La sindrome del bunker e il suicidio assistito di Forza Italia

Foto © Imagoeconomica, Benvegnu' Guaitoli

Mara Carfagna è mentalmente uscita dal partito ma per il momento non strappa. L’ira di Silvio Berlusconi l’ha stancata ma non la tocca. Il punto politico è che il Cavaliere ha sempre meno fedelissimi e subisce continue emorragie di voti. Ha senso restare in un partito così? Deve chiederselo anche Claudio Fazzone. Subito.

Più Forza Italia arretra, più Silvio Berlusconi isola il fortino degli ultimi fedelissimi. Peccato che quello che nel frattempo succede nella politica italiana non giochi a favore delle scelte del Cavaliere. Mara Carfagna per il momento non strappa, ma ormai è mentalmente uscita da Forza Italia.

Partiamo dai fatti delle ultime ore, raccontati mirabilmente dall’Huffington Post. Così:

Adesso basta, Mara non può continuare a fare il controcanto. Sta diventando come  Fini…”. Mai si poteva immaginare che un giorno Silvio Berlusconi avrebbe pronunciato queste parole nei confronti della sua prediletta Mara Carfagna, cresciuta a pane e Forza Italia, voluta fortemente dallo stesso Cavaliere in Parlamento e valorizzata in questi anni, non solo come ministro del suo ultimo governo, ma poi come vicepresidente della Camera, e ancora come coordinatrice degli azzurri.

In un amen però tutto cambia. E ora viene addirittura accostata a colui che ha più ferito in questi lunghi 25 anni di discesa in campo il leader azzurro. Vale a dire Gianfranco Fini.

Ma partiamo dall’inizio. Succede, in Senato, che Forza Italia si astiene sulla mozione Segre che ha come scopo quello di istituire una Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza e dell’istigazione all’odio e alla violenza. Succede appunto che un minuto dopo il via libera di Palazzo Madama, la vicepresidente della Camera prende carta e penna e si dissocia dall’atteggiamento degli azzurri in Aula: “La mia Forza Italia avrebbe votato a favore. Stiamo tradendo i nostri valori”.

Ad Arcore, appena legge la dichiarazione, il Cavaliere sbotta e inizia a telefonare. Non ne può più del “controcanto” di “Mara”, delle sue uscite a ogni piè sospinto contro Forza Italia. “Ora ha stufato”, si sgola con i fedelissimi. “Sta facendo come Toti e Fini”. E ancora: “Cerca la legittimazione dai nostri detrattori solo per farci male. Ormai si è montata la testa”.

A Villa San Martino qualcuno accosta la vicenda ai giorni del “che fai, mi cacci?”, alla direzione nazionale del Popolo della Libertà che sfociò nello scontro fra l’ex premier e Fini, proprio a causa del controcanto quotidiano. Non a caso di lì a poco l’ex presidente della Camera se ne andò dalla casa berlusconiana e fondò un partito, Futuro e Libertà, “e sappiamo tutti come è andata a finire”, sottolineano dalla war room del tycoon”.

Le differenze però fanno la…differenza. Silvio Berlusconi non è più il leader di un Pdl che viaggiava tra il 30 e il 40%. È il capo di un partitino che oscilla, nei sondaggi, tra il 6 e il 7%. Mara Carfagna non è Gianfranco Fini, non ha la forza che l’ex leader di An aveva in quel momento. Ma Fini non è finito su quello strappo, semmai su vicende che nulla hanno a che fare con la politica.

Se la Carfagna dovesse andare via, per Forza Italia sarebbe un colpo letale. Sicuramente in Campania, ma soprattutto a livello parlamentare e di immagine esterna. Indipendentemente dal fatto della eventuale ricollocazione della Carfagna: se con Renzi o con Toti. Oppure da sola. Il messaggio che passerebbe sarebbe quello di un Berlusconi che si confronta solo con il cerchio magico e con alcuni fedelissimi. Ma per fare cosa?

Un tema che deve porsi anche il senatore e coordinatore regionale Claudio Fazzone. Vale la pena restare in un Partito dove ogni manifestazione di dissenso comporta uno strappo o un’uscita? Ma soprattutto una perdita di voti infinita?

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