La tragicomica posizione di Luigi Di Maio: più perde, più resta capo dei Cinque Stelle

Foto © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Dal 4 marzo 2018 il Movimento ha conosciuto soltanto batoste storiche, polverizzando il voto di opinione che era tutto di Beppe Grillo. Oggi il ministro degli esteri vuole rompere sul nascere la stagione delle alleanze con il Pd. Per andare dove?

Quante sconfitte deve subire il Movimento Cinque Stelle prima di cambiare il capo politico e archiviare la lunga e fallimentare stagione di Luigi Di Maio alla guida?

Basta partire dalla fine. Il ministro degli Esteri ha detto di considerare chiusa la stagione delle alleanze con il Pd su base locale. Lo ha fatto dopo la durissima sconfitta dell’Umbria. (leggi qui Scontro a distanza Pd-M5S, in bilico l’alleanza alle Regionali). Ma il punto è: per andare dove e con chi? Con il suo 8%, come gli ha ricordato il segretario del Pd Nicola Zingaretti, contro una Destra al 48%? (leggi qui Zingaretti a Di Maio: “Alleanza finita? Auguri”).

Luigi Di Maio e Beppe Grillo © Imagoeconomica, Valerio Portelli

Ma da Di Maio hanno preso pesantemente le distanze il leader del Movimento Beppe Grillo, il presidente della Camera Roberto Fico e Giuseppe Conte, premier imposto da Grillo e basta.

Luigi Di Maio ha vinto le elezioni politiche del 4 marzo 2018, arrivando al 33%. Ma quell’exploit è stato tutto voto di opinione e quel tipo di consenso lì ha un solo titolare nel Movimento Cinque Stelle: Beppe Grillo. Poi è venuta la stagione di Governo, con la Lega di Matteo Salvini. Da quel momento in poi sono arrivate soltanto sconfitte clamorose per i Cinque Stelle. Fino a scoprire alle Europee che i consensi si erano dimezzati, mentre quelli della Lega raddoppiati.

Nel frattempo i pentastellati avevano subito pesantemente il ritmo imposto dal Capitano, alle Regionali avevano continuato a non esistere, alle comunali peggio. Per non parlare della gestione di provvedimenti-bandiera come il reddito di cittadinanza. Ma la più grande sconfitta politica di Luigi Di Maio è un’altra: non aver dato uno straccio di organizzazione al Movimento sui territori, specialmente nel momento in cui tutto il resto (dallo streaming alla piattaforma Rousseau) veniva stravolto per superiori esigenze istituzionali e organizzative.

Luigi Di Maio © Imagoeconomica

Poi la crisi del governo Conte, innescata da Salvini, fino alla nascita dell’esecutivo giallorosso. Senza un’alleanza vera con il Pd, i Cinque Stelle sono destinati a scomparire, all’estinzione. Magari si salvano con l’irrilevanza. Non possono tornare indietro da Salvini e non possono andare avanti da soli. Certamente l’alleanza con il Pd non scalda la base, ma è proprio per questo che occorrerebbe convincere i militanti e mettere in campo qualcosa di politicamente forte sul piano programmatico. Non certo la manovrina che si sta delineando. Non certo il fumo negli occhi del taglio dei parlamentari e dei vitalizi.
Dal 4 marzo 2018 i Cinque Stelle hanno subito sconfitte terribili, senza che il capo venisse davvero messo in discussione. La vera anomalia è questa.

Dal 4 marzo 2018 i Cinque Stelle hanno subito sconfitte terribili, senza che il capo venisse davvero messo in discussione. La vera anomalia è questa.