorità di intervento” che per la maggior parte riguardano la messa in sicurezza e la caratterizzazione di aree pubbliche e private. Ma tutto si muove con una lentezza unica. Fino a quando il governatore reggente del Lazio Daniele Leodori e l’allora coordinatore della maggioranza Zingaretti Mauro Buschini arrivano alla nomina di un Commissario, Lino Bonsignore.

A lui bastano dieci mesi per fare la storia: affidare i primi interventi di caratterizzazione e messa in sicurezza del Sito di interesse nazionale. Rispetta una scadenza, persino con un mese di anticipo, come preludio alla bonifica. Altrimenti i 53 milioni di euro sarebbero tornati all’Europa. Sono stati definiti 12 interventi prioritari e le risorse rese disponibili riguardano 10 siti nella provincia di Frosinone e 2 in quella di Roma. Prevedono, nell’arco dei primi quattro anni, quindi entro il 2023, (ormai ci siamo o quantomeno ci dovremmo essere) all’interno dei comuni ricadenti nel SIN, operazioni di caratterizzazione, il monitoraggio delle acque per uso potabile, irriguo e domestico. (Leggi qui: Valle del Sacco, il miracolo del Bonsignore).

ROBA DA CAMPAGNA… ELETTORALE

La Valle del Sacco

La promessa della bonifica della Valle del Sacco è come il colore bianco. Sta bene su tutto. Ed infatti la storiella della bonifica è stata utilizzata, per anni, da tutti i candidati: di centro, di destra e di sinistra. In ogni campagna elettorale. Dalle Politiche alle Regionali passando per Comunali ed Europee, con la promessa della immediata soluzione del problema. “Se ci voterete, risolveremo il problema della valle del Sacco“: ma sono trascorsi appena 18 anni, senza mai nessun atto concreto di bonifica. Almeno fino all’arrivo di Bonsignore.

Roba che ha suscitato gli strali del vescovo Ambrogio Spreafico. Durante la sua omelia a Frosinone nel corso della celebrazione della 17ª Giornata per la Custodia del Creato, ha sottolineato che «per il disastroso inquinamento della Valle del Sacco si continua a fare ben poco».

Tra una settimana si vota. Chissà se anche dopo il voto, se ne continuerà a parlare tanto, da parte di tanti. Oppure tornerà a calare il silenzio.