L’ultimo scatto di Lino Palmesi, professione fotoreporter

Ha smesso di scattare Lino Palmesi, uno degli ultimi grandi fotoreporter di Frosinone. Una vita tra assassini, rapine, incidenti. Con lui va via un mestiere fatto di tanta passione. E professione. Sviluppava alla luce del mozzicone di sigaretta

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Profumo di celluloide e fumo di sigarette: il momento degli acidi che si infilano nel naso ed in un attimo salgono a pungerti fino su nel cervello verrà dopo. Dopo quando sarà tempo di entrare in quella dannata stanzetta buia, dove se ti muovi fai danno e dove si può accendere solo una lampadina pitturata di rosso. Lì la celluloide impressionata per poche frazioni di secondo, al termine di decine di sigarette fumate nell’attesa di scattare, veniva immersa nella giusta miscela di acidi e rivelava il suo contenuto: foto di assassini in manette stretti tra due carabinieri, cadaveri a terra nel loro sangue, pistole sequestrate esibite come trofeo sul tavolo della polizia. Lino Palmesi era una faina: abilissimo come pochi a trovarsi nel posto giusto, al momento giusto, per scattare la foto da sviluppare poi nella Camera Oscura che a quei tempi stava nella redazione di ogni giornale e consegnare le immagini da mettere in pagina.

La vecchia scuola

Lino in una recente mostra

Vecchia scuola. Di quelli che in tasca portava sempre quattro tipi di rullino: due per le foto da fare di giorno e due per quelle di notte, più o meno sensibili a seconda delle condizioni di luce. Niente digitale, niente schermo nel quale controllare, nessuna possibilità di errore: se sbagli foto sei finito.

La foto la fai se hai la macchinetta pronta con la pellicola giusta e l’informatore che ti chiama in tempo. Nessuna altra regola. Lino Palmesi per decenni è stato un punto cardinale per la fotografia dei quotidiani locali. Nei tempi dell’analogico, della 6×6 e dei primi sviluppi delle foto a colori Lino Palmesi è stato uno dei cacciatori infallibili di immagini: una generazione eternamente in gara con il loro direttore o con il capocronista. Appena ricevevano la loro chiamata che avvisava della rapina, dell’incidente mortale, della tragedia, loro ti rispondevano sornioni “So già fatt’ tutto frà”.

Fotoreporter, gente strana

Camera Oscura

Gente stranissima i fotoreporter, devoti ad una religione che riconosce solo le regole dell’apertura nel diaframma e del tempo d’esposizione. Stop. Per il resto niente regole. Perché non può avere regole uno che per mestiere deve schizzare sul luogo del delitto a qualunque ora del giorno e della notte, se sta a tavola con i bambini o a letto con una signora. Feriali e festivi, sette giorni su sette, Natale o Ferragosto non fa differenza. Non c’è un posto che non puoi conoscere: una località di campagna, una via del centro, in tutti i 91 Comuni ed anche quelli dei territori al confine.

Lino la volpe astutissima, lo scatto sempre pronto, capace (come lui solo il fratello Edoardo) di sviluppare i negativi nella Camera Oscura usando solo la luce della sigaretta e capire come correggere la foto in un nano secondo.

Lino Palmesi ha smesso di scattare. È andato via domenica pomeriggio. Ha smesso di combattere con quel nemico che si è portato via tanti come lui a furia di respirare sigarette ed acidi. Con lui sparisce un altro pezzo del fotogiornalismo del capoluogo. Aveva 68 anni. I funerali sono stati fissati alle 15 di lunedì nella chiesa di Sant’Antonio a Frosinone.

Il ricordo di Renna

I mitici direttori e cronisti degli Anni 70. Da sinistra: Luciano Renna, Gianluca De Luca, Enzo Salines, Giulio Celletti, Raffaele Maietta, Umberto Celani

Erano pochi i fotoreporter negli anni Settanta e Ottanta. A Frosinone c’era Lino e suo fratello Edoardo, c’era Tonino Casinelli. Nessuno voleva fare quella professione: bisognava avere qualcosa di speciale per decidere di non avere orari, non avere festivi, rischiare la rissa pur di avere una foto. E non sapere cosa avresti trovato una volta arrivato sul posto. Poteva attenderti il cadavere di un amico, il corpo di un bambino e comunque nessuna possibilità di emozionarsi. La regola cinica del mestiere era chiara: prima scattare, poi sviluppare, poi eventualmente emozionarsi.

Ci aveva provato un ragazzino di appena vent’anni Andrea Renna, figlio del mitico Luciano Renna che era stato una colonna prima al Messaggero e poi al Tempo. Oggi è il direttore delle Bonifiche nel Lazio.

«Mi chiamava “concone” quando sbagliavo foto o esposizione. Mai con tono di disprezzo, sempre con quello del fratello maggiore che ti fa capire dove hai sbagliato; sempre pronto a dare suggerimenti per non sbagliare più».

I giornali non hanno mai arricchito quelli che ci hanno lavorato. I fotoreporter dovevano avere per vivere anche uno studio nel quale fare cose più umane. «Lino ha fatto della sua professione un modo di essere diventando anche fotografo artistico. Amava la sua professione amava ogni singolo scatto che regalava».

Il mitico negozio dei Palmesi

La fotografia è stata passione e dannazione per i Palmesi. ha contagiato praticamente tutti i fratelli. Oltre a Lino ed Edoardo scattava anche il fratello Tonino grande professionista della fotografia giornalistica; faceva il fotografo pure Gigino che con Lino ed Edoardo stava sempre – oltre trenta anni fa – nello storico negozio del Corso della Repubblica davanti al bar Silenzi. Altra storia di una Frosinone che non c’è più. E che da oggi non ha nemmeno gli scatti di Lino per poter fermare il tempo.