Luci ed ombre sul Concertone del Primo Maggio di Giorgia

Com'è andata nel confronto a distanza sul Primo Maggio. Luci ed ombre sulla scelta della premier. Che ha ribaltato la narrazione di un giorno da sempre consacrato ai rimbrotti per il Governo. Ma qual è il limite

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ci sono i fatti e ci sono le loro interpretazioni d’umore. E quando c’è il Primo Maggio ci sono tabernacoli da non toccare. Perché se succede si rischia di finire come i sindacati che puntano il dito contro il merito ma si attardano compiaciuti a mettere all’indice anche il “metodo”. Il che a ben vedere per un sindacato è una pelosa deroga di mission. Insomma, fra Italia ontologica ed Italia simbologica questa Festa dei lavoratori è scivolata via sdrucciola con un dato cardine: Giorgia Meloni è una ladra perché ha rubato la scena al Concertone di Piazza San Giovanni.

La battaglia impari

Giorgia Meloni

Ragioniamoci tenendo presente che in certe cose, serie come il pane da portare a casa ed il modo con cui portarlo, il messaggio che deve passare non è solo simbologico, ma argomentativo.

Lei al caldo in soggettiva e piano sequenza lungo i corridoi di Palazzo Chigi da cui entrava luce primaverile; gli altri all’umido di un maggio novembrino, a prendersi secchiate di pioggia prima a Potenza, poi a Roma. Lei con un gobbo possente di linguaggio e di pronta beva e Landini, Bombardieri e Sbarra a sciorinare critiche, tutte per lo più legittime, con l’acqua a ruscellare stizzita da margine di ombrello a fondo nuca.

È stata una battaglia impari. E il primo merito che si può ascrivere alla Meloni, la prima “luce” è stata proprio quella di una invasione di campo di micidiale efficacia.

La premier ha fatto irruzione nel sancta sanctorum, nel punto esatto del calendario dove abitano le idee di chi non sta con il potere. Ed ha sparigliato le carte. E forse proprio per questo “ci ha preso”: perché ha scelto il Primo Maggio per fare un contro spottone. E perché è la prima volta nella storia della Repubblica che un capo di governo diventa così impunito da giocarsi la matta nel campo “avversario”.

L’antidoto ai cazziatoni

Giorgia Meloni

Capiamoci: quando si parla di lavoro non esistono guerre. Nel senso che non c’è chi non lo considera e chi lo mette in apice di priorità. Però ci sono diversi modi di segnarla, quella spunta. Ed in questo la divisione è sempre stata netta perché se è giusto che di lavoro si parli e che lavoro si crei è anche sacrosanto, in democrazia, che sul metodo per realizzarlo ci siano declinazioni differenti. Il senso è che nessuno sta con la fame ma ognuno ha la sua idea di appetito e sazietà.

Solo che prima di Meloni quella del Primo Maggio era una giornata in cui Palazzo Chigi incassava i cazziatoni. Si prendeva gli slogan e qualche filippica stornellata dal palco del Concertone e tirava dritto sapendo che quel giorno era un arco temporale segnato dall’ineluttabile destino delle critiche da ricevere. La premier invece è andata all’attacco e, impunitissima, ha giocato d’anticipo. Ed ha messo un Cdm sul tema proprio nelle ore in cui il tema veniva declinato, per i suoi oggettivi problemi e per le soggettive interpretazioni che di esso hanno le parti avverse nei sistemi complessi.

L’ombra del Concertone di Giorgia

Giorgia Meloni

E qui c’è, evidentissima, la prima “ombra” del Concertone di Meloni. Non tanto nel Consiglio dei Ministri. Quello era irrituale ma non certo irrispettoso, quanto piuttosto nella pubblicistica ex post.

Scegliendo la modalità “fiction” per illustrare quanto deciso la premier ha di fatto pregiudicato la faccenda che dei Cdm è il vero “core”: le domande dei giornalisti su quanto deciso, l’interfaccia con quel mondo in cui una domanda velenosa, una richiesta di chiarimento, un richiamo storico possono mettere in evidenza incongruenze.

Così invece il messaggio è rimasto polarizzato: da una parte Meloni che ha proclamato di aver effettuato il taglio erariale più robusto “degli ultimi decenni”, dall’altro le opposizioni ed i sindacati. Che, in gradazione di sfumatura, hanno detto che quello è il più grande pacco alla stabilità lavorativa degli ultimi secoli.

Luci ed ombre

Maurizio Landini (Foto: Vincenzo Livieri © Imagoeconomica)

Ma chi ha ragione? Quanta luce e quante ombre ci hanno fatto il nido del merito del Primo Maggio della premier?

Il Decreto è robusto, a tempo per penuria di risorse e conserva una certa lacunosità maiuscola in termini di lotta al precariato. D’altro canto un taglio del cuneo fiscale così netto non lo di vedeva da tempo e sulla detassazione dei fringe benefit il passo in avanti è evidente. Il nodo del Rdc e di quello che la sua scomparsa provocherà resta tutto. Ma la critica è prospettica, perciò per ora debole.

E qui, nelle pieghe del merito, ci sta accucciata la “luce” definitiva del Concertone di Giorgia Meloni: con un legiferato abbastanza rotondo da concedere riflessione ma non rotondo abbastanza da indurre ad elogi lei ha spaccato i sindacati.

In verità li ha solo chimicamente colorati con un marker in quelle che sono e sempre saranno le loro distinzioni primeve ma l’effetto è stato quello, posticcio, di un cuneo infilato dritto nella compattezza dello schieramento “avverso”. Dove Landini tira dritto, Bombardieri si ferma a pensare e Sbarra ci ha già pensato ed ha concimato la linea con la parole di Sergio Mattarella che male non fa, dato che sul tema sono il Cardine Massimo Concettuale.

E Meloni? Niente, lei come tutte le rockstar dopo il Concertone ha posato il microfono. A smontare il palco ci penserà Giorgetti.