”Matteo, o spicci tu la faccenda Durigon o faccio io”

Il caso Durigon. E l'altra versione dell'incontro tra Draghi e Salvini. "O spicci tu la questione o a settembre la spiccio io”. Riprende fiato il Pd con M5S.

Dopo 20 giorni di difesa, Matteo Salvini apre sul caso Durigon, il sottosegretario alle Finanze che durante un comizio a Latina il 4 agosto ha proposto di reintitolare il parco cittadino, che oggi si chiama ‘Falcone e Borsellino‘, al fratello di Benito Mussolini. “Stimo Durigon, ci vedremo per valutare come andare avanti, per il bene suo, del governo e del Paese“, le parole del leader leghista ribadite oggi ad Agorà su RaiTre. Che ad alcuni suonano come il preludio all’uscita dal governo di Durigon. (Leggi qui La vera posta in palio (pesantissima) del caso Durigon).

Gli spifferi romani che arrivano da Palazzo Chigi dicono che le cose non sono andate proprio come il Capitano l’ha raccontata. L’altro giorno Salvini è stato convocato con una certa sollecitudine dal Premier. Ed al termine dell’incontro ha detto: “Durigon? Oggi ho sentito Draghi ma abbiamo parlato di Afghanistan, salute e lavoro. Non credo abbia come priorità i parchi di Latina. Con lui non abbiamo mai parlato di Durigon“.

L’altra versione: spiccia tu

Matteo Salvini con Claudio Durigon (Foto: Imagoeconomica / Livio Anticoli)

C’è anche un’altra vulgata. Molto accreditata. Secondo la quale invece Durigon è stato proprio il tema della discussione. E Mario Draghi avrebbe detto nella sostanza: con tutti i problemi che abbiamo in questo momento a Kabul, con tutti i problemi che abbiamo a Washington dove non sono molto ferrati sulle prospettive, con tutti i rischi che dobbiamo essere proprio noi di Palazzo Chigi ad apparecchiare un ragionamento serio con Putin e Cinesi, ho nessuna intenzione di perdere nemmeno un secondo con il caso Durigon. Quindi: spiccia tu la faccenda.

Bando agli equivoci: Draghi non è democristiano. Quando dice spiccia significa che devi spicciare la questione. Affinché non ci fossero equivoci pare che abbia detto, sempre nella sostanza: E che diamine, ma come fa uno che è sottosegretario a mettere sullo stesso piano il fratello di Mussolini con Falcone e Borsellino che sono gli unici due miti di questa generazione?!

Quindi? Quindi le strade sono tre: o si leva lui, o gli dici di levarsi, o lo levo io.

Il caso Lamorgese

Luciana Lamorgese (Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica)

Poi però, una caramellina al leader di un Partito chiave come la Lega andava dato. Quindi? Incontro a tre con la ministra Luciana Lamorgese che Il Capitano ha messo nel mirino da qualche giorno. Che pare non veda l’ora di dire due cosette al suo predecessore.

Sta tutto qui il tatto con il quale Salvini ha chiesto al ministro di fare il ministro” ma senza chiederne le dimissioni.

La questione a questo punto è tutta interna alla Lega. Giancarlo Giorgetti è sibillino: “Chi sta al governo deve stare attento” è stata la sentenza pronunciata nelle ore scorse. La scialuppa viene messa in mare da un altro big della Lega, il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. All’agenzia di stampa Adnkronos nega imbarazzi o divisioni nella Lega ma ammette che le parole di Durigon non sono condivisibili.

Tu uccidi un sottosegretario mezzo morto

Enrico Letta e Matteo Salvini (Foto: Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

Una serie di eventi che induce Movimento 5 stelle e Pd a tornare in pressing. Dopo Conte ieri, oggi tocca al segretario dem Letta andare all’attacco: “Durigon deve dimettersi, le sue parole sono incompatibili con il suo ruolo“. Dalla Lega bocche cucite, o quasi. Nessuno vuole commentare, tutti attendono le decisioni del segretario. Anche quanti, da voci circolate in ambienti parlamentari, potrebbero prendere il posto di Durigon al Mise. Una poltrona che Salvini vorrebbe affidare ad un altro leghista.

Sullo sfondo le mozioni di sfiducia contro Durigon che sia Pd che M5s hanno annunciato di volere presentare alla ripresa dei lavori parlamentari. Mozioni che anche Leu conferma di voler votare, mentre Renzi tentenna. Perché quel voto, seppur non vincolante, metterebbe in difficoltà il governo Draghi.

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