Monsignor Pompili, il vescovo che si confronta con il Papa

Il piccolo parroco partito dalla Ciociaria. E che piace tanto al Papa. Gli scherzi 'da prete' del Pontefice. Il no alla carriera. E l'odore di porpora che aleggia nel suo futuro.

Ascanio Anicio

Esperto di tutti i mondi che stanno a Destra

Monsignor Domenico Pompili è divenuto un’autorità in Vaticano: Papa Francesco usa incontrarlo a Santa Marta una volta a settimana, raccontano i cittadini ciociari, specie gli acutini, i fiuggini e gli alatrensi, che sono rimasti accanto al presule nonostante l’incarico ricevuto presso la diocesi reatina.

E nella residenza papale, pranzando, i due sono soliti discutere delle sorti della Chiesa cattolica. Ma “Don Do” – come lo chiamano ancora oggi i tanti fedeli che hanno avuto modo di conoscerlo quand’era solo, per così dire, il parroco della concattedrale di San Paolo, non è tipo da mollare gli ormeggi in funzione della carriera.

No grazie, Santità

Era in lizza per la segreteria della Conferenza Episcopale italiana, ma il pontefice argentino, cui spettava il placet finale, ha dovuto fare i conti con le resistenze del vescovo: la diocesi di Rieti, colpita nel 2016 da un terribile evento sismico, non può essere abbandonata a se stessa. No, e neppure consegnata nelle mani di un degno successore.

Almeno non ora, con tutto quello che il vescovo ha iniziato e deve ancora porrtare a compimento. I reatini non avrebbero capito. Monsignor Pompili ha ringraziato, ma ha preferito soprassedere.

Nonostante abbia declinato sul piano pratico meglio di altri, forse di tutti gli altri, i dettami di “Laudato Sì“, l’enciclica ambientalista che Papa Bergoglio ha pubblicato nell’estate del 2015. Rieti, del resto, è la patria di San Francesco e “Don Do” si è subito speso per la creazione delle “Comunità di Laudato Sì“, che possono già vantare una trentina di adesioni sul territorio nazionale. Papa Francesco lo ha notato, stringendo un rapporto già creatosi ai tempi della nomina vescovile.

Scherzi da prete… e da Papa

Negli ambienti vaticani circola una storiella. Quando si è trattato di elevare Domenico Pompili a vescovo di Rieti, il Santo Padre avrebbe sì spedito la lettera tramite cui disponeva sul nuovo incarico dell’allora direttore dell’ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana, ma sbagliando nome e cognome. Una notizia, per carità, deve essere sempre soggetta a verifica, ma fatto sta che, secondo le voci ventilate, “Don Do“, leggendo che le generalità sulla missiva non erano corrispondenti alle sue, avrebbe telefonato a Francesco per informarlo del possibile scambio di persona.

E la storiella prosegue. Il papa, a questo punto, avrebbe risposto alla chiamata, eccependo la medesima motivazione presentata da monsignor Pompili quando – si dice – è stato costretto a giustificarsi per quel famoso comunicato della Cei: quello in cui gli auguri per l’elezione a pontefice erano stati inoltrati con il nome del cardinal Angelo Scola. che Papa non lo è mai diventato. (leggi qui L’errore della Cei: «Auguri a Scola». La gaffe nel testo del comunicato inviato via mail dopo l’Habemus Papam. Nell’allegato invece il nome di Bergoglio).

Francesco, insomma, avrebbe fatto un tanto bonario quanto innocuo scherzo da prete a un uomo che poi, nonostante la “provenienza Bagnasco“, come la definiscono coloro che, indebitamente, catalogano gli ecclesiastici come se si occupassero di partiti politici, è entrato a far parte della sua schiera più ristretta.

Aria di porpora

La Ciociaria è andata vicino a esprimere il segretario della Conferenza episcopale italiana. Ma monsignor Pompili – lo abbiamo già specificato – non è un ecclesiastico carrierista.

Attenzione: è vero pure che Papa Bergoglio non è tipo da ripensamenti: lo vuole premiare e lo premierà. Angelo Bagnasco e Crescenzio Sepe, entrambi porporati, hanno raggiunto la soglia dei settantacinque anni e, presto o tardi, andranno sostituiti mediante un nuovo Concistoro.

Ma la fila è lunga: la mano è già stata alzata da monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, dal patriarca Francesco Moraglia (Venezia non è mai rimasta per così tanto tempo senza porpora), e da monsignor Mario Delpini, un altro che, operando su Milano, avrebbe diritto a vestire di rosso.

Il Papa, però, ha già dimostrato in più di un’occasione di privilegiare le periferie. Rieti ed Alatri sono avvisate.