L’ira di Stirpe: «No alle Olimpiadi, ceto politico impreparato e poco illuminato»

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Virginia Raggi ha detto no alle Olimpiadi a Roma nel 2024, annunciando così il ritiro della candidatura. Ha spiegato che sarebbero il pretesto per tonnellate di cemento sulla Capitale. Sostiene che uno studio dell’università di Oxford dimostra come nel passato il budget sia stato sforato quasi sempre, almeno del 50%. Se ne fa niente.

Gli industriali italiani hanno espresso fortissima delusione. Il vice presidente nazionale Maurizio Stirpe di Frosinone nei giorni scorsi aveva invitato la sindaca di Roma a riflettere prima di dire no a 5 miliardi di opere pubbliche che avrebbero rimesso in moto l’economia di tutto il Lazio.

Nel pomeriggio è stato durissimo. Ha detto Maurizio Stirpe: «Il no alle olimpiadi è un fatto molto negativo per Roma e per il Lazio. A mio avviso è una decisione che non aveva alcuna valida ragione oggettiva per essere presa, non è suffragata da nessun numero ma solo da chiacchiere da bar tutte da dimostrare e da verificare».

Per il presidente uscente di Unindustria «Si è voluto sacrificare una grande opportunità per Roma e per il Lazio agli interessi di Partito che poco c’entrano con la questione delle Olimpiadi stesse. E’ una pessima notizia. Dimostra che siamo un Paese che comincia ad avere un forte declino per incapacità di chi ci governa».

Il colpo finale è senza appello: «L’impreparazione del ceto politico dirigente ci sta sempre più allontanando dagli obiettivi che i Paesi più avanzati riescono a raggiungere grazie ad una leadership molto più illuminata e capace di fare le cose».

Nei giorni scorsi Maurizio Stirpe aveva scritto una lettera a Virginia Raggi evidenziando che l’edizione 2024 dei Giochi sarà la prima che dovrà rispondere ai rigorosi criteri dell’Agenda 2020 del Comitato Olimpico Internazionale, per evitare gli errori del passato, impone ai Paesi organizzatori un modello virtuoso e senza sprechi, li obbliga ad un progetto trasparente ed a basso impatto economico, utile per assicurare una migliore qualità della vita dei cittadini e vincolato, soprattutto, all’eredità che viene consegnata alla città.

Aveva spiegato che il no significava rinunciare a 5,5 miliardi di euro in investimenti che ne avrebbero prodotti 7 di ricavi; significava dire no al completamento della Città dello Sport, alla riqualificazione del Flaminio, del Palasport, all’accelerazione per la chiusura dell’Anello Ferroviario, della Metro C fino al Colosseo. Dire no ad un moltiplicatore di sviluppo per l’intera Regione Lazio in un momento.

Ma la sindaca non è stata di questo parere.