Addio al sindaco Marrocco: dormì in macchina per prendere chi disturbava in paese

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Quando alcuni ragazzi un po’ esuberanti ruppero per la seconda notte di fila le fioriere messe in piazza, lui non si perse d’animo. Si piazzò dentro la sua macchina e dormì lì davanti: pronto a saltare fuori al minimo rumore se fossero tornati. «Per me non è un problema, sono abituato a stare all’erta. Ho fatto il militare tra i carabinieri. Poi, una volta congedato, mi sono arruolato tra le Guardie di Pubblica Sicurezza che è l’attuale Polizia di Stato: il paese è il mio e lo difendo io».

 

Giovanni Marrocco era così. Faceva parte di quei sindaci che hanno scritto la storia della ricostruzione in provincia di Frosinone. E per questo consideravano il Comune come una cosa loro.

 

C’è stato per oltre cinquant’anni, in amministrazione, Giovanni Marrocco. Fino a quando è esistita, con la Democrazia Cristiana. E’ stato lui ad aprire la sezione scudocrociata, nella frazione Porchio – Macerine: correva l’anno 1965. E’ stato quello il trampolino per la sua prima elezione in Consiglio comunale. Da dove – di fatto – non è più uscito. Otto anni più tardi è diventato sindaco per la prima volta, l’ultima è stato nel 2002 quando venne varata la legge che limitò il numero dei mandati per i sindaci.

 

Se i ras politici nazionali volevano le preferenze nella sua area, dovevano discutere con lui. Andreottiani o basisti, poco importava. Controllava i voti ad uno ad uno, in ogni famiglia c’era un problema che aveva risolto, una licenza che aveva dato senza fare aspettare, un cavillo burocratico che aveva aiutato a scavalcare, un buono benzia che aveva consegnato con discrezione a chi non aveva i soldi per fare il pieno. «La politica è questo: se alla gente non gli risolvi i problemi che ci stai a fare?»

 

Finita la Dc qualcuno si illuse che fosse finita anche la stagione politica di Giovanni Marrocco. Invece non perse un voto: creò la civica Il Cervo per Cervaro. E continò ad amministrare incontrastato. Quando la legge nel 2002 lo obbligò a farsi da parte, si scansò. Ma solo di pochi centimetri: candidò a sindaco suo figlio Ennio e lui rimase in municipio dove conosceva ogni serratura, ogni documento, ogni segreto di ogni procedura.

 

Governò con il piglio risoluto del militare. In fondo, congedarsi dalla Guardie gli era dispiaciuto: «Fu mamma che mi obbligò a lasciare. Me ne andai in Ferrovia e sono diventato Capostazione». Anche lì doveva guidare, dirigere, coordinare. Sentiva di essere nato per quello.

 

A luglio avrebbe compiuto 84 anni. Ed era lucido come nei giorni degli anni Novanta in cui si mise a dormire dentro la sua macchina, davanti alla piazza del paese, per scoprire chi fosse il vandalo che rompeva le fioriere. Era stato rieletto Consigliere comunale anche nell’ultima tornata: quella del 2012. Ha seguito fino alla fine tutti i consigli comunali. Anzi no: all’ultimo è mancato. Quello è stato il segnale che ci fosse qualcosa che non andava.

 

Sindaco, ma se li trova, quelli che hanno rotto le fioriere? domandò un giovane giornalista

«Gli dò due sganassoni, mica mi metto a chiamare i carabinieri e rovinargli la fedina penale a queio ragazzi. Ma devono capire che nel paese mio queste cose non si fanno».

Buon viaggio sindaco: dall’altra parte troverà sicuramente in municipio da guidare.

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