L’uomo che creò il Matusa a Frosinone. In ricordo di Luciano Renna

Quindici anni senza Luciano Renna. Cioè senza una delle penne più incisive del giornalismo locale. Un uomo che mise in tutto ciò che faceva la passione per la sua terra. E lo scetticismo dei giornalisti di razza.

Lo stadio Matusa lo ha inventato lui. Con uno dei suoi tratti di penna. Uno dei tanti regalati alla sua Frosinone. Che per anni ha descritto con i suoi affreschi. Luciano Renna non era né un ingegnere né un urbanista, tantomeno un pittore. È stato soltanto un giornalista: uno di quelli che hanno fatto la storia della città.

L’epoca eroica

Erano gli anni in cui l’Albo dei Giornalisti era stato appena inaugurato. I giornali a Frosinone si ‘chiudevano’ intorno alle 18.30 e poi bisognava correre alla stazione ferroviaria di piazzale Kambo. In mano una busta bianca con il logo del giornale, all’interno il menabò (il foglio millimetrato sul quale si disegnava ogni giorno la pagina), i pezzi (gli articoli scritti sui fogli con le righe rosse ed i margini segnati, 80 battute per riga compresi gli spazi), le foto rigorosamente in bianco e nero.

Sulla busta campeggiava una scritta: “Fuori Sacco“. Si consegnava direttamente al capotreno: era corrispondenza fuori dal sacco Postale in iuta che conteneva lettere e cartoline in viaggio da un capo all’altro del Paese. A Roma c’era un fattorino del giornale che attendeva il treno e ritirava la busta, poi correva a consegnarla in sede: via del Tritone se per Il Messaggero, Palazzo Wedekind per Il Tempo, . E lì i tipografi iniziavano a ‘comporre’ la pagina su una lastra di piombo.

Luciano Renna aveva scritto per entrambi: a lungo era stato direttore dell’edizione provinciale del primo, poi era stato l’anima del secondo. Mai aveva voluto farlo come attività esclusiva: perché avrebbe significato rinunciare all’altra sua grande passione: l’insegnamento.

Prof di educazione fisica e tifoso

Gli ‘immortali’ del giornalismo di Frosinone. da sinistra: Luciano Renna, Gianluca De Luca, Enzo Salines, Giulio Celletti, Raffaele Maietta, Umberto Celani

Da professore di educazione fisica ha insegnato ad amare lo sport ad intere generazioni di ragazzi che hanno frequentato il Liceo Classico di Frosinone. Ma anche all’Istituto Magistrale del capoluogo ed in alcune scuole di Veroli e Ceccano

In una stagione nella quale il calcio dominava su tutto, il prof insegnò quanto fossero belli anche basket e pallavolo. Ne fu allenatore scrupoloso: tanto che al suo nome sono abbinati numerosi successi e promozioni. Non è un caso che al suo nome sia abbinato un premio dell’annuale sfida di atletica Strafrosinone.

Il calcio invece lo raccontava. Il Frosinone lontano anni luce da quello gestito oggi da Maurizio Stirpe, nel quale era necessario fare le collette per racimolare i soldi con cui poter pagare l’iscrizione o coprire le trasferte interminabili.

Ma nonostante questo, al suo Frosinone non aveva concesso sconti: non lo prevedeva il suo modo di fare giornalismo. Fatto con carattere e soprattutto con uno stile unico: mai scontato, mai banale. Ricco di dettagli, perché a quel tempo i giornalisti andavano sul posto, osservavano i fatti, parlavano con i testimoni, cercavano conferme. Chi copiava era un incapace. Un gusto per la scrittura ed una precisione nella narrazione che l’avevano portato a collaborare con i quotidiani nazionali: il Giorno, il Gazzettino del Sud, Avvenire, La Sicilia.

Pioniere della tv

Il monoscopio della Tv

Ma anche con periodici locali e non, con le riviste specializzate. In quegli anni si andava a seguire i consigli Comunali e Provinciali. Dall’inizio alla fine. E poi si correva all’unico telefono pubblico per ‘dettare‘ la corrispondenza al ‘dimafonista‘ che stava a Roma.

Pioniere della televisione locale, sperimentò quel nuovo mezzo di comunicazione grazie all’intuizione di due calibri da 90 come l’avvocato Sordi ed Augusto De Medici. Furono loro a realizzare a Frosinone la prima tv libera: così si chiamavano in quegli anni, perché l’etere era dello Stato e potevano usarlo solo le reti pubbliche nazionali.

Con Telefrosinone Luciano Renna è entrato nelle case delle famiglie. Con educazione, classe e disinvoltura. Un mitico Tg, il primo scritto per Frosinone e concepito per raccontare la città. Il capoluogo si ritrovò all’improvviso in una dimensione nazionale: come se fosse la Rai, accanto al pulsante di mamma Rai, ma tarato solo su Frosinone.

E poi programmi come il Salottiere, con il quale realizzò approfondimenti epocali. Fu il primo a portare in tv l’allora procuratore della Repubblica Paolino Dell’Anno che aveva chiesto il trasferimento a Frosinone subito dopo l’assassinio del suo collega Fedele Calvosa e della scorta. ma anche le prime dirette con il sindaco in linea. O la rassegna stampa, affidata ad Arturo Paolino.

È stato l’anticipatore di un’epoca. Apprezzato anche nel Tg3 Lazio e in Tvn altra realtà nata grazie all’intuisizoone di Emilio Iacobucci altra eminenza grigia dell’imprenditoria locale.

Verificare, verificare, verificare

L’ETERNA OLIVETTI LETTERA 22 SULLA QUALE HANNO SCRITTO GENERAZIONI DI GIORNALISTI

Forte per i deboli e severo con i forti. Un suo articolo poteva mettere in crisi un’amministrazione o buttare giù un sindaco. Era il riferimento per diversi sindaci, presidenti di Provincia, consiglieri regionali. Al di là di schiarenti o ideali Renna: perché Luciano Renna cercava così di far affermare un modello di territorio.

Rispettava i riti ed i bizantinismi della politica della prima Repubblica. Ma non li amava. Capiva il distacco sempre più marcato tra chi governava ed il Paese reale. E lo scriveva. Lui che aveva visto tutti i grandi del Dopoguerra passati sul territorio non abboccava all’evanescenza che nelle nuove generazioni aveva sostituito la sostanza in politica.

La sostanza era quella di una generazione nella quale un fatto era vero perché “sta scritto sul giornale. Una rettifica era un’ignominia, una smentita era un colpo alla professione, una querela era solo una medaglia in più. E per evitarle esisteva un metodo: “verificare, verificare, verificare“: l’esatto opposto della pigrizia che domina la professione.

Era consapevole che il tempo passava. Ma non si rassegnava. Fino alla fine aveva voluto usare la sua fedele macchina da scrivere e poi qualcuno in redazione ‘batteva’ il pezzo sulla tastiera del computer. Aveva deciso di non subire la tecnologia ma governarla. Così quando era passato ogni tanto a scrivere ai primi sistemi di videoscrittura arrivati alla redazione de Il Tempo verificava il numero delle battute, compresi gli spazi, scherzava lui, per non andare troppo lunghi nelle severe griglie dettate da menabò (la pagina disegnata del giornale).

Via da 15 anni

GIULIO ANDREOTTI AL PREMIO RENNA

Luciano ha smesso di scrivere una mattina calda del 18 luglio di 15 anni fa. Lasciando uno stile ed una correttezza che sono ancora oggi una stella polare per chi vuole fare questa professione.

I figli, Piergiorgio, da anni apprezzato scrittore di testi storici e sportivi oltre che esperto sportivo, ed i gemelli Alessandro ed Andrea. Tutti e tre pubblicisti, organizzarono un premio dedicato ai giornalisti del nostro territorio. Riuscirono a mettere insieme Giulio Andreotti e Michele Santoro.

Un salone della Provincia così gremito non si ricorda proprio da quell’evento. Andreotti, che aveva conosciuto e bene Luciano, ricordò con precisione aneddoti con diverse battute e incrociò Santoro (uno dei figli, il gemello Alessandro, apprezzato regista è stato anche suo regista) rilanciando l’immagine di Frosinone, della Provincia intera.

Andreotti era stato invitato dall’altro gemello Andrea, oggi direttore regionale dei consorzi di bonifica del Lazio, allora Portavoce del presidente della Provincia Francesco Scalia. Lo aveva incontrato in Senato a Roma. Lo aveva convinto con lo stesso Scalia ad esserci.

«Manca più oggi di 15 anni fa – commenta Andrea Renna – mi ha insegnato tutto. Un peccato non potermi confrontare con lui come ho sempre fatto».

Un’assenza che però è presenza. Data dalle cose che ha scritto. Attuali ancora oggi. Pochi sanno che fu lui a battezzare Matusa lo stadio comunale di Frosinone: lo fece con uno dei suoi proverbiali articoli, per indicare che la città di Frosinone stava andando in rovina. E l’emblema era quel vecchio Comunale sopravvissuto al tempo ma ancora capace di resistere e andare avanti, come un matusa che aveva superato il tempo e continuava a resistere perché nulla e nessuno erano ancora venuti a sostituirlo.

Magistrale. Anche a 15 anni dalla morte.