Mad e Sogin, l’inquinamento porta allo stallo

Servono nuove analisi sull'inquinamento sotto la falda della Sogin. La similitudine con il caso Mad in provincia di Frosinone. Il rischio di stallo

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Occorrono nuove analisi. E nuove documentazioni. Servono verificare il potenziale inquinamento della falda sotto la ex centrale nucleare di Borgo Sabotino a Latina. Il Comune ha preso atto delle risultanze della conferenza di servizi del marzo scorso: non ha approvato il documento prodotto dalla Sogin la Società di gestione degli impianti nucleari italiani.

Il no è legato al parere non favorevole di Arpa Lazio, l’agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente.

Perché no

La centrale nucleare di Latina

L’atto è stato pubblicato sull’albo pretorio online dell’amministrazione di piazza del Popolo. Specifica come l’Arpa abbia evidenziato che «l’elaborato non è un documento previsto dalle procedure operative e amministrative sulla Bonifica siti inquinati. Pertanto non è oggetto di valutazione da parte di questa Agenzia».

Per questo motivo, il Comune ha determinato «di concludere il procedimento e di non procedere all’approvazione del documento» trasmesso dalla Sogin il 1 febbraio scorso. E contestualmente di «disporre, da parte del Soggetto Obbligato, la produzione di un elaborato progettuale che si fondi sulle Linee Guida Snpa per la definizione dei valori di fondo nei suoli e nelle acque. Verrà sottoposto alla valutazione di Arpalazio in vista della successiva approvazione da parte della Regione Lazio in una conferenza dei servizi appositamente convocata».

In bilico dal 2016

Il cantiere sul sito nucleare di Latina (Imagoeconomica)

La vicenda risale al 2016, quando Sogin comunicò d’avere rilevato nelle acque di falda la presenza di cloruro di vinile superiore alla soglia di rischio. Lo avevano registrato un paio di piezometri.

In Comune all’epoca c’era il Commissario Giacomo Barbato, emise l’ordinanza di divieto di emungimento dell’acqua dai pozzi nei comprensori abitati a sudovest e a nord della centrale. Non solo: in base al documento-parere della Provincia, «la campagna di dicembre 2021 ha evidenziato delle eccedenze delle CSC nelle acque sotterranee a carico di ferro e manganese, arsenico e solfati».

Ma non sarebbero legati direttamente legati alla ex centrale. Allora chi ha inquinato quelle acque ed in che modo? Quando la ha fatto?

C’è un precedente analogo, che ha chiamato in causa il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Riguarda l’area al confine tra Roccasecca e Colfelice, in provincia di Frosinone. Lì c’è il polo per la lavorazione dei rifiuti urbani prodotti dai Comuni ciociari. I sensori hanno rilevato una concentrazione di metalli superiore alla soglia. Lo stabilimento pubblico di lavorazione dei rifiuti Saf e la società privata che gestisce la discarica Mad hanno portato i documenti: quello stesso inquinamento c’è prima dei loro impianti. Allora è una concentrazione naturale del terreno.

Inquinamento naturale?

Uno degli invasi della discarica di Roccasecca

A Latina viene avanzata la stessa ipotesi. Emerge dalla conferenza dei servizi del marzo scorso. Nel verbale della seduta allegato alla determina di oggi, il punto di vista di Sogin è affidato a colui che si presenta come «l’ingegner Papacé, che sta seguendo la Centrale di Latina dal punto di vista tecnico su questa procedura», e che prende la parola «per conto di Sogin».

Sostiene l’ingegnere che «dopo anni di vari approfondimenti, anche tecnici, siamo arrivati da ultimo a dicembre ad avere una valutazione positiva sulle attività di bonifica da mettere in campo». Evidenziando come «questo è un sito che a partire dal 2013 in poi è stato caratterizzato prima mediante piano di caratterizzazione su tutte le componenti, sia suolo che falda, portando alla redazione di un piano di caratterizzazione e poi ad analisi di rischio. Tra un’analisi di rischio e l’altra abbiamo fatto ulteriori indagini, prove, sondaggi. Il sito è stato particolarmente indagato».

Tradotto: quest’area la stiamo studiano dal 2013 ed abbiamo monitorato sopra e sotto. E finalmente ne siamo venuti a capo. Di cosa?

Per il responsabile di Sogin, «questi analiti normalmente si riscontrano all’interno di quella tipologia di roccia e di suolo. E nelle particolari condizioni che ci troviamo ad avere. Perché siamo proprio di fronte alla costa: abbiamo intrusione di cuneo salino».

In pratica, pure qui potrebbe essere un fenomeno naturale. Potrebbe. Che è diverso dal poter dire ‘è‘.

Il rischio di stallo

Il documento presentato da Sogin, infine, intendeva «dare evidenza di quello che stiamo facendo. Completare da un punto di vista amministrativo il passo procedurale della notifica, e rendere chiaro quello che sta succedendo ad oggi. Quello che abbiamo fatto, e comunque le prime indicazioni su quello che noi riteniamo utile fare».

Ovvero, «noi non riteniamo che ci sia una contaminazione che debba essere in questo momento arginata o su cui andare ad agire in urgenza. Riteniamo che sia sicuramente utile continuare a monitorare l’andamento della presenza di questi analiti al di sopra delle concentrazioni soglia di contaminazione. Poi, ovviamente, la posizione di Sogin adesso come sempre é quella di seguire le indicazioni che vengono dalla conferenza dei servizi».

Il rischio è quello di uno stallo. Esattamente come avvenuto in provincia di Frosinone. A Roccasecca la Mad non intende attivare il nuovo ampliamento della discarica provinciale. Pretende che venga fissata con rigore scientifico una soglia di partenza dell’inquinamento. Cioè venga detto da un ente scientificamente titolato ed accreditato: è questo il livelli naturale di inquinamento del suolo, tutto ciò che è di più sarà oggetto di approfondimento per capire chi l’ha determinato.

Nessuna risposta

Le provette nei laboratori Astrazeneca

Mad non ha avuto risposta. A Latina per ‘Arpa «c’è bisogno di un elaborato che dimostri, sia da un punto di vista geologico, idrogeologico e statistico, che le informazioni, il dataset che è venuto fuori, é effettivamente riconducibile ad una causa naturale e che quel superamento è la nuova CSC. E in quel contesto lì si può uscire autocertificandosi».

A Roccasecca hanno detto no: che i dati raccolti durante i lavori di scavo del primo invaso oltre vent’anni fa non sono sufficienti. La Ciociaria non è vicina al mare.