«Marino venne incaprettato dal Pd, Orfini fu il regista»

Foto: copyright Imagoeconomica, Stefano Carofei

L'ex sindaco di Roma Ignazio Marino "venne incaprettato dal Pd e Matteo Orfini fu il regista". Ne è convinto l'ex assessore Masini. Orfini: "Ha problemi di memoria". Fango, veleni e trappole nei ricordi di Torquati

Ignazio Marino fu incaprettato dai vertici del Pd che volevano commissariare la Giunta. Orfini volle la mia testa per mettere i suoi e quello fu l’inizio della fine dell’amministrazione del chirurgo Dem“: è un duro atto di accusa contro Matteo Orfini, ex commissario del Pd di Roma, quello lanciato oggi da Paolo Masini, storico esponente del Partito Democratico della Capitale, consigliere comunale ed ex assessore ai Lavori pubblici e poi alla Scuola nella giunta di Ignazio Marino.

L’assessore più rimpianto

Masini è stato l’assessore più rimpianto tra quelli defenestrati dalla Giunta del “Marziano”. Quando Marino fu costretto a spostarlo dai Lavori Pubblici alla Scuola, mettendo al suo posto Maurizio Pucci, si levò forte il disappunto delle forze imprenditoriali di Roma con il presidente dell’Acer, Edoardo Bianchi, che poco dopo dichiarò pubblicamente come la lotta alla corruzione e all’innovazione ebbe uno stop dopo la sua sostituzione.

Quando invece Marino fu costretto a metterlo alla porta si sollevarono gli assessori municipali, il mondo della scuola e partì una campagna sociale “Io sto con Masini“.

Da assessore ai Lavori pubblici, quando era vicepresidente dell’associazione antimafia Avviso pubblico, firmò il Patto per la legalità con il coinvolgimento del giudice Pignatone, della Questura di Roma, dei sindacati e degli imprenditori; realizzò le Casette dell’acqua, firmò il nuovo regolamento per gli scavi.

Per contrastare il fenomeno delle buche introdusse il nuovo asfalto con materiale ricoeso fatto con i calcinacci che costava il 70% in meno del normale. Senza dimenticare una serie di importanti innovazioni nel campo della scuola e nelle periferie della città, tra cui la realizzazione del punto luce di Torre Maura.

Un lungo elenco di successi che rende ancora più misterioso il suo allontanamento. 

Masini oggi ne ha parlato con i giornalisti dell’agenzia Dire, all’indomani dell’assoluzione di Marino. Con loro ha ricostruito il clima di quei giorni.

Ecco cosa accadde

«Nessun mistero– spiega MasiniLa scusa ufficiale con cui Matteo Orfini chiese la mia testa, anche se allora ero già passato all’assessorato alla Scuola, è che ci sarebbero state presunte imperfezioni nella gestione dell’emergenza pioggia che bloccò la città nel gennaio 2014 tanto che lo Stato concesse la calamità naturale. E forse non fu un caso che l’allora Capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, con il quale gestimmo quell’emergenza, fu il primo a mandarmi un messaggio, alla fine della mia esperienza, ringraziandomi per come avevo gestito la città. Fu un’esclusione che in molti defiscono ancora ‘da Palermo anni 50’. In realta’ Orfini voleva mettere due persone della sua corrente: Stefano Esposito e Marco Rossi Doria“.

Come andarono di preciso le cose dietro le scuse ufficiali?

“Marino mi mandò sotto un altro assessore per dirmi che mi dovevo dimettere. Però poi il sindaco, a tu per tu, mi disse che era stato il commissario Orfini a volere la mia testa aggiungnedo ‘sai com’e’ fatto il Pd di Roma‘. E questo nonostante c’era già stato un forte appello di tutti gli assessori dei Municipi per non farmi togliere dalla Scuola”.

Non ci fu resistenza da parte del sindaco?

Marino mi disse che diede ad Orfini la lista degli assessori che voleva rimanessero in giunta. E io c’ero. Fu Orfini a dire a Renzi: ‘Questo lo togliamo’. Era evidente come fosse in corso un commissariamento non solo del Pd di Roma ma della Giunta. Io dissi a Marino: ‘Se cadi in questa trappola il prossimo ad essere incaprettato sarai te’. Il mio grande rammarico è che insieme a quell’amministrazione è stata spazzata via anche una giovane e capace classe dirigente che stava emergendo nei Municipi e che oggi si sta allontanando di fatto dalla politica“.

In effetti cosi’ avvenne. Ma perche’ Renzi e Orfini volevano la testa di Marino?

Non ho una risposta certa a questa domanda. Marino di certo non rispondeva politicamente a nessuno, nel bene e nel male. Era autonomo delle sue scelte. Io non sono un mariniano di ferro e credo che Marino abbia fatto degli errori. Ma non fu questo. La nostra era certamente un’amministrazione che stava riformando, e molto. Probabilmente abbiamo dato fastidio a troppe persone. Renzi di recente, alla Leopolda, a questa domanda ha risposto dicendo ‘Chiedete ad Orfini, non mi sono occupato di Roma’”.

Orfini voleva controllare la giunta?

L’indebolimento di Marino ebbe un altro colpo con il mio allontanamento, quando gli fu imposto di togliere gli assessori leali per metterne altri che rispondessero direttamente ad Orfini. Mettere uno come Esposito in giunta significava minare la Giunta stessa“.

Come è possibile che Renzi non si rendesse conto che far cadere Marino avrebbe causato la rovina dell’allora Pd romano?

Nessuno può dare una risposta precisa su quale fosse il disegno. Forse pensavano di creare una Giunta che rispondesse solo e direttamente ad Orfini. Oppure c’è chi dice, secondo me con qualche fondamento, che Renzi pensava che così avrebbe mostrato l’incapacità dei 5 stelle al governo di Roma (a quel tempo i grillini erano avanti in tutti i sondaggi e in effetti conquistarono Roma l’anno dopo con Virginia Raggi, ndr) e che questo gli avrebbe fatto vincere le politiche. Un’ipotesi plausibile“.

Ma si tratta per l’appunto di ipotesi. A cui potrebbero dare una risposta solo chi allora guidava il Pd a livello nazionale e locale, Matteo Renzi e Matteo Orfini.

Rapporto complesso con la realtà

Matteo Orfini non ci sta. Bolla come ‘incredibili’ le affermazioni dell’ex assessore. E ricorda che Marino venne cacciato per ‘somme urgenze’.

«Leggo dichiarazioni incredibili di Paolo Masini. Non è il primo tra gli ex assessori della Giunta Marino a farne, a dimostrazione di un rapporto piuttosto complesso con la realtà di quella esperienza».

Nella versione di Orfini, ci fu un motivo preciso per cui Masini venne allontanato. «La ragione per cui il sindaco Ignazio Marino – e non io – volle il cambio della delega di Masini sta nella preoccupazione per il modo in cui era stato usato lo strumento della somma urgenza. La vicenda è raccontata in modo abbastanza chiaro da Alfonso Sabella, magistrato allora assessore alla legalità della giunta, nel suo libro. Sabella potrà sicuramente ricostruire meglio di me quei giorni, dato che in quella scelta io non ebbi alcun ruolo».

Matteo Orfini ha ricordato che «tale era la preoccupazione, che una delle ultime azioni della Giunta fu la trasmissione di quegli atti alla Corte dei conti per verificare se vi fosse o meno un danno erariale. Dispiace – ha sottolineato Orfini – che in queste ore si arrivi a un tale livello di falsificazione nella ricostruzione di quanto accaduto solo per una battaglia correntizia. Sono esattamente queste le ragioni e le abitudini che portarono il Pd romano alla degenerazione. Spiace che alcuni dei protagonisti di quella fase sembrano volerli riproporre oggi, dimostrando di non aver imparato nulla. Questi metodi e quel Partito degenerato li ho combattuti da commissario e continuerò a farlo sempre»

Ha pagato una generazione

«Hanno parlato tutti. Molti, tanti, anche a sproposito. Io ho aspettato. Mi sono preso un po’ di giorni. In realtà perché le cose da dire sarebbero troppe, soprattutto dopo averne lette di tutti i colori“. Inizia così un lungo post su Facebook dell’ex presidente del XV Municipio in quota centrosinistra, Daniele Torquati, con cui ricostruisce la crisi dell’amministrazione Marino.

«Prima di tutto vorrei comunicare a chi oggi si è scoperto mariniano che io c’ero alle riunioni in cui si voleva la testa del Sindaco– racconta Torquati- prima dell’indagine ‘Mondo di Mezzo’, prima degli scontrini, prima della panda rossa, prima dei funerali in piazza e l’elicottero che spargeva petali di rose, prima delle Europee. Queste persone erano in gran parte le stesse che lo avevano sostenuto alle primarie e non erano quelli che invece dopo hanno preso la decisione di cacciarlo».

Torquati racconta quelle drammatiche giornate. «In solitudine, come oggi, si cercava insieme ad altri di spiegare che sarebbe stato assurdo porre fine a questa esperienza. Io c’ero quando ci era stato assicurato che il Sindaco non era indagato. Io c’ero quando, due giorni dopo, abbiamo scoperto che il Sindaco era stato indagato. Io c’ero quando in Giunta, da portavoce dei Presidenti, leggevamo le agenzie che chiedevano le dimissioni. C’ero anche quando abbiamo appreso della presentazione della mozione di sfiducia da parte di alcuni nostri alleati di maggioranza. Eh si’, non fu il PD a presentare quella sfiducia e a richiedere per primo le dimissioni. Ne’ il M5S. Ne’ la destra. Furono gli stessi che, mesi dopo, proponevano Marino come Sindaco di una parte. Lui non accetto’. Lo scrivo perché nelle narrazioni di chi c’era e di chi non c’era, vedo alcuni pezzi scientificamente omessi».

Veleni, odio e fango

Torquati ricorda anche il clima di odio che venne innescato, il fango che venne gettato in abbondanza, l’attacco sistematico addosso ad un sindaco che era fuori dalle sagrestie politiche che non aveva difensori di Partito. «Oggi fa ridere sentir dire che il M5S al Comune di Roma è sotto attacco dei Media, perché l’altro dato da sottolineare – e che sembra essere sparito dai radar dei ricordi – è il clima dentro il quale tutta la nostra esperienza a Roma si e’ svolta: non c’era un giorno che il Campidoglio non fosse assediato dalle proteste; non c’era un giorno che per strada ti gridassero mafioso; non c’era un giorno senza una polemica; non c’era un giorno senza lo sforzo di dover mettere una toppa; non c’era un giorno senza un articolo di giornale infamante per tanti della nostra squadra. Lo avete dimenticato? Strano. Eravamo soli».

C’è poi l’amnesia collettiva. I ricordi cancellati. Soprattutto delle conseguenze politiche ed amministrative innescate da quell’operazione. Ricorda ancora Torquati «Nella vostra passata ed odierna dimenticanza: una classe dirigente in Comune e nei Municipi data in pasto ai cani. Strano che nessuno lo ricordi. Perfino il Papa, in quei giorni, dichiarò – forse mal consigliato – ostilità al Sindaco».

«Peraltro ancora devo scoprire chi ha saputo che il Sindaco non avesse pagato le multe denunciate dal centrodestra o a chi ha imbeccato la notizia che c’erano imprecisioni sugli scontrini della carta di credito, imprecisioni poi portate in procura dal Movimento 5 Stelle e dal consigliere De Vito. Inutile dire che c’ero anche quando dentro l’aula Giulio Cesare i paladini della legalita’ urlavano addosso ai nostri consiglieri comunali e a tutti noi le pesanti accuse di essere “mafiosi”, leggendo gli articoli della Costituzione. La Costituzione: la stessa che garantisce le persone fino al terzo grado di giudizio».

Marino persona onesta

«Tutti sapevamo che Ignazio Marino era una persona onesta, come tutti gli amministratori comunali e municipali infangati gratis e mai finiti nelle inchieste, ma il clima forcaiolo che c’era allora e che continua ad esserci era di una violenza inaudita– continua Torquati- Strano che nessuno di noi non abbia avuto un malore o uno scompenso mentale. Io c’ero. Questo era il clima».

«Il Sindaco sbagliò, come capita a tutti quelli che nella vita si assumono responsabilità, a fidarsi solo di alcune persone, a non puntare su una squadra e a non raccogliere quel rinnovamento che dava fastidio anche al PD stesso – prosegue l’ex presidente- La sua nuova classe dirigente eletta in Campidoglio e nei Municipi: bella, viva, volenterosa, giovane, attaccata al territorio e sensibile alle ferite sociali della città. Pronta a cambiare la città. Marino sbagliò ad aprire troppi conflitti contemporaneamente. Lo fece con tutte le realtà cittadine, anche con quelle che doveva ‘abbattere’».

Il Pd sbagliò

«Il cambiamento a mio parere, se grande e radicale, deve essere fatto con astuzia, costanza e tempo. Il PD poi, il mio Partito, sbagliò tutto. Lo so che a molti piace parlare del PD, ma il PD ha avuto quello che si meritava. È stato sconfitto. Ha ucciso una classe dirigente. Ha fatto pagare un prezzo altissimo alla città, prima che a Marino e a quella generazione falcidiata e infangata nell’onore da questa vicenda».

«Non abbiamo saputo reagire– conclude Torquati- Questa è la colpa: non abbiamo saputo reagire, perché tutti cercavano un colpevole e ognuno aveva il suo. Per interessi di bottega, per il consenso, molte volte per vanità. Oggi ci scopriamo garantisti, ma ieri tutti davano le patenti di mafiosi e di corrotti. Questa è la vera colpa dalla quale nessuno può sfuggire: non essere in grado di aver saputo reagire. Ognuno si faccia il suo esame di coscienza: chi si erge oggi a sapientone, si ricordi di dove era in quei giorni, di cosa diceva, di cosa taceva, di cosa pensava. Lo scrivo perché basta. Scriviamo la parola pace e riconosciamo ognuno la sua parte di errore».