Un Paese che si salva con le gesta di pochi (di V.Macioce)

Vittorio Macioce

Il Giornale - Caporedattore

 

di VITTORIO MACIOCE
Giornalista Scrittore
Capo Redattore Il Giornale

 

Dodici uomini contro la notte, dodici uomini contro la neve, dodici uomini in salita, dodici uomini in colonna a venti metri uno dall’altro e a darsi il cambio in testa come fanno i lupi, con gli sci con la pelle di foca e il caschetto con la torcia, con la strada che non è più strada e sulle spalle la pala e la sonda.

Dodici uomini che si chiedono a turno quanto ancora ci manca e sono partiti otto chilometri prima con la sola speranza di arrivare in tempo. Dodici uomini per cui non conta il grado, perché sono uomini e non caporali. Non gridano al mondo il proprio nome, ma se lo sussurrano tra di loro quando serve darsi una mano e allora senti Lorenzo, Mauro, Marco, Ivan, Antonio, Francesco.

Non sono angeli e non sono apostoli. Sono persone che quando il caos prende il sopravvento fanno il proprio dovere e quello che ci mettono in più, perché ce lo mettono, è qualcosa di profondo, che viene dalle madri e dai padri, dalla passione, dal respiro della montagna, da una vita in verticale, da chi da sempre magari è abituato a camminare in salita, dallo specchio sincero con cui fai conti la mattina, dalla coscienza e dall’adrenalina. Quello che è certo è che sono loro il fattore umano che tiene a galla questo sciagurata penisola.

Beato il paese che non ha bisogno di eroi. Questa è la frase che Bertold Brecht fa pronunciare al suo Galileo. Solo che l’Italia non può ancora permetterselo, perché forse è il nostro destino e sicuramente è la nostra storia. Qui il colpo di reni, la resistenza inaspettata, il miracolo improvviso, arriva sempre dai pochi, dagli individui, dalla compagnia disperata dei singoli, da chi cammina sul filo e non si sa bene dove trovi la forza di non perdere l’equilibrio.

La regola ti dice che in un paese normale non ci sarebbe bisogno all’impresa straordinaria di pochi. C’è una struttura, un’organizzazione, un protocollo per fare i conti con le emergenze, con una catena di comando certa, dove ognuno sa cosa fare, senza pregare, senza improvvisare, con professionisti pagati per fare il possibile e non per sfiorare l’impossibile, perché i miracoli dei dodici uomini del soccorso alpino, della guardia di finanza, della protezione civile non hanno prezzo. Non si può dare un prezzo ai miracoli. Non si possono pagare gli eroi. Non perché non se lo meritino, ma perché non sarà mai abbastanza. L’Italia allora va avanti così, sopravvive con le gesta dei pochi, con la beffa che i pochi qui da noi non hanno mai cittadinanza.

È il nostro paradosso. Siamo in debito morale con i pochi senza nome ma per politica e clientela si beneficiano i molti. I pochi senza nome non sono ricchi, non sono potenti, non sono famosi. Sono invisibili. Sono i medici dell’ospedale di Nola che per carenza di posti letto e di mezzi davanti all’emergenza si danno da fare per curare i pazienti dove e come si può, per terra, in corsia, con coperte di fortuna. Sono quelli che continuano a faticare, a sognare, a credere, a resistere anche in un’Italia senza futuro. Sono quelli che non si aspettano nulla dalla provvidenza di Stato.

È tutta gente che un po’ si sente in imbarazzo se alla fine li chiami eroi, perché quando stai lì a correre nella notte controvento non pensi a nulla di straordinario, ma solo ad arrivare in fretta. Ma se ancora una volta restiamo a galla è per quelli come loro.

 

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