Lividi fatti col trucco, per denunciare il lividi veri

Foto: Agenzia Jet’s, Cdp: Garage 61

Le storie di Anna, Francesca, Laura e tante altre che in Ciociaria hanno detto no alle violenze domestiche. E un libro fotografico che metta in make up quello che accade quando vivi con l'orco.

Lorenza Di Brango

Guardare sempre lontano, col sorriso

Il trucco per denunciare i segni veri, la finzione per opporsi alla realtà, le foto in primo piano per mostrare ciò che invece nella vita si vuole nascondere. Sbagliando. Coprendo. Dissimulando. Fingendo. Mentendo. Quando invece bisognerebbe dire la verità, mostrare quelle ferite, urlare il proprio dolore e chiedere aiuto.

“Ti sembra facile?”, “Non è così semplice”, “Non lo farà più”. No, non mi sembra facile; no, non è affatto semplice; sì, lui lo rifarà. Impedirglielo si può. Si deve. C’è chi lavora ogni giorno per farlo, non solo a ridosso del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne: forze dell’ordine, istituzioni, centri antiviolenza.

Persone che prendono per mano le vittime e le accompagnano in un percorso che si affronta tra mille difficoltà. Si parte insieme alla paura, all’incertezza, alla disperazione, ma durante questo viaggio verso la libertà, le emozioni iniziali si riescono a trasformare in forza, determinazione, speranza.

Anna, Francesca, Laura e le altre

Ciò che serve fin dal primo passo però è il coraggio: quello di Anna, quello di Francesca, quello di Laura. Tutti nomi di fantasia, che nascondono però storie tristemente vere. Anna il coraggio di andare via lo ha trovato quando ha pensato che lui potesse ucciderla. Anni di silenzio, passati in una casa con un uomo che non riconosceva più, eppure lo aveva amato. La droga e l’alcool lo avevano cambiato.

Le scarpe rosse simbolo della lotta alla violenza sulle donne

Si comincia sempre allo stesso modo, con uno schiaffo che dà il via a tutto. Anzi, che sancisce la fine di tutto. Botte e biglietti: così lui comunicava con lei. Non si degnava neanche di parlarle: però i messaggi erano chiari. Non aprire il frigo, non sederti qui, non andare lì. L’ultima sera la lite per una delle solite sciocchezze: la spintona così violentemente da farle fare alcuni metri, poi i pugni alla testa. Il dolore, lo stordimento, il sangue che cade sugli occhi. Il giorno dopo il centro antiviolenza: un rifugio, l’aiuto a trovare una sistemazione, l’assistenza legale, quella psicologica.

Francesca di coraggio ne ha da vendere: per lei però è stato diverso. La scintilla della ribellione non l’ha innescata la violenza subita per mano del suo compagno, ma la consapevolezza che quella stessa brutalità fosse utilizzata con le loro gemelle. Che disperate, chiuse in bagno, l’hanno chiamata mentre lei era a lavoro quel giorno che poi è  stato l’ultimo passato in quella casa.

Figli che danno la forza alle madri per dire basta. Così come è accaduto anche a Laura: suo figlio maggiore le ha fatto capire che non poteva e non doveva più subire. La più piccola, ultima di tre, terrorizzata quando quel pugno ha lasciato la madre senza respiro, fino a farla svenire per qualche istante.

Sara e Barbara, unite nella battaglia

La morte che sembra sopraggiungere, il coraggio che finalmente viene a galla. Non sono storie che vengono da lontano: riguardano tutte la provincia di Frosinone e sono state prese in carico da diversi centri antiviolenza del territorio. Che hanno saputo aiutare e portare queste donne a capire che una vita diversa è possibile. Evitare che quei segni tornino di nuovo sui loro volti, sul loro corpo, sul loro animo, è possibile. Difficile ma possibile.

Il progetto ideato e realizzato grazie al consigliere regionale Sara Battisti, grande promotrice dell’iniziativa, vuole con l’arte lanciare un messaggio di forte impatto. Per mostrare con la fotografia ciò che non deve essere, ciò che non vogliamo. Insieme al Comune di Cassino, in particolare al presidente del consiglio comunale Barbara Di Rollo, e all’associazione “Ammuri Liberi”.

Cento scatti per dire no

Così è stata ideata una grande campagna social che culminerà poi in un libro fotografico. 100 donne che hanno prestato il loro volto: su di loro un make up di forte impatto. Occhi neri, lividi, ferite sanguinanti, cicatrici. Tutto finto, per dire basta a realtà troppo frequenti. I numeri lo dicono: dicono anche che il lockdown è stato un periodo ancora peggiore per chi è stato costretto a trascorrerlo in casa con il proprio aguzzino. Situazioni già violente esasperate dalla pandemia.

Violenze vere, quotidiane, nascoste in quell’ambiente familiare. E coperte spesso con il trucco. Quel trucco che invece adesso è usato al contrario: per creare segni e ferite. Finti. Non come quelli di Anna, Francesca, Laura e tante altre.