I Miei Anni ’70 * Bianchi: «Sognavo il futuro, dimenticai di aprire gli occhi»

Daniela Bianchi

già Consigliere Regionale del Lazio

 

Sono nata negli anni ’60 e poco più, in una Italietta che a bordo di una Fiat 600 usciva dagli anni bui del dopoguerra e attraversava impavida il boom economico. Non poter cogliere l’attimo della storia, questo ha caratterizzato la mia generazione, questa è la sensazione che mi ha sempre accompagnato. Sempre un po’ prima o un po’ dopo degli eventi che contano e in cui poter essere protagonisti.

 

Ho vissuto il piombo degli anni ’70 che rabbuiava il paese scardinando le certezze e paventando rivoluzioni che avrebbero trasformato il sistema, l’ho fatto con il mio grembiule bianco inamidato e con il fiocco rosa… e poi con il grembiule nero che segnava il passaggio epocale dal mondo bambino a quello adolescente. Avrei voluto fare la rivoluzione, ma vista l’età l’unica cosa che ho potuto fare è stato bruciare quel grembiule nel parco della scuola, alla fine degli esami. Ero pronta a sognare un mondo migliore, ma ho dimenticato di aprire gli occhi.

 

I pariolini da una parte, dall’altra tutti coloro che manifestavano nelle piazze e gridavano slogan; era difficile scegliere, l’appartenenza determinava la tua definizione sociale. Il femminismo avanzava, affermando principi e regole e forse lasciandosi dietro, come vittima sul campo, qualcosa di importante che mai più avremmo recuperato. Erano gli anni della scomunica per chi votava sì al referendum per il divorzio e per l’aborto, ma eravamo troppo giovani per dire la nostra, l’impegno era roba da “grandi”.

 

Ho conosciuto le prime sconfitte d’amore di pari passo con la sconfitte delle idee, e intanto gli yuppies rampanti prendevano il sopravvento anticipando il non senso che più tardi avrebbe segnato il sistema economico. L’effimero prendeva piede, ma era ancora poca cosa rispetto ad oggi, la moda diventava star system e le sfilate ne erano il lasciapassare.

 

Sono arrivati gli anni ’90 con il qualunquismo di chi non ha più nulla da guadagnare né da perdere, scossi dai grandi delitti di mafia, da quelle bombe che sotto la polvere seppellivano i corpi dei “servitori dello Stato” (ma quale Stato?) e con essi la nostra coscienza. Erano anche gli anni di tangentopoli, al grido di “ W la seconda repubblica “ abbiamo bruciato sul rogo della Procura di Milano tutti gli eretici che avevano osato inquinare il sistema con mazzette e tangenti… peccato che fosse solo un gran polverone, di veramente pratico non se ne ricavò nulla se non la fama per qualche magistrato, un paio di morti suicidi e la scoperta dei processi fatti sui giornali e non nelle aule di tribunale.

 

Il duemila è arrivato all’improvviso, carico di aspettative che andavano ben oltre l’Odissea nello spazio… Abbiamo brindato sicuri che nulla più avrebbe potuto sconvolgerci, il terzo millennio era lì… Ma anche l’11 settembre era dietro l’angolo, e poi ancora l’11 marzo e poi ancora il 7 luglio… e all’improvviso ci siamo resi conti che il mondo non ha più confini. Tanto per fare una citazione, nell’arco di questi 40 anni abbiamo visto cose che voi umani neanche potete immaginare… Siamo passati dal bianco e nero al colore, una rivoluzione e non solo in termini televisivi; questo passaggio è diventato anche simbolo dell’avvento della sfumatura, di una liquidità che rende mobile qualsiasi tentativo di definizione. Non esistono più i confini netti, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, non esistono più valori identificabili, tutto è negoziabile, contrattabile, tutto è contemporaneamente il contrario di tutto. E vivere questa quotidianità è difficile e impegnativo. E’ impegnativo vivere in un mondo che corre, che brucia tutto in un momento, dove il per sempre diventa un’ipotesi irrealizzabile, dove non fai in tempo a progettare un’ipotesi di vita, di amicizia, di relazione che già tutto è sfumato. Dove anche la politica diventa un contenitore indefinito ed il concetto di Idee è di militanza è divenuto un vuoto a perdere.

 

Dove ogni momento della nostra esistenza deve essere riempito per forza da qualcosa e non c’è più spazio per la riflessione o più semplicemente per l’ozio…

 

Se non venisse interpretato come segno di sconfitta, se non fosse ancora forte la voglia di incazzarsi nonostante tutto, di fare cose e di dire la mia, vorrei ritornare per un attimo a quelle estati che duravano un’eternità, dove le lenzuola bianche che coprivano i mobili segnavano l’inizio della “villeggiatura”… Tempo in cui la tua esistenza poteva trasformarsi in qualcosa di magnifico, proiettata verso un futuro che lentamente appariva all’orizzonte e non veniva bruciato a ritmo folle, di notte, in una spiaggia affollata.

 

Saudade? Forse… Ma non è nostalgia del passato, piuttosto della promessa di futuro che conteneva.

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