Maxi buco all’università: 8 indagati ma cadute quasi tutte le accuse

Concluse le indagini sul maxi buco all'università di Cassino. Cadute buona parte delle accuse. Otto indagati per i ritardi nei versamenti dei contributi. Per pagare in tempo la costruzione del nuovo ateneo

I soldi del maxi buco nei conti dell’università? Nessuno li ha rubati. Qualcuno ha tardato a versarli nelle casse dell’Inps per coprire il fondo pensioni dei dipendenti. E nel frattempo ci ha pagato i lavori per il nuovo ateneo. Ma per farlo qualcuno ha dovuto fare ‘carte false’, qualcun altro ha dovuto chiudere gli occhi, qualcuno ha evitato di controllare per bene. È la conclusione alla quale è arrivata la Procura della Repubblica di Cassino dulla base degli indizi raccolti dalla Guardia di Finanza del comando provinciale di Frosinone. Che in mattinata ha notificato 8 avvisi di conclusione delle indagini ai responsabili della gestione Unicas tra il 2011 ed il 2016. È la gestione precedente a quella dell’attuale rettore Giovanni Betta.

Gli indagati

Il professor Ciro Attaianese in quel periodo era il magnifico rettore dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Stando alla ricostruzione dei Finanzieri non poteva essere all’oscuro di quanto succedeva: c’erano da pagare i lavori per il campus, il rettorato, completare palestre e aule. Tutto veniva pagato in maniera puntuale. Ma lo Stato aveva tagliato le risorse. Possibile – è la domanda degli inquirenti – che il rettore non si domandasse da dove provenissero allora quei soldi?

Il professor Raffaele Trequattrini era pro rettore Delegato al Bilancio. Il ragionamento fatto dagli inquirenti è lo stesso sviluppato per il rettore.

Il dottor Ascenzo Farenti era Direttore generale pro tempore dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale; in pratica, il braccio operativo delle linee guida tracciate dal consiglio d’amministrazione, il dirigente che aveva sotto gli occhi le finanze, i pagamenti da fare e le risorse in entrata.  

Il dottor Raffaele Simeone era il Direttore generale dell’Unicas e Responsabile dell’Area Bilancio; oggi è in pensione.

C’è poi il collegio dei revisori dei Conti, cioè quelli che dovevano controllare. Il nome più pesante è quello dei neo presidente della Corte dei Conti del Lazio, il giudice Tommaso Miele eletto all’unanimità appena la scorsa settimana. (leggi qui Corte dei Conti, un presidente al… Miele). All’epoca dei fatti era lui a presiedere il collegio dei Revisori dei conti dell’Università. A causa della sua presenza, la parte contabile dell’indagine (il danno alle casse pubbliche) dovrà essere trasferita alla magistratura di Perugia.
  
Il dottor Valter Pastena è stato per dodici anni Dirigente generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato; già direttore dell’Ufficio Centrale del Bilancio presso il Ministero della Difesa; direttore reggente del Bilancio al Ministero dei Beni Culturali; già direttore dell’Ufficio centrale del Bilancio nei ministeri del Lavoro e della Solidarietà Sociale; più altre tre pagine fitte di incarichi. È indagato nella sua qualità di componente del Collegio dei Revisori dei conti dell’Università di Cassino.

La dottoressa P**** M**** è non meno famosa nell’ambiente: è una stimata dirigente dell’Ispettorato Generale di Finanza della Ragioneria dello Stato. In pratica, per mestiere, è lei a scovare le pulci nei conti; anche lei faceva parte del collegio dei Revisori, secondo gli avvisi di conclusione indagini. La dirigente invece ha fatto notare che c’è un equivoco e che lei all’epoca dei fatti non faceva parte del Collegio dei Revisori, ma vi è entrata solo successivamente, al posto del dottor Pastena.
 
Il dottor Antonio Gai è stato responsabile dell’ufficio XVI dell’Ispettorato Generale di Finanza della Ragioneria Generale dello Stato. Ha al suo attivo una decina di pubblicazioni scientifiche.

Le accuse archiviate e rimaste

Buona parte delle ipotesi di reato teorizzate quando sono state aperte le indagini adesso non figurano negli avvisi di garanzia consegnati in mattinata dalla Guardia di Finanza.

È caduta l’ipotesi di abuso d’ufficio. Non c’è traccia del Falso in Bilancio. Non c’è l’omesso versamento dei contributi. Le indagini hanno dimostrato che le cose stavano in maniera ben diversa da come era stato ipotizzato in principio.

I reati ipotizzati ora dalla procura della Repubblica di Cassino sono il falso materiale ed il falso ideologico nella predisposizione e everifica dei bilanci consuntivi relativi agli anni 2013 e 2014.

Cosa significa? Secondo la Procura, il rettore, il pro rettore ed i due direttori sapevano benissimo che una parte dei contributi pensionistici dei dipendenti veniva versata in ritardo per coprire nel frattempo le fatture con le ditte che stavano realizzando la nuova università ed evitare così di incorrere nelle penali.

L’accusa è convinta che lo sapessero e che lo abbiano fatto scientemente perché una parte dei versamenti è sempre stata fatta in tempo, evitando così che ci fossero disagi o ritardi per chi doveva andare in pensione. Infatti, nessuno si è mai accorto che poco alla volta si era aperto un debito di 34 milioni con l’Inps.

Per farlo era necessario che ci fosse un ‘falso materiale‘: cioè qualcuno doveva aveve falsificato i versamenti fatti all’Inps, perché sulla carte consegnate ai revisori era tutto in regola. Ed anche i Durc (i certificati di esatta posizione contributiva) risultavano regolari. L’ipotesi è che venisse fatto un bonifico per l’importo giusto, poi venisse annullato e sostituito con un secondo bonifico dall’importo ridotto: in questo modo c’era una copia agli atti in cui risultava tutto in ordine (la prima ricevuta) e c’erano i soldi per pagare le ditte evitando le penali (grazie al secondo bonifico).

C’è poi il falso ideologico, cioè il reato che si configura quando il documento, non contraffatto né alterato, contiene dichiarazioni menzognere. È l’ipotesi avanzata nei confronti soprattutto dei Revisori: avrebbero inviato al Ministero una dichiarazione con dati diversi da quelli approvati in sede di revisione.

Il danno

A quanto ammonta il danno? Secondo una stima a zero, l’università ci ha pure guadagnato. Perché grazie allo strumento del Condono ha pagato i contributi mancanti a rate, senza sanzioni e senza interessi.

Non ne è convinta la Guardia di Finanza. Che ha attivato la Procura della Corte dei Conti evidenziando che il ritardo nel pagamento dei 34 milioni di contributi previdenziali è costato all’Università circa un milione a titolo di agio e interessi. Perché il condono non azzera tutto.

Meno ancora ne è convinto chi ha dovuto fare i conti con il danno d’immagine subito dall’Università. E chi ha dovuto fare i conti con le banche chiamate a prestare 10 milioni all’Ateneo per fare fronte alle rate con l’Inps: lì gli interessi da pagare ci sono.

Revisori parte offesa

L’allora presidente del Collegio dei Revisori, il giudice Tommaso Miele, insieme ai difensori Sandro Salera e Pierpaolo Dell’Anno, appena ricevuto l’avviso di garanzia ha voluto verificare la documentazione su cui si basa l’indagine.

«Esaminata la documentazione in atti – ha poi commentato il presidente Tommaso Mieleemerge con chiarezza assoluta l’insussistenza del fatto contestato a carico dei componenti del collegio dei revisori»

«Quanto attestato in sede di parere sullo schema di conto consuntivo è pienamente conforme e corrispondente ai documenti contabili esibiti dagli uffici dell’ateneo al collegio dei revisori».

«Qualora tale corrispondenza non dovesse coincidere con il conto consuntivo successivamente inviato dall’Ateneo al Ministero dell’Economia e Finanze, ciò non potrebbe giammai essere ascritto al Collegio dei revisori».

In pratica: i Revisori hanno fatto il loro dovere, se sono state trasmesse cifre diverse al Ministero è stato qualcun altro a farlo, non è loro competenza inviare il bilancio.

«E tutto ciò è documentalmente provato e sarà rappresentato in una memoria difensiva che i difensori depositeranno nei prossimi giorni al pubblico ministero».

Nei prossimi venti giorni gli indagati hanno infatti la possibilità di produrre memorie, chiedere d’essere ascoltati. Poi la Procura deciderà se procedere con la richiesta di processo.