Da Trisulti al Vaticano e Bruxelles, quello che non abbiamo capito del progetto di Bannon (di M.G. Maglie)

Foto: copyright Freddy Adams

Cosa non abbiamo capito del progetto di Steve Bannon e del suo fortino culturale a Trisulti dal quale partirà l'attacco ideologico con cui conquistare l'Europa ed imporre una sterzata tradizionalista al Vaticano. L'analisi, con la sua capacità unica, di Maria Giovanna Maglie

Maria Giovanna Maglie
per DAGOSPIA

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Trisulti, provincia di Frosinone, una Certosa che lo Stato Italiano ha affittato all’istituto Dignitatis Humanae per centomila euro l’anno, è il luogo che meno ti aspetti come quartier generale in Europa di Steve Bannon e del prossimo attacco populista al Parlamento Europeo e al Vaticano di Bergoglio. Eppure eccoli, il nemico è alle porte, i barbari sono sotto le Mura. E c’è pure il detestato, dal papa, Cardinale Leo Burke. (leggi qui A Trisulti il quartier generale del piano per portare i Populisti nel Vaticano).

 

Chissà se ad Antonio Tajani glielo hanno detto, lui che quando sente nominare Steve Bannon fa come i tori col colore rosso, lui che si definisce sovranista europeo, e crepi la logica; lui che sabato scorso alla notizia dell’arrivo di Bannon alla festa di Atreju organizzata a Roma da Giorgia Meloni, si è talmente infuriato da farsi venire un’improvvisa influenza galoppante, e ha rinunciato ad essere su quel palco, intervistato, salvo trascorrere lo stesso pomeriggio a farsi i selfie in quel di Fiuggi con fans, pochi, e giornalisti, molti, accorsi al raduno di Forza Italia.

Chissà se glielo hanno detto che il quartier generale europeo di Steve Bannon ufficialmente è a Bruxelles, tanto per urticare un po’ i vari Juncker e compagni, ma la scuola di formazione è pronta in territorio ciociaro, che Tajani a buon diritto rivendica come territorio suo. Non che i risultati elettorali abbiano di recente premiato le scelte dell’illustre figlio, anzi è stato un vero bagno, ma di qui a vedersi invaso tagli orrendi sovranisti…

 

Non che a Roma abbiano capito granché di Steve Bannon e del suo progetto. A lui l’Italia piace perché è convinto che sarà il grimaldello per aprire l’Europa come una scatoletta di acciughe, e magari ha ragione, e magari, anzi senz’altro, ha fatto un bel colpo Giorgia Meloni a portarselo alla sua festa sull’isola Tiberina di Atreju sabato sera, perché così ha dimostrato tanto al furioso Tajani che al trionfante Salvini che lei c’è e si fa sentire nel suo piccolo.

Ma certo all’incomprensione Bannon è per il momento condannato, sia che si tratti di avversari che fumano dalle narici quando lo sentono nominare, sia che si tratti di amici anche abbastanza entusiasti, come la platea di sabato sera a Roma.

Per i primi è un fascista, razzista, antisemita e guerrafondaio, che ha portato con l’inganno il disastroso Trump alla Casa Bianca. Per gli altri è un reazionario anticapitalista, quindi antiamericano, e putiniano. Sperano di potersi fidare di lui, questo ha detto il giornalista Alessandro Giuli che lo intervistava sul palco, se io non ho capito male, di lui e di Trump, perché li considerano antiamericani come loro.

Ma Bannon è tutt’altro. È un americano reaganiano post globalizzazione, quindi convinto che l’America debba ritrovare la sua grandezza e il rapporto col suo popolo, che dalla globalizzazione e dalla mediocrità di uno Stato rapace è stato tradito. E’ anche un cattolico, quindi convinto che la Chiesa debba ritrovare un pontefice in grado di gestire il suo popolo, di fronteggiare l’islam, di combattere il relativismo culturale.

E l’Europa? L’atlantista Bannon pensa che l’Europa si salvi solo con l’America, la sua naturalmente, non quella di Obama, tanto meno quella di Soros, il grande nemico, contro la sua Open Society nasce The Movement.

Nessuno perciò dovrebbe farsi venire in mente di invocare la vecchia bandiera identitaria antiamericana della destra. Bannon non è altra cosa, Bannon è l’America, è Obama che era un’altra cosa. Perciò la domanda posta ad Atreju era sbagliata, se rivolta a Steve Bannon.

Non e’ “possiamo noi fidarci di Trump e dell’America”, ma “come mai l’America di Trump si fida di noi”, che siamo stati tra i popoli europei il più prono alle regole e ai dettami dell’Unione, che abbiamo avuto negli ultimi presidenti della Repubblica e governi i più ferventi servitori dell’altra America, quella sconfitta da Trump, e del partito di Davos.

 

Infatti di noi come siamo non si fida. Gli piace Salvini e gli piace anche la Meloni, non gli dispiacciono i 5 stelle. Ma per le prossime elezioni europee in quel di Trisulti pensa di organizzarsi in proprio, tirando su e allevando una nuova generazione e classe politica. Perciò a Bannon converrà abituarsi, perché resterà nei paraggi a lungo, e può anche essere odioso e odiato, ma non dovrebbe essere giudicato per quello che non è, nei soliti stereotipi appiccicati dal corrispondente collettivo unico.

Già ufficiale della marina, avvocato, manager di successo, master alla Business School di Harvard, broker da Wall Street, produttore cinematografico a Hollywood, stratega micidiale di Donald Trump negli Stati in crisi economica e d’identità, che avevano sempre votato per i Democratici, e che lui conosce benissimo – e per questo accusato delle più grandi nefandezze e imbrogli –, per qualche mese alla Casa Bianca come un elefante in cristalleria, ritiene la dottrina liberal e i presidenti Democratici un accidente nella storia d’America.

Il suo idolo è Ronald Reagan, avete presente quello che ha fatto fuori il comunismo, insieme alla grande Margaret Thatcher. Bergoglio non lo può sentire nominare, il suo mito è Giovanni Paolo II, un altro che in missione disperata contribuì alla sconfitta del comunismo, ma anche Ratzinger del discorso di Ratisbona sulla superiorità dell’Occidente, il Ratzinger delle radici giudaico cristiane che l’Europa si è rifiutata di accogliere come fondanti.

La difesa di Israele è fondamentale per costruire il vero atlantismo, è sua l’idea del gesto clamoroso di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme capitale, altro che la costante accusa di antisemita contenuta nella cattiva scrittura di tutti i giornali che ne parlano male.

Pensa che Vladimir Putin sia “un cattivo ragazzo, non a caso un ex Ufficiale del Kgb”, ma pensa anche che è necessario farla finita una volta per tutte con la guerra fredda, ormai grottesca, ed è convinto che Barack Obama con la sua inesistente e rinunciataria, quando non collusa, politica estera, abbia contribuito alla riscossa e avanzata dell’Islam nemico dell’Occidente, ma anche al rafforzamento delle pretese imperialiste della Russia.

 

Perciò chi se lo sceglie come compagno di strada è bene che ricordi che Steve Bannon è prima di tutto un americano, uno che crede che le radici del modo giusto di governare stiano nella Costituzione degli Stati Uniti, a partire da quel “We the people”, e nella Dichiarazione di Indipendenza, “Life Liberty and the Pursuit of Happiness”, il diritto alla vita alla libertà e al perseguimento della felicità, diritti inalienabili che Dio ha concesso all’uomo e lo Stato non osi togliergli.

 

Questo è lo spirito di Trisulti e della scuola di formazione politica, che è li’ già da un paio d’anni come Istituto Dignitatis Humanae. L’associazione si è aggiudicata dal Ministero dei Beni Culturali la millenaria Certosa per un canone annuo di 100mila euro, e ne garantisce la manutenzione e valorizzazione.

L’associazione è stata costituita nel 2008, a quanto dichiara il fondatore, l’inglese Benjamin Harnwell, Bannon è coinvolto e contribuisce alla costruzione del progetto già da quattro anni. Ora sta definendo il piano di studi per la formazione di nuovi leader conservatori e cattolici. Circa 300 studenti potranno essere ospitati, standard molto alti, due corsi principali. Il primo sarebbe di leadership per l’occidente giudaico-cristiano, il secondo dedicato al Cardinal Martino, promuoverebbe insegnamenti cattolici e sociali in difesa della vita.

Questo secondo corso ha un ispiratore pesante: si chiama Raymond Leo Burke, 70 anni, americano del Wisconsin, cardinale del titolo di Sant’Agata dei Goti, ex arcivescovo di St. Louis, elevato alla porpora da Benedetto XVI, già presidente del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica, poi rimosso da Bergoglio che lo ha pensionato a patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Burke ha firmato i “dubia”, la lettera di critiche al papa per le sue aperture su divorziati, risposati, aborto. Ha una posizione durissima su Islam e immigrazione, ha introdotto in numerose occasioni il tema del papa eretico; di recente ha appoggiato le denunce e i documenti presentati da Monsignor Carlo Maria Viganò sulle coperture che Bergoglio ha fornito ai pedofili nella Chiesa.

Burke è il presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto Dignitatis Humanae.

Bannon torna negli Stati Uniti perché ha da fare con un nutrito gruppo di suoi candidati alle elezioni di midterm del 8 novembre, poi sarà tutto nostro. Auguri.

 

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