Misserville: «Bruciare bandiere del Pd non è reato»

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Bruciare la bandiera del Pd? «È’ un modo per manifestare le proprie idee politiche, senza fare male a nessuno. Magari poco urbano ma comunque non violento».

Se a dirlo fosse Ermisio Mazzocchi avrebbe un peso. Se a manifestare questa convinzione fosse già Francesco De Angelis sarebbe diverso. E se lo dicesse Mauro Buschini non significherebbe quasi nulla dal momento che lui – per una questione anagrafica – ha fatto in tempo ad evitarsi la stagione delle bandiere bruciate, dei militanti pestati, delle chiavi inglesi portate nei cortei.

Ma se a dire quelle parole poi è Filippo Misserville allora il tutto assume il tono della provocazione.

Lo fa come avvocato del cercanese residente nel quartiere Di Vittorio che qualche sera fa ha pubblicato una foto nella quale tiene in mano un accendino e tenta di bruciacchiare una bandiera del Partito Democratico.

«Sento che i dirigenti del Pd intenderebbero denunciarlo. Li invito a ripensarci: primo perchè il Pd è un Partito grande e strutturato e non è mai bello prendersela con i piccoli; secondo perchè si esporrebbero al ridicolo. Lascino perdere le denunce penali. Anche perchè bruciare simboli di Partito non è reato: anzi a Ceccano può addirittura fare curriculum per ottenere incarichi politici».

Avvocato penalista, candidato sindaco di Ceccano per uno schieramento civico e di centrodestra, eletto consigliere comunale d’opposizione, Filippo Misserville è il figlio di uno dei principi dei Fori italiani: quel Romano Misserville che fu presidente vicario del Senato e Fascista convinto, mai rinnegato.

Misserville jr dice: «Chi ha bruciato la bandiera forse era un elettore arrabbiato di sinistra del quale dovrebbero tentare di recuperare il consenso (…) E se proprio sono in vena di valutazioni di carattere legale i dirigenti del Pd dovrebbero valutare la possibilità di restituire ai cittadini almeno una parte del bottino che diversi loro esponenti malandrini si sono messi in tasca, come si apprende dalle cronache quotidiane, dalla vicenda Monte dei Paschi in giù».

Una provocazione, appunto.