Lo scontro delle civiltà e delle inciviltà

In queste ore va in scena il tramonto dell'Occidente. E l'alba dell'Oriente. Scandito dai peti prolungati di Biden. E dalla nostra totale incapacità di avere un peso. O anche solo di capirci qualcosa

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Correva il 1996 quando per esporre la teoria che poi prese il nome dallo stesso libro Samuel Huntington scienziato politico statunitense pubblicò il suo testo più riuscito “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”.

Lo fece anche per rispondere ad un suo allievo, Francis Fukuyama che nel 1989 nel suo testo “La fine della storia e l’ultimo uomo” profetizzò l’imminente “fine della storia” riferendosi al fatto che, dopo il crollo del comunismo sovietico e la fine della Guerra Fredda, la democrazia liberale e il capitalismo sarebbero stati destinati a pervadere, gradualmente, tutte le nazioni del pianeta.

Lo scontro tra civiltà

Foto: Norouzi Bita

Huntington scrisse: «La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro».

E come dargli torto, anche cinque lustri dopo, quando sostiene che le identità culturali e religiose saranno la fonte primaria di conflitto nel mondo post-Guerra fredda. Una previsione quanto mai attuale e contemporanea. Che ebbe nel mondo accademico di allora forse la stessa forza dirompente di quel “Tramonto dell’occidente” che scrisse Oswald Spengler all’inizio del novecento. Le loro tesi seppur di stampo conservatore non hanno mancato di generare un acceso dibattito che dura da decenni e trova nei giorni nostri la più chiara e limpida esemplificazione.

Basterebbe guardare ai profughi che assediano disperati i confini occidentali, alle tensioni religiose sempre in agguato o anche più banalmente alle difficoltà che stanno attraversando gli organismi internazionali da diversi anni nel trovare accordi degni di questo nome.

Le lacrime a Cop26

I leader mondiali a Cop26 (Foto: Dati Bendo / Imagoeconomica)

Prendete ad esempio il Cop 26 in conclusione a Glasgow in Scozia dove, dopo ennesimi estenuanti trattative, la montagna ha partorito di nuovo il topolino. Un’intesa al ribasso definita da tutti troppo poco per la soglia di limitare l’aumento della temperatura terrestre a 1,5 gradi che si era immaginata.

Ma la rappresentazione più veritiera l’ha data la commozione del presidente dell’assemblea Alok Sharma che annunciando i termini dell’accordo si scusa in diretta planetaria e addirittura si commuove.

Lo descrive perfettamente un articolo di Repubblica:

Sono profondamente dispiaciuto. Davvero”. Alle 19.41, il presidente della Cop26, Alok Sharma, si blocca. Dopo due settimane di incessanti negoziati a Glasgow e un clamoroso colpo di scena finale, non riesce più a parlare. Si commuove, di fronte al mondo. Scrosciano applausi della sala plenaria. Tra incoraggiamento, frustrazione, rabbia.

L’India, con il sostegno invisibile e decisivo della Cina, ha appena affondato il capitolo sul carbone del “Glasgow Climate Pact” della Cop26, il documento finale del vitale vertice sul clima in Scozia. Che ieri sera si è concluso con un coup de théatre. Perché, pochi minuti prima dello sconforto di Sharma, il delegato indiano fa scacco matto con un emendamento last minute alla plenaria finale: “Chiediamo di utilizzare il termine phase down invece di phase out”. “Diminuzione” dell’utilizzo di carbone invece di “rinuncia”. 

Tutti scontenti

John Kerry (Foto: US Embassy / Kiev)

Oramai è impossibile riaprire il delicatissimo documento finale. O ridiscuterlo. Il tempo è scaduto. L’India, con Cina, Bolivia, Sudafrica e i silenti sauditi come quinte colonne, l’ha spuntata grazie al ricatto finale. Inglesi, americani ed europei ingoiano il rospo.

Lo sintetizza bene la posizione di John Kerry il delegato americano che dice : “Tutti scontenti, ma è una dichiarazione potente”. Una specie di ossimoro, volendo si potrebbe essere pure più volgari citando il film “Amici miei” ma ci tratteniamo.

Adesso capirete perché mi è tornato in mente Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale preconizzato da Huntington, che in questa assemblea ha trovato la sua più plastica applicazione.

L’Occidente sorpassato

L’occidente una volta dominante cede il passo ad altre civiltà che già nel libro individuava come quelle della Cina, India e Sud Est asiatico. Esattamente quelle che hanno determinato il ribaltone finale nella conferenza climatica.

Scriveva più precisamente “via via che il processo della modernizzazione [tecnologica e produttiva] aumenta … il tasso di occidentalizzazione si riduce e la cultura autoctona torna ad emergere. In seguito, l’ulteriore modernizzazione finisce con l’alterare gli equilibri di potere tra l’Occidente e la società non occidentale, alimenta il potere e l’autostima di quelle società e rafforza in esse il senso di appartenenza alla propria cultura”. Quasi profetico.

Il primo ministro indiano Narendra Modi

Ma siamo veramente preparati a questo scontro di civiltà che non trova più il suo campo di applicazione bellico ma si dispiega invece attraverso gli accordi e le politiche internazionali? A giudicare dalla figuraccia americana si deduce di no. Pensate se un accordo del genere lo avesse subito Trump invece che Biden. Cosa sarebbe successo. Ma anche questo è un esempio nefasto dell’attuale incapacità occidentale ad organizzarsi e reagire. Si perde tempo con la distruzione reciproca della credibilità delle avverse parti politiche mentre altre nazioni come la Cina comunista agiscono come un monolite.

È per questo che mi vene da dire come ho recitato nel titolo che la guerra delle civiltà sta lasciando il passo alla guerra delle inciviltà. Che prevale ordinatamente a tutti il livelli politici occidentali tanto negli Usa come in Italia.

Peggio di Pierino

Trump ridotto alla cretineria dell’assalto al campidoglio capeggiato da uno con delle corna di bufalo in testa ed alla lotta contro i presunti brogli elettorali. Biden la cui presenza al Cop 26 si è concretizzata nei soliti sonnellini durante le conferenze, un paio di svarioni ed un fittissimo mistero sul rumoroso peto che avrebbe mollato in presenza di una sfortunata ed attonita Camilla Parker Bowles. Insomma la stessa rappresentatività istituzionale di un film di Alvaro Vitali. E poi ti stupisci che la Cina e compagnia ti fanno a pezzettini.

Ed a nulla serve l’indignazione mista a delusione dei militanti per il clima. Greta ha replicato la stessa dichiarazione delle ultime due uscite dicendo che “sono solo bla bla bla ed il massimo che ho colto dalle interviste dei tg era uno che si disperava dicendo che  “l’ambientalismo senza regole è giardinaggio”. Un genio assoluto.

Ed in questo quadro fosco la politica italiana, vittima anch’essa della lotta tra le proprie inciviltà e non pervenuta nel dibattito climatico, si trastulla su eventi che spaziano da Salvini che litiga con il rapper Ghali in tribuna a San Siro fino al dibattitone ospitato dalla Gruber tra Travaglio e Renzi. Li avrete visti spero, nulla da invidiare agli scontri tra Soleil Sorge  e la moglie di quell’attorino Alex Belli al Grande Fratello o tra Morgan e Selvaggia Lucarelli a Ballando con le stelle.

Alta politica Renzi Travaglio. Maleducato, indagato, condannato erano gli epiteti più gentili. Ma a mio avviso il massimo lo abbiamo raggiunto quando Travaglio carte in mano leggeva una lettera indirizzata a Renzi da Fabrizio Rondolino ottimo giornalista che adesso tiene una splendida rubrica sul comportamento canino sulle colonne del Corriere sezione animali, nella quale c’era il vademecum di come delegittimare con precisa strategia i vertici dei cinque stelle.

Il bue e l’asino

Lo ha declamato Travaglio meglio di Benigni quando leggeva Dante, punto per punto e mi sono accorto che ogni argomento citato era esattamente la stessa identica politica che il Fatto Quotidiano da lui diretto applica giornalmente da anni nei confronti dei malcapitati presi di mira. Sembrava il bue che diceva cornuto all’asino.

Ed allora è apparso così lampante che se la nostra classe dirigente invece di dedicarsi allo scontro-confronto tra le civiltà che potremmo tenere comunque con dignità, rispetto e più attenzione, spende tutte le proprie forze per uno scontro di inciviltà, convinta che quello sia l’impegno più urgente ed importante del loro mandato, allora siamo veramente di fronte a quell’ antico proverbio orientale che dice “quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito”.

Ed è così che a Glasgow la conferenza Cop 26 che doveva indicare la via per arrivare alla Luna ha lasciato i nostri rappresentanti tutti col naso in aria a guardare il dito.

Tranne quelli che si sono accorti del rumoroso e prolungato peto di Biden, così come descritto da Camilla, che per istinto di sopravvivenza di sono distratti e persi pure lo sguardo sul dito.

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