Monsignor Loppa contro Bannon: il vescovo di campagna e il guru di città

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Lo scontro sulla futura destinazione della Certosa di Trisulti. L'opposizione del vescovo di Anagni. Che appareranno come una sfida impari con il grande guru americano. Invece...

Ascanio Anicio

Esperto di tutti i mondi che stanno a Destra

Steve Bannon e Benjamin Harnwell hanno trovato in monsignor Lorenzo Loppa vescovo di Anagni – Alatri, un critico per non dire un oppositore. Non solo rispetto all’utilizzo che verrà fatto della Certosa di Trisulti. Perché dalle parti di Collepardo, la partita sta assumendo sempre più i tratti di una controversia dottrinale.

C’è poco da fare: tutto ruota attorno a papa Francesco, alle sinergie, alle simpatie e ai contrasti che l’azione del pontefice argentino suscita negli ambienti cattolici. Perché il suo, comunque la si pensi, è e sarà un pontificato di “cambiamento”. Non come quello presunto dei gialloverdi, che probabilmente il Santo Padre guarda con meno interesse. E dopo di questo Papa, più tardi possibile – affermano in molti – , nulla sarà come prima.

Il vescovo della diocesi di Anagni – Alatri lo aveva già dichiarato a gennaio del 2019: “Mi fa male vedere che Trisulti è finita in mano a un gruppo di vetero-cattolici, a dei tradizionalisti che compongono la cosiddetta fronda anti-Francesco“. Di queste dichiarazioni si trovano ancora tracce sulla Sir, l’agenzia di stampa legata alla Conferenza Episcopale. (Leggi qui Certosa di Trisulti: mons. Loppa (Anagni), “contrario alla cessione, ma nessun ordine religioso se l’è sentita di occuparsene”).

Ma a voler essere puntigliosi, gli schieramenti – quando monsignor Lorenzo Loppa se ne uscì in quel modo – non erano ancora così lapalissiani agli occhi di chi se ne deve occupare.

Inizialmente le cose sembravano essere diverse. Cioè pareva che il bannonismo fosse oltranzista e onnipresente sul piano della politica, ma non così interventista su quello ecclesiale. Oggi le cronache raccontano di come l’ex capo stratega di Trump abbia decisamente alzato i toni verso alcune mosse operate dal Vaticano.

Sapevamo solo che il cardinale Raymond Leo Burke, che è il “President of the Advisory Board” del Dhi, cioè dell’istituto che si è aggiudicato la gestione della Certosa nei Trisulti, avesse firmato i dubia su Amoris Laetita, fosse considerato un critico di Bergoglio, avesse più volte messo in rilevo la “confusione dottrinale” che impererebbe tra i fedeli e così via.

Per carità, mica male come informazioni! La sfera politica, però, appariva secondaria. Quella geopolitica non era neppure stata presa in considerazione. Era un errore. Perché considerando che una delle due Accademie che dovrebbero sorgere in Ciociaria, dovrebbe riguardare la difesa, la tutela e lo studio delle “radici giudaico – cristiane” dell’Occidente, era lecito immaginare che Chiesa cattolica e visione del mondo sarebbero finite per essere intrecciate. Proprio lì, poco distante dai “ponti santi”.

Lettera 22, che è un’associazione indipendente di giornalisti, ha organizzato un confronto pubblico con il fondatore di The Movement. A Roma, nella giornata di ieri, dove Steve Bannon ha fatto capoccetta per la seconda volta in poche settimane.

L’uomo che, dalla Marina militare statunitense, ha fatto armi e bagagli in direzione Harvard Business School per arrivare a Goldman Sachs, quindi a Wall Street, per poi passare da Hong Kong e, in qualche modo, dai giochi online, prima di mettersi su Breibart News, dando vita a quel filone narrativo che ha portato (leggetevi “Il diavolo. Steve Bannon e la costruzione del potere” di Joshua Green se volete essere sicuri di questa affermazione) Donald Trump al numero 1600 di Pennsylvania Ave NW, Washington, ha sparato a zero contro l’accordo provvisorio firmato da Jorge Mario Bergoglio e il governo guidato da un uomo di cui si legge parecchio in questi giorni: il signor Xi Jinping. Anche detto “leader supremo del nuovo mondo che avanza“.

In quel caso si trattava di sbloccare l’annoso tema della “nomina dei vescovi“, quasi fosse un retaggio della lotta per le investiture, che adesso è sostanzialmente cristallizzato attorno a una doppia fase: Vaticano e Conferenza episcopale cinese (quella che i tradizionalisti ritengono essere una branca del Partito e forse, a pensarci bene, non sbagliano poi di molto) vagliano una rosa di nomi e poi decidono.

Ma per Bannon, che ha chiesto di pubblicare il contenuto di questo accordo si è trattato di una “svendita dei martiri cristiani della Cina” (leggi qui la corrispondenza su Il Giornale).

Cosa cambia? Beh, cambia che il bannonismo, che ha pure stroncato il summit sugli abusi definendolo un “fallimento totale“, sembrerebbe aderire a questo concetto: il papa è un globalista. Quindi è questo che potrebbe essere insegnato, tramite un dritto o per mezzo di un rovescio, in quel di Trisulti.

E monsignor Lorenzo Loppa zitto non ci può rimanere, perché è il vescovo della diocesi dove quel messaggio potrebbe essere propagandato.

Monsignor Loppa era già balzato agli onori delle cronache per un fatto di rilevanza più che nazionale quando aveva dovuto far presente ai fedeli del territorio in cui è incaricato che le apparizioni di Medjugorje non erano – e non sono ancora – riconosciute e provate dalla Santa Sede. Ammesso è solo il culto del santuario. La replica gli era stata fatta pervenire da quello che oggi è un naufrago dell’Isola dei Famosi: Paolo Brosio. Era il 2014 e a Fiuggi
stava per arrivare Vicka Ivankovic, cugina di Ivanka, che è stata la
prima veggente, la prima che avrebbe visto la Madonna di Medjugorje.

Stavolta il problema tocca più sfere. La linea però è sempre la stessa: monsignor Loppa sta con il Papa e non ne vuole sapere di ospitare a casa sua iniziative che sanno di antipapale.

Il vescovo è rammaricato e come potrebbe essere altrimenti. Poi parla
pure di un futuro che non sarà “in linea con la propria (riferita alla
Certosa, ndr) tradizione di fede, con la propria tradizione di fede,
di cultura e di vita
“.

Da una parte c’è chi, durante la serata delle presidenziali Usa, sembrerebbe non aver creduto neppure un attimo ai primi numeri, quelli delle proiezioni, comparsi sui maxischermi della Trump Tower. Dall’altra c’è un consacrato, calcisticamente parlando milanista – questo è forse l’unico fattore che lo avvicina al campo internazionale – che mai si sarebbe aspettato che proprio nel suo territorio sarebbe stata eretta una sorta di Hogwarts – ma a Harnwell, da cattolico, questa definizione non piacerà – del sovranismo.

E tra i due non può che correre una bella differenza. Sembra la favola del vescovo di campagna e dello stratega di città. Buona per qualche bravo storyteller.

A monsignor Lorenzo qualcuno ha pure fatto notare (leggi qui) che la sua è stata una marcia indietro. Perché aveva scritto al cardinal Martino, ex Dhi, definendosi “contento che la vita di questo complesso possa continuare con un Istituto come ‘Dignitatis Humanae’ dedito alla promozione umana“.

Ma monsignor Loppa all’epoca non era tenuto a leggere Politico.com o degli altri grandi portali statunitensi. Di certo, durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa, non leggeva Breitbart e forse neppure conosceva le posizioni di Steve Bannon. Si è fidato del cardinale Martino.

Ora Monsignor Lorenzo Loppa da Segni sa, ma la partita appare finita. Il “bannonismo”, salvo sorprese dell’ultimo momento, dovrebbe aver portato a casa la pratica. E monsignor Lorenzo Loppa non è Hillary Clinton: è un presule della provincia di Roma, che da qualche decennio a questa parte opera in un’altra periferia del mondo, cioè la Ciociaria. Non c’è globalismo nella sua azione pastorale e non c’è neppure traccia di appartenenza all’establishment, quello che Bannon e Trump rimproverano all’ex segretario di Stato nel 2016.

Insomma, nella favola del presule di campagna e del guru di città, chi è il sovranista? Chi è il globalista? Cambiando l’ordine dei fattori, Trisulti cambia.