Lello Maietta, addio al taccuino ed alla toga

Si è spento l'avvocato Lello Maietta. Fu principe del Foro di Frosinone. Gli esordi come cronista. La decisione di diventare penalista. «La toga sempre perpendicolare al pavimento dell'aula d'udienza» fino alla fine

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Veniva dal giornalismo e da ragazzino faceva il cronista. Scriveva in una redazione nella quale pestavano i tasti sulla macchina da scrivere figure destinate a diventare mitiche per il giornalismo locale: Luciano Renna, Gianluca De Luca, Umberto Celani… Il giovane Raffaele Maietta capì presto che continuando su quella strada avrebbe avuto anche lui più di qualche soddisfazione. Ma non gli bastava. È per questo che decise di attraversare la transenna posta per separare chi racconta la vita di tribunale da quelli che ne sono protagonisti.

Finì che il ragazzo lasciò taccuino e lapis. Assassini, rapinatori, stupratori e criminali di ogni specie, l’ex cronista Lello Maietta se li ritrovò affianco: o come loro difensore di fiducia o come controparte perché assisteva le loro vittime. Ma comunque con una toga sulle spalle. Perché Lello Maietta diventò uno dei più bravi avvocati penalisti del foro di Frosinone, sedendosi in poco tempo nello scranno ideale riservato ai prìncipi della professione.

Storie di sangue e colletti bianchi, reati internazionali ma anche ladri di polli: come i vecchi maestri. Ai quali non interessava tanto la parcella: se un caso li appassionava, erano capaci di presentarsi tra lo stupore dei presenti in una dimenticata Pretura di periferia. E arringare con la stessa passione che avrebbero messo se si fossero trovati di fronte alla Corte di Cassazione riunita a Sezioni Unite.

«Noi non difendiamo chiunque ne abbia bisogno, con le norme dell’ordinamento. Ma li difendiamo dalle norme dall’ordinamento» diceva ai colleghi più giovani.

Erano gli anni in cui non bastava conoscere il Codice. Ma bisognava saperlo interpretare: anche dal punto di vista scenografico. Non a caso, in quel tempo per raggiungere la laurea in Giurisprudenza era necessario superare in maniera brillante l’esame di Retorica Forense.

Lello Maietta era un profondo conoscitore del Codice Penale e della sua Procedura. E in aula lo interpretava con l’asciuttezza che il Diritto reclamava. Perché «La toga deve sempre essere perpendicolare al pavimento dell’aula di udienza» insegnava ai giovani: mai piegarsi, mai far perdere la dignità alla difesa e la sacralità ai processi.

Anche per questo appariva duro e spigoloso. Ma bastava poco per lasciargli spalancare la porta della sterminata cultura umanistica che l’aveva assistito negli anni del giornalismo. Alla quale aveva affiancato una preparazione assoluta della tecnica giuridica.

La concretezza del cronista, la tecnica del penalista: un’unione micidiale.

Nel 2014 il Consiglio dell’Ordine forense lo ha insignito della toga d’oro. Che ha continuato ad indossare fino alla fine. Ha frequentato i tribunali quasi fino all’ultimo giorno.

Nel primo pomeriggio Lello Maietta si è tolto la toga. Ha raggiunto altri luoghi di Giudizio. Nemmeno lì sfigurerà.

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