Pagheremo i migranti per farli entrare

«Molti degli stranieri che stanno sbarcando in questo periodo sono deportati. Non sono migranti. Sono stati obbligati a venire in Italia. Sono stati imbarcati contro la loro volontà»: la denuncia è di Marco Toti, direttore della Caritas di Frosinone. Lo dice intervenendo al convegno su inclusione sociale e pluralismo culturale, tenuto nelle ore scorse nel palazzo della Provincia a Frosinone.

Chi li sta mandando. Perchè sta stressando il sistema dell’accoglienza in provincia di Frosinone. Cosa li spinge d esasperare i sindaci. La risposta di Toti è chiara. «In Libia il traffico di esseri umani è diventato un’industria di alcune tribù». Insomma c’è chi guadagna nel mandare gente. E non viene pagato dai migranti.

Il problema è il fronte libico. «La Libia non ha più una struttura statuale. Non c’è più un controllo. Finchè non risolveremo il problema sul fronte libico, non risolveremo il problema dei migranti clandestini. La prova: non arrivano da Tunisia, Marocco, Algeria. Da lì ne arrivano pochissimi, perchè c’è uno Stato».

Ma il vero allarme lo ha lanciato Filippo Miraglia, vice presidente vicario dell’Arci Nazionale. «La provincia di Frosinone sparirà nel giro di pochi decenni. Il Lazio sparirà con lei. L’Italia rischia di essere cancellata. Se non arrivano i migranti, se non nascono qui i figli dei migranti che stanno arrivando oggi, noi verremo cancellati». Il conto è presto fatto: «Tra i ragazzi che lasciano questi territori e se ne vanno all’estero, calo delle nascite, in poco tempo saremo in paese di pensionati. Ma non ci sarà nessuno a lavorare e quindi non ci sarà chi verserà i soldi con cui pagarle quelle pensioni».

Il dato, visto in proiezione è che tra qualche anno saremo costretti a pagare per far entrare immigrati.

Il problema allora è il modo in cui avviene l’integrazione. Dal dibattito avvenuto a Frosinone è emerso che stiamo innescando una bomba ad orologeria. Perchè stiamo creando dei ghetti. Identici a quelli nei quali in Belgio e in Francia si sono formati i terroristi che hanno compiuto i più recenti attentati. «E’ la rabbia che stiamo innescando con la non inclusione, con la diffidenza, con l’eccesso di burocrazia» ha detto Miraglia. Un esempio? «Immaginate due ragazzi nati in provincia di Frosinone da genitori stranieri. Ragazzi che parlano ciociaro e magari non hanno mai messo piede nel Paese d’origine dei genitori. Immaginate che debbano andare in gita all’estero con la scuola: ma non possono andare con i loro compagni. Sono gli unici esclusi. Perchè? Ai loro genitori la burocrazia crea problemi per il rinnovo del permesso. Si sentiranno esclusi, diversi, emarginati, nonostante siano nati qui».

L’esempio di inclusione ed integrazione allora qual è? Uno spunto lo ha portato Enrico Coppotelli, segretario generale provinciale della Cisl di Frosinone. Ha ricordato che dal 2013 il presidente Confindustria a Prato è un cinese. Che dà lavoro a centinaia di persone non solo cinesi.

Un ruolo fondamentale lo hanno i mediatori. Servono per mettere in contatto culture differenti, abbattere steccati. Un esempio? Le donne sottratte alle cure sanitarie: perchè temono di essere affidate a medici maschi. Lo ha raccontato Maria Grazia Baldanzi referente del servizio Multietnico della Asl di Frosinone. «Da quando siamo riusciti a stabilire un canale di comunicazione, attraverso i mediatori culturali, le visite alle donne straniere di origine africana si sono moltiplicate. Quasi tutte devono partorire. E molte tornano periodicamente anche dopo la gravidanza. Così abbiamo fatto la nostra inclusione».

Il dibattito ha messo in evidenza un dato «C’è bisogno che cambi l’attuale legge affinchè elimini le attuali incongruenze». E c’è bisogno di parlare: con le persone e con le istituzioni. «Per far comprendere. Soprattutto perchè il clima non è positivo. C’è troppa voglia di gridare, lamentarsi, scaricare le colpe». Soprattutto basterebbe fare. Agire. Un caso concreto? Cisl ha ricordato di avere raccolto una piccolissima somma, una goccia nel mare. L’ha ricordato Coppotelli: «abbiamo realizzato una fabbrica di ghiaccio in Senegal, fornisce lavoro a duecento persone. Le abbiamo aiutate a stare a casa loro. Evitando di creare nuovi migranti».

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