Meno Pil per tutti: è allarme in tutto il Centro Italia

La questione non riguarda più soltanto le disparità economiche tra il Nord e il Sud del Paese. La spaccatura adesso coinvolge anche il Centro. Prodotto interno lordo in calo anche nel Lazio. E a infliggere un ulteriore duro colpo ci ha pensato la pandemia

Alessio Brocco

In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo

Era il 1981 e il genio di Massimo Troisi si ribellava all’equazione “meridionale uguale emigrante”. Nel film “Ricomincio da tre” Gaetano (Troisi) si era trasferito, sì, a Firenze, ma “per viaggiare” perché “un lavoro a Napoli ce l’avevo”.

Era quello lo scatto di orgoglio di un artista che sfidava il pregiudizio in un’Italia divisa dalle disuguaglianze economiche tra Nord e Sud. Un’Italia che da lì a un anno, illudendosi unica e unita sotto i gol di Paolo Rossi, esultava per le strade al grido di Campioni del Mondo.

In quarant’anni la questione delle differenze economiche e sociali del Paese è stata trattata da ogni sorta di governo. Ognuno con la propria ricetta, ognuno con il proprio modo di fare, ognuno con il proprio grado di colpevolezza. Oggi, quarant’anni dopo, se da una parte la pandemia ha avvicinato gli italiani nella difficoltà e nella paura, dall’altra ha allargato la forbice tra il ricco e il povero, tra chi ha e chi non ha, tra le Italia ancora così dannatamente diverse.

Il nuovo Mezzogiorno

La spaccatura adesso coinvolge anche il Centro. Che si allontana sempre di più dalla zona benessere. Lo spauracchio è quello di una nuova ulteriore frammentazione tra le regioni centrali e il Settentrione e un’Europa sempre più distante. Il nuovo fronte passa per il Lazio e rischia di travolgerlo: sganciandolo dal centro e trascinandolo al Sud.

Un secondo Mezzogiorno?

A dirlo è “La frammentazione del Centro: tra terza Italia e secondo Mezzogiorno“. È questo il titolo del report elaborato dall’associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno (Svimez). Analisi, dati e statistiche che, così come sottolinea il direttore generale dell’associazione Luca Bianchi, evidenziano come la mappa della coesione territoriale si stia complicando.

Le regioni centrali del Paese, negli ultimi venti anni, hanno visto diminuire il proprio prodotto interno lordo. Ovvero, più semplicemente, la ricchezza (o il reddito) prodotta dal proprio sistema economico.

Tra i fattori incidenti che hanno contribuito alla possibilità di vedere il Centro come nuova testa del Sud c’è anche quello legato alla demografia. Il Lazio, dal 2014 al 2020, ha subito un calo di 114.000 persone. La Toscana 57.000, le Marche e l’Abruzzo circa 40.000 e l’Umbria 26.000.

Bianchi spiega che la questione demografica «non abita più solo a Sud. Umbria, Marche e Toscana sono caratterizzate da una dinamica naturale peggiore della media nazionale. In Umbria e nelle Marche, contrariamente alle altre regioni del Centro-Nord i flussi migratori sono troppo deboli per garantire un equilibrio demografico».

Ma non c’è solo questo. A fare la differenza in negativo c’è anche il vecchio problema occupazionale, acutizzato da una pandemia che ha messo in ginocchio settori chiave come quelli del commercio e della ristorazione.

Non è più, dunque, soltanto una faccenda meridionale. Il Paese deve fare i conti con un’ulteriore frammentazione e con una nuova questione: quella del Centro Italia.

Il Pil del Lazio non ride

Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica

Basta un dato per entrare immediatamente nell’ordine delle idee che le cose, in termini di ricchezza negli ultimi venti anni non sono andate lisce come l’olio. E l’indicatore, ancora una volta, è quello del prodotto interno lordo.

Se nel 2000 la media Pil di un cittadino laziale valeva il 57% in più della media dell’Unione Europea, nel 2019 quel valore faceva registrare +10% rispetto alla media Ue.

Se il Lazio piange, le altre regioni dell’Italia centrale non ridono. Anzi. La Toscana ha perso il 34% in vent’anni (da un pil pro capite del 37% superiore a quello medio europeo a un vantaggio di soli 3 punti percentuale). Le Marche sono passate da +24% a -10%, Abruzzo e Umbria, invece, nel confronto europeo sono passate rispettivamente da +13% e +27% a -19% e -15%. Spiega Bianchi:  «Il triangolo del sisma nel ventennio del declino italiano ha perso colpi in Europa: da fanalino di coda del Nord è diventato la testa del Sud». 

Ad infliggere un altro duro colpo all’economia delle regioni centrale ci ha pensato la pandemia. Regioni che, tra l’altro, ancora si stavano leccando le ferite per la crisi subita tra il 2008 e il 2011.

Se la media nazionale del prodotto interno lordo, in quel lasso di tempo, era scesa del 3,9% (-2,9% la media del Settentrione), per Umbria e Marche il segno meno era compreso tra i 7 e gli 8 punti percentuale. Il Lazio, in quel frangente, aveva tenuto botta (-3,3%).

Allargando il campo temporale sono ancora più evidenti le difficoltà. Tra il 2008 e il 2020 il Lazio ha subito una perdita del suo pil compresa tra il 12% e il 13%. Come la Toscana. Peggio hanno fatto l’Umbria che ha perso un quarto del suo pil e le Marche (18 punti).