Morto Marchionne, a Cassino i due grandi successi ed i due grandi errori (di A. Porcu)

La morte di Sergio Marchionne. A Cassino i grandi successi: dalla pax sindacale alla qualità d'eccellenza. Ma anche gli errori: i ritardi su Giulia e gli errori su Stelvio che hanno tardato l'approccio al mercato cinese.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

A Cassino stanno due dei suoi più grandi successi. A Cassino stavano anche due delle sue più grandi sconfitte.

Vette e abissi dell’uomo che ha rivoluzionato Fiat (e salvato l’automotive in Italia) emergono in tutti i loro picchi ora che è calato il silenzio intorno all’Universitatsspital di Zurigo. Ora che i macchinari sono spenti ed hanno smesso di lanciare i sempre più flebili segnali di vita individuati nel paziente. Ora che i i mercati si sono assestati ed hanno assorbito il colpo. E si può annunciare ufficialmente che Sergio Marchionne ha smesso di lavorare. Per sempre e per tutti.

La dichiarazione ufficiale è arrivata con una nota dell’ufficio stampa Fca. Che va a confermare un’uscita di scena nel pieno stile del personaggio: dannatamente precisa, apparentemente delicata, decisamente rivoluzionaria.

 

Dannatamente precisa perché le prime indiscrezioni le fa circolare Dagospia il giovedì. Le prime conferme arrivano solo il venerdì quando i mercati sono già chiusi. Il segnale che la catastrofe sia imminente è chiaro il sabato quando vengono convocati i CdA per definire la successione. Il nuovo board è ufficiale la domenica. Il lunedì c’è il tonfo in borsa. Il rimbalzo avviene il martedì alla chiusura delle contrattazioni. Il mercoledì la situazione è stabile. E arriva l’annuncio ufficiale.

Nemmeno se l’avesse programmata sarebbe riuscito a fare un’uscita di scena così precisa. Ma la morte di Sergio Marchionne invece non stava scritta in alcun registro: alla segretaria aveva fatto cancellare gli appuntamenti soltanto per sei giorni. Le voci che nessuno confermerà mai parlano di una complicazione imprevista: forse durante, forse dopo l’intervento alla spalla. Legato ad una patologia ai polmoni. Nessuno lo saprà mai. E, in fondo, ha nessuna importanza.

 

Apparentemente delicata perché se n’è andato così come era arrivato e poi ripartito dallo stabilimento di Cassino. (leggi qui I due voli di Marchione che hanno rivoluzionato Cassino Plant). La prima volta ci era arrivato in elicottero, all’alba, inatteso ospite. Al termine della visita aveva detto: “Qui rifacciamo tutto“. Sembrava un modo di dire: invece quando è tornato per il lancio di Stelvio e Giulia non c’era più nemmeno un mattone di ciò che aveva visto la volta precedente.

Con la stessa apparente delicatezza, aveva rivoluzionato il mondo dell’automotive nazionale. Una rivoluzione apparsa quasi come una fisiologica necessità. Cassino stava chiudendo: Stilo era stato uno dei flop più clamorosi sul mercato, non aveva centrato il bersaglio di sfondare nel Segmento D. E la prospettiva era quella di assemblare la Croma. Nel resto degli stabilimenti mancava un modello premium. I conti erano un disastro. Il gruppo perdeva 2 milioni al giorno: avrebbe guadagnato di più se si fosse fermato.

Invece l’uomo in pullover ha salvato la Fiat dal fallimento e l’ha trasformata nel settimo gruppo automobilistico mondiale. Ha imposto subito la sua competenza sui numeri ridiscutendo con le banche il prestito da 3 miliardi e l’accordo con General Motors. Ha cambiato il modo di vedere le cose. Anche sul fronte sindacale: attacca la rigidità del contratto nazionale, affronta su tutti i terreni la Fiom, negli stabilimenti e nei tribunali.

A Cassino promette sviluppo, nuovi modelli e nuova occupazione. Ottiene l’appoggio della Cisl, il segretario Pietro Maceroni legge il piano strategico e commenta «Questo o ci fa fallire subito o ci porta sulla luna, non c’è via di mezzo». Una line di credito fondamentale gliela apre Francesco Giangrande con la Uilm «Questo è l’unico piano credibile che si sia visto negli ultimi anni».

Nello stabilimento di Cassino Plant Sergio Marchionne ottiene subito la flessibilità che tarda ad arrivare da Pomigliano e da Mirafiori. Non ha bisogno di imporre condizioni. Anche a cassino si apre una lacerazione con la Fiom mai del tutto superata.

Marchionne chiede un modo diverso di pensare. Moderno e sganciato dai vecchi schemi. Lo dice quando ritira la laurea Honoris Causa all’università di Cassino nel pieno di quella rivoluzione. Ed è il primo a dare l’esempio: uscendo da Confindustria che a inizio ‘900 la Fiat aveva contribuito a fondare.

 

Per questo i 14 anni di Marchionne in Fiat sono stati una fase decisamente rivoluzionaria. Contrassegnati dal lancio di nuovi modelli, con lo spostamento del baricentro dall’auto di massa al segmento premium realizzato nel nuovo modernissimo stabilimento Fca Cassino Plant edificato sulle macerie di Fiat Piedimonte San Germano. E poi gli scorpori di Fiat, Ferrari e Cnh e quello avviato di Magneti Marelli, il rilancio dell’Alfa Romeo e i record della Jeep, lo sbarco a Wall Street.

 

Proprio a Cassino stanno i grandi successi ed i grandi errori di Sergio Marchionne. Il successo è quello centrato con la decisione di scommettere su uno stabilimento nato per fare le 126. Che il massimo nella sua storia era stato l’avere assemblato per un certo periodo le gloriose Fiat 131. Dove il mood era “Manna annanz’ capò che s’edda fà la produzione“. E così uscivano ogni giorno centinaia di vetture senza volante, o senza serbatoio, senza spcchietti. Poi il sabato e la domenica chi voleva o aveva bisogno di soldi, rientrava per fare il “recupero”: turni nei quali completare le macchine già nei piazzali ma non in grado di andare dai concessionari.

Non nacque a caso in Inghilterra l’acronimo Fix It Again Tony, per indicare la sigla Fiat. Che tradotto suona più o meno: continua ad avvitarla Antò. Segno di una tecnica di produzione di massa che era basata sui numeri e non sulla qualità. E di cui Cassino era interprete al pari di Mirafiori, Rivalta, Lingotto.

 

Con Marchionne, Cassino ha iniziato a sfornare il top di gamma. Stelvio e Giulia da trimestri contribuiscono a sistemare i conti del gruppo. Diventando la capitale tecnologica di Alfa Romeo, nuovo polo del lusso accessibile. Trainando verso l’alto tutto l’indotto, imponendo standard di qualità sempre più di eccellenza. Non a caso oggi ci sono aziende locali, come la Prima, che forniscono tutti i marchi più prestigiosi: le tedesche tra le prime.

Ma a Cassino stanno pure gli errori di Sergio Marchionne. Ammessi con disarmante serenità: come il ritardo dello sbarco in Cina e le false partenze di Alfa Romeo. Sono stati due fattori che sono costati i famosi 530 posti non confermati agli interinali di Cassino Plant.

Il progetto Giulia è stato smantellato e ricostruito più volte. Ottenendo – è vero – una top car, ma allungando di molto i tempi sulla tabella di marcia. Che si traducono in un rinvio nei guadagni sul mercato. Perché chi vuole una macchina è disposto ad aspettare ma non per una macchina che ancora non c’è.

Quei tempi si è tentato di recuperarli sul progetto Stelvio. Creando così i presupposti per il secondo errore: il ritardo sul mercato cinese. Che ha regole e liturgie di accesso del tutto diverse da quelle occidentali. Marchionne lo ammise nel corso di un evento Ferrari: «Le auto vendute in Cina potrebbero avere dei problemi e questo ha comportato una riprogrammazione».

Problemi di omologazione. «Se pensate che il cambiamento dei mercati cinesi non abbia conseguenze sull’industria dell’auto, state fumando qualcosa di illegale».

Quel ritardo ora è quasi del tutto colmato. L’ultima sfida che Sergio Marchionne si avviava a vincere da Cassino.