La storia di una squadra di calcio particolare. Messa su da cinque Centri di Accoglienza. Fatta solo da migranti. Troppi. E per questo sa che non potrà ottenere nessuna promozione. Ma è prima nel campionato di III Categoria. Perché la libertà è correre appresso ad un pallone
Se vuoi provare a cambiare il mondo, inizia prendendo a calci un pallone e fa sì che diventi la tua storia.
Quella di Marafrica è una storia semplice ma per raccontarla non basta scorrere la classifica dall’alto in basso come si fa consueto, analizzarne media inglese e numero di reti. Bisogna andare ancora più in basso, alla voce “squadre fuori classifica” perché è lì che ha inizio il racconto di questi ragazzi dalle divise fosforescenti e dalle vite ai margini di una società che il più delle volte li preferisce invisibili.
Quella di Marafrica è soprattutto una scommessa. La sfida vinta da cinque CAS ciociari – Centro di accoglienza straordinaria – che l’estate scorsa hanno deciso di investire mezzi economici e risorse in un progetto sportivo finalizzato all’integrazione dei propri migranti all’interno del contesto sociale che li ospita.
Da lì, i tesseramenti, l’iscrizione al campionato di terza categoria Girone A – con la consapevolezza che non ci sarebbe stato nessun salto di categoria visti i regolamenti della FIGC che prevedono una soglia massima di giocatori extracomunitari per ciascuna squadra – le selezioni, gli allenamenti, la scelta di un campo per le partite casalinghe, il “Trecce” di Sora, il calcio giocato.
Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in un campo di calcio.
Sarà per questo che a due giornate dal termine del campionato i ragazzi allenati da Alessandro Vitti sono primi in classifica con 64 punti. Nonostante sappiano fin dall’inizio che non avverrà nessuna promozione e che l’unico posta in palio sarà giocare.
Sarà per questo che li guardi e vedi in loro l’essenza di questo sport: la sensazione di libertà che si prova a correre dietro ad una palla, quella gioia sciocca ma vera per una vittoria, gli abbracci con i compagni ed una squadra che diventa anche un po’ la tua famiglia.
Sarà che a sentirsi liberi di correre, di esultare e di abbracciarsi si smette di sentirsi “profughi” e si torna ad essere uomini.
Ed è questa la vera “promozione”.