Montecassino, il Tesoro di San Gennaro e il suo salvataggio

Ottant'anni fa, proprio in questi giorni, avveniva a Montecassino una delle operazioni più segrete. La consegna del tesoro di San Gennaro. Per il tramite del principe Colonna di Paliano. A Napoli erano convinti che sarebbe stato al sicuro. Poi...

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Il 26 maggio 1943 – ottanta anni fa – arriva a Montecassino, proveniente da Napoli, il principe Stefano Colonna di Paliano. È il vice presidente della Cappella del Tesoro di San Gennaro e deve compiere una missione veramente speciale. Di cui bisogna mantenere il segreto. Ha con sé tre casse in legno d’abete sigillate e piombate con filo zincato. Si tratta di un carico preziosissimo poiché esse contengono «gli arredi sacri di maggior valore» del Tesoro di San Gennaro.

Incontra l’abate monsignor Gregorio Diamare e gli spiega che intende nascondere proprio a Montecassino quegli arredi così importanti per la cittadinanza di Napoli.

Nel ventre della vacca

Foto © Igor Todisco

Nella città partenopea le operazioni di guerra dell’aviazione alleata stavano rendendo la situazione sempre più critica giorno dopo giorno. Napoli, tra le grandi città italiane, è stata quella maggiormente, e di gran lunga, più bombardata. Da Napoli la popolazione fugge e molta parte di essa giunge anche nel Cassinate (si pensi alla famiglia di Luciano De Crescenzo che il padre voleva proteggere trasferendola nel «ventre della vacca» rappresentato dal paese di San Giorgio a Liri).

Invece nella tarda primavera del 1943 a Cassino, Montecassino e in tutto il Lazio meridionale nessuno poteva immaginare quale valanga di fuoco si sarebbe abbattuta a partire dal 10 settembre successivo. Una valanga preceduta dal bombardamento dell’aeroporto di Aquino del 19 luglio. E che avrebbe coinvolto tutti il territorio ubicato a cavallo del fiume Rapido – Gari – Garigliano seminando morte e portando alla totale distruzione del millenario monastero benedettino, di Cassino e di altre quattro città limitrofe. 

Ma in quel 26 maggio ’43 nessuno immagina cosa stia per accadere. Cassino sembra una retrovia sicura e allora don Stefano Colonna chiede a monsignor Diamare di tenere in custodia gli arredi.

Perché a Montecassino

Gli spiega anche il motivo per cui la scelta è ricaduta su Montecassino. Era stata paventata l’idea di trasferirli a Montevergine (in provincia di Avellino) dove fra l’altro, sempre segretamente era arrivata addirittura la Sacra Sindone, spostata da Torino fin dall’8 settembre 1939 (una settimana dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale e con l’Italia ancora al di fuori del conflitto bellico) e consegnata all’abate Giuseppe Ramiro Marcone originario di San Pietro Infine. Oppure di andare ancora più su in qualche santuario, convento o monastero dell’Italia centro-settentrionale.

Tuttavia la Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro aveva «prescelto» l’abbazia di Montecassino spinta da una serie di motivazioni: innanzi tutto per la posizione geografica del monastero ritenuta «meno esposta» al «pericolo di incursioni aeree» ma in particolare per il carattere fiduciario offerto dalla «santità dell’Ordine» benedettino e dalla «rigorosa osservanza dei monaci» per cui si era sicuri che sarebbe stato custodito e tutelato al pari degli arredi sacri di proprietà del monastero.

Soprattutto però il carattere fiduciario si incarnava nella figura di monsignor Diamare che era originario di Napoli per cui era legato a San Gennaro da «vincoli di cittadinanza». E ben conosceva cosa rappresentassero San Gennaro e il suo Tesoro per la popolazione partenopea., di custodirli al pari di quanto era più caro per Montecassino.

Il segreto ben custodito

Il generale Fridolin von Senger und Etterlin apre la porta dell’auto che accompagnerà a Roma all’abate Gregorio Diamare poche ore prima del bombardamento di Montecassino

L’abate Diamare accettò di prendersi cura degli arredi e le tre casse furono collocate nei locali della Biblioteca. Tuttavia il segreto del prezioso contenuto non trapelerà mai al di fuori della ristretta cerchia dei monaci cassinesi.  

Quando il 14 ottobre 1943 si presentarono a Montecassino due ufficiali della Wehrmacht per prospettare il trasferimento dei beni artistici personali dei cassinesi e di quelli dello Stato italiano, essi non sapevano e neppure sospettavano lontanamente che in abbazia fossero custoditi gli arredi del Tesoro di San Gennaro, né lo sapranno mai pur avendoli trasportati. Infatti l’abate Diamare, ligio alla promessa fatta a Stefano Colonna di Paliano, fece collocare le tre casse in mezzo alle cose di proprietà dell’abbazia che in base agli accordi presi con gli ufficiali nazisti venivano trasportate direttamente a Roma.

Così il 14 ottobre 1943 partì da Montecassino il primo convoglio di automezzi messi a disposizione dalla Divisione Göring. Mentre il 19 partì il secondo convoglio formato da tre camion diretti a Roma che trasportavano i beni di proprietà dell’abbazia oltre a vari monaci, fra cui don Tommaso Leccisotti e molti sfollati. Ben occultati fra i beni di Montecassino si trovavano anche le tre casse del Tesoro di San Gennaro. Alle 17.30 gli automezzi giunsero a Sant’Anselmo, sull’Aventino, e tutti i materiali furono scaricati e posti negli ambienti del monastero benedettino. La sacralità e il valore materiale degli arredi del Tesoro di San Gennaro indussero a spostarli in Vaticano. Così il 7 dicembre 1943 don Tommaso Leccisotti caricò su una macchina delle suore «Figlie di S. Paolo» le tre preziose casse che consegnò al Vaticano. 

Dopo la Liberazione

Nell’estate del 1944, dopo la liberazione della capitale italiana da parte dell’esercito alleato, per le tre preziose casse avviene la restituzione dal Vaticano ai cassinesi ed il ritorno in deposito a Sant’Anselmo. I monaci benedettini avvertirono la Deputazione della Real Cappella e sollecitarono il prelievo degli arredi anche per il timore di dimostrazioni popolari che percorrevano Roma.

Tuttavia anche a Napoli la situazione sociale era molto grave per cui dovettero trascorrere ancora quasi tre anni prima che Stefano Colonna di Paliano si portasse a Sant’Anselmo per recuperare gli arredi. Così nel marzo 1947 le tre preziose casse furono caricate su una macchina che con tanti timori per possibili rapine, ritardi dovuti anche all’attraversamento di Capua per il ponte sul Volturno ancora distrutto, alla fine a sera giungevano a Napoli integre, ancora sigillate con il piombo così come erano state consegnate. E ripresero il loro posto nella Cappella del Tesoro e nei cuori dell’ignara popolazione napoletana.