Gli esami di maturità vissuti quando sei mamma (Il caffè di Monia)

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Arriva il momento in cui una figlia deve affrontare il suo primo vero esame: la maturità. E la tua casa diventa un campo di battaglia tra libri, quaderni, appunti. Lei che ti ripete Platone e l'Astronomia in maniera ossessiva. Senza limiti, giorno e notte, in bagno e in cucina. Per scoprire, alla fine, che il verso esame è quello che stiamo per affrontare noi mamme. Stanno per lasciarci. E non siamo pronte.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Succede che una bambina di diciannove anni (lo so, ma per noi mamme restano sempre bambine a qualunque età, anche dopo il secondo divorzio o il terzo parto) abbia il suo primo esame vero. Quello di maturità. Succede che tu non sei ancora pronta, forse meno di lei. Succede che non ti senti abbastanza matura a ragionar della volgar lingua; che Livio Andronico non sia più nelle tue corde e di quella cosa strana di particelle lontanissime che danzano all’unisono sfidando le leggi dello spazio e del tempo seguendo la sotterranea ed invisibile partitura dell’entanglement, non te ne freghi proprio niente.

Succede però che i suoi occhi di tempesta ti chiedano di restare lì, presente e attenta a catturare ogni singulto della voce, ogni disequilibrio della frase, ogni declinazione pronunciata male.

Può succedere anche che te lo chieda mentre covi il wc, ma i suoi occhi dicono che devi fregartene e starla a sentire. E resti con la carta igienica a mezz’aria e la carta dei tomi davanti al naso, ma resti. Resterai sempre per la tua bambina.

Succede allora che dello stress pre-esame sia tu l’unica, sola e triste vittima di una guerra spasmosentimentale tra il cuoredimamma e lanimadechitemuort figlia mia a te e Platone.

Io ci ho provato, lo giuro. Ho invocato Padre Amorth più e più volte. Ma niente. La notte è come il giorno. Il giorno come la notte. Quella seguente peggiore della notte prima. Guardo la mia casa e non la riconosco. Eppure io me la ricordo bene. Aveva stanze ben disegnate, c’era una cucina dove preparavo da mangiare, un salone con un divano, un tavolo grande ed un televisore. E poi avevo una stanza da letto. Io lì ci dormivo, un materasso comodo, due guanciali e una sedia. Ed il bagno, non grandissimo, ma per le sue “funzioni” era sufficiente.

Se non ricordo male, avevo anche un paio di occhiali da lettura. Io ci ho provato ad invocarlo Padre Gabriele Amorth, il più grande esorcista contemporaneo, ma lui, la Bestia, è ancora qui. Si è insidiato tra le mie mura, dentro i miei giorni, tra le mie cose. Lui che ha facce e tempi indefiniti ed un nome: Esame di Maturità.

Una testa e due code. Due quante sono le mie figlie. Loro, quelle che un tempo erano le mie bellissime bimbe adorate. Volto catatonico, sguardo rosso infuocato, capello scompigliato e mantra infernale che ripetono a mo’ di ritornello e a turno nelle mie orecchie stanche: “Ma’ io non mi ricordo niente, come va va”.

Non posso aver generato tali creature. Non può essere questa la mia casa. Due di notte di una notte come le altre. Provo a dormire un po’. Questa è la volta buona. Entro in quella che un tempo era la mia camera. Con l’ultimo briciolo di amore prendo i libri di scuola che sono ancora sul mio letto. Li chiudo. Prima Matematica, è il più grande, con relativo fascicolo “costruire le competenze”. Nessuna privacy, ormai è un ricordo. Dall’angolo del letto qualcuno mi guarda è lui, Immanuel. Proprio qui dove affrontare il problema del mondo intellegibile? Io voglio solo dormire.

Accatasto anche questo e via di seguito con “The cat is on the table”, “ Je suis Catherine Deneuve”, Fibonacci a seguito e Dante. E qui inchino, chapeau e accatastamento.

Mi allungo, ancora con la mente all’ultimo libro dell’Iliade raccontato da mia figlia. La porta si spalanca. Entra una luce abbagliante. E’ lei, la Creatura. “Ma’, hai visto il mio libro di filosofia?”. No. Non può essere vero. “E comunque come va va”, dice.

Battiti accelerati, cispa agli occhi e caccia al testo di quattrocentosette pagine. Ho capito, anche stanotte è finita. A tentoni mi avvio nel salone. Non ricordavo di avere tanti libri. Non esiste più tavolo, non esiste più divano, pavimenti. libri, libri che si moltiplicano, si sfogliano, parlano, ti inseguono…Ma c’è qualcosa di diverso questa notte.

Ecco sì, si sono scambiate di posto. E già un languido movimento c’è stato. Ripassino notturno. Ora so tutto. Conosco come si formano le stelle, come evolvono e come finiscono la loro vita, so che sono raggruppate in grandi continenti stellari, le galassie, e queste a loro volta in gruppi di poche decine di individui, o in grandi ammassi contenenti parecchie centinaia di galassie, e anche gli ammassi di galassie sono raggruppati a formare i superammassi. So che galassie e ammassi di galassie sono immersi in uno spazio praticamente vuoto che si espande e li trascina nel suo moto di espansione. E che io, adesso, in qualsiasi Buco Nero, mi ci ficcherei, e “Come va, va”.

E poi succede anche questo. Che vorrei che queste notti infernali non finissero mai. Tra pochi giorni la casa sarà straordinariamente silenziosa. Le stanze vuote. La televisione spenta. Il rumore dei tasti sulla tastiera mi sembreranno una tetra novità.

Sono così abituata alla loro presenza disordinata che lo spazio di questa casa mi sembrerà ancora curvo intorno alle loro piccole forme. Se chiudo gli occhi ora, mentre ripetono, studiano, disturbano le mie notti e mi lascio andare, la mia mente si avvia lungo una lenta deriva gravitazionale che mi conduce nel punto di discontinuità dove più forte si concretizza la loro inevitabile assenza: il tavolo con i loro libri e oggetti sparsi intorno come le schegge di una granata.

È l’ennesimo scatto dell’invisibile lancetta del tempo. Quella che segna i passaggi tra il prima e il dopo. Che chiude una fase per aprirne un’altra. È per questo che resto qui, nel mio lungo turno di guardia, ad attendere di diventare inutile. E questo è, nello stesso tempo, un dolore e una consolazione.

Loro all’inizio del cammino e guardano avanti. Io scruto il terreno e cerco solo un posto dove sedermi. E queste lunghe notti sono un giuramento eterno che trascende ogni forma di patto. Chissà se un giorno, quando cammineranno da sole lungo le strade di una città livida, lontana nel tempo e nello spazio, per quelle vie che non potrò mai vedere e in quei luoghi che oggi ancora non esistono, ricorderanno queste ore sospese tra albe e tramonti, tra storia e geometria e l’amore stanco e struggente di cui, senza saperlo, erano totalmente pervase.

Questo è l’Esame più difficile, la mia Maturità: lasciarle andare. E tocca a me: non sono ancora pronta e forse non lo sarò mai.