L’ultima corsa di Romano Misserville: vincitore fino alla fine

Ha beffato la morte fino alla fine: chiedendo di poter fare un’ultima giocata ai cavalli. La signora con la falce ha dovuto aspettare i risultati delle corse all’ippodromo di Agnano. Buon per lei che non abbia scommesso: se ne sarebbe dovuta tornare senza Romano Misserville. Ha vinto l'ultima corsa ad Agano. E poi è morto.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

La morte ha dovuto aspettare i risultati delle corse di Agnano. Buon per lei che non abbia scommesso. Corsa 5, con i colori gialli e blu a rombi BlancMenteur è sulla corsia tre: risparmia le energie e poi a 250 metri dall’arrivo scatena tutta la sua tecnica e la sua eleganza, stupendo il pubblico. E tagliando primo il traguardo. Nel suo letto d’ospedale allo Spaziani di Frosinone, con i giornali delle scommesse sul comodino, a seguire via radio la corsa c’è il proprietario di quel purosangue: Romano Misserville, principe del foro di Frosinone, già presidente vicario del senato, primo post fascista ad entrare in un Governo della Repubblica, come Sottosegretario al Lavoro.

Il puttano che li salvò

Romano Misserville

Ci rimase poche ore. Giusto quelle necessarie per fare le foto con il premier e con il Capo dello Stato. E di appendere alla parete un quadro di Mussolini. Poi andò a dimettersi. «Era una promessa che avevo fatto a me stesso». Quella di beffarsi anche del governo? Macché «L’otto settembre del ’43 ero studente e passavo sotto al ministero, per poco non venni colpito alla testa da un quadro che la folla scaraventò da una finestra di quella che all’epoca era la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Lo raccolsi e promisi a me stesso che non sarei morto se non lo avessi rimesso al suo posto». Ci volle mezzo secolo.

Gianfranco Fini lo definì un ‘puttano della politica’, lui gli rispose che ‘a proposito di puttane, non ha bisogno di guardare lontano’: si riferiva alla deriva che il Partito stava imboccando . I due si detestavano, con eguale intensità e per lo stesso motivo: ciascuno riteneva l’altro un ingrato. Perché Fini doveva tutto o quasi a Romano Misserville e Pinuccio Tatarella. Furono loro a prendere per mano un Msi ridotto a Partito di nostalgici ex fascisti che si stava lentamente dissolvendo insieme ai suoi ottuagenari iscritti. Lo condussero ad essere una moderna forza di destra e di governo, mantenendo fede ad una promessa fatta a Giorgio Almirante in punto di morte.

Destra di Popolo

Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi

Fu per quella promessa che se ne andò dal Partito nel quale era entrato a 15 anni mentre tutti ne uscivano. Andò via quando capì che Alleanza Nazionale era destinata a diventare né più né meno degli altri Partiti che per una vita aveva combattuto ed avversato. Ma andò via a modo suo, senza sbattere la porta: con una provocazione che nascondeva una beffa.

Era il 1998 a far traboccare il vaso fu la posizione assunta da AN sul finanziamento pubblico ai Partiti: il referendum lo aveva abolito, Fini aveva appoggiato la sua rintroduzione sotto forma di “rimborso elettorale”.

Fu così che Romano Misserville fondò il movimento Destra di Popolo e chiese di avere i 169 milioni di lire destinati al suo nuovo Partito. Ai vertici di An non parve vero: espulsione e sputtanamento sulla pubblica piazza. Sulla quale il senatore rispose esibendo in diretta Tv dagli schermi di Teleuniverso decine di copie di assegni. I soldi li aveva presi ma li aveva dati tutti in beneficenza all’ospedale di Ceccano, a  fondazioni umanitarie, istituti per gli anziani, associazioni per l’assistenza ai disabili, finanche al comitato degli operai dell’ex Annunziata che lottavano contro la chiusura della fabbrica. Dimostrò così ad An ed a tutti quanto fosse facile prendere i soldi: lui li aveva regalati, altri se li erano inguattati.

Con il sorcio in bocca, con un centesimo non suo, non lo trovarono mai. Perché non li cercava, non li voleva. Al punto che nel 1983, unico sindaco fascista in Italia, mentre guidava il Comune di Filettino (quello del Maresciallo Rodolfo Graziani, passato alla Storia con il soprannome il macellaio del Fezzan) ogni giorno a mezzogiorno scendeva in strada, entrava nella cabina telefonica, infilava il gettone ed avvisava la moglie di mettere l’acqua che stava tornando a Ceccano per il pranzo. Nemmeno la telefonata dall’ufficio.

Un vizio per tutti

L’arrivo di BlancMenteur nella corsa di lunedì ad Agnano

Non era esente da vizi. Ne aveva uno, valeva per tutti gli altri: i cavalli.

Nei verbali del Senato c’è ancora lo scambio di battute tra lui e Andreotti quando il divo Giulio era in corsa per diventare presidente della Repubblica; la destra di Misserville non lo votò. Il pluri presidente del Consiglio gli disse “Romano, mi hai battuto ai cavalli, ora fammi vincere qui”. Pochi sapevano che anche anche Andreotti coltivasse, con maggiore riservatezza, quella passione. La risposta del senatore fu una delle sue beffe: sulle schede per la votazione del capo dello stato apparve una serie di voti a ‘Gran Condottieroil cavallo di Misserville che aveva battuto quello di Andreotti.

Per i cavalli scelse di non diventare ministro. “Sarebbe stato poco edificante per un ministro, andare in giro con la scorta a giocare ai cavalli. Dovendo scegliere tra fare il ministro ed i cavalli non ho avuto dubbi”. Ma proprio non risce a stare lontano dagli ippodromi? “No, è l’unico posto in cui non si corre il rischio di incontrare asini”. Il primo cavallo lo aveva comprato a rate, lo fece diventare un campione che sfidò i purosangue bulli dell’Aga Khan e di Rotschild. A Parigi quel sauro inglese arrivò terzo: “Petit mais bien fait” commentò il quotidiano L’Equipe.

L’altra passione era l’arte: possedeva una collezione privata di grande pregio, un po’ perché gli piacevano in quadri un po’ per la sfida con i falsari di via dei Coronari che provavano a piazzargli delle croste imitate benissimo. E che lui riusciva sempre a riconoscere.

La voce rauca

Romano Misserville

La morte l’aveva già beffata una volta. Si presentò mentre era al culmine della carriera politica. Già deputato, l’avevano eletto da poco senatore. Uscendo da palazzo Madama andò a visita da un laringoiatra: ce lo aveva mandato con un trucco un primario di Frosinone che era stato nel suo studio legale per una causa. Aveva notato la voce stranamente rauca. Gli disse “Ero venuto per pagarti, non lo faccio. Ti darò l’assegno solo quando tornerai qui dopo essere stato da questo mio amico a Roma ed esserti fatto visitare”. 

L’autista, Angelo, lo accompagnò. Il luminare diagnositcò un cancro alle corde vocali, colpa anche delle Gauloises Caporal che fumava senza sosta. Senza scomporsi il paziente gli disse: “Professore, oggi era l’ultimo giorno di lavoro in Senato, domani parto per l’Olanda per un convegno. Poi ho promesso di portare mia moglie una decina di giorni al mare e non posso negarglielo. Ci vediamo a settembre”. La risposta fu lapidaria: “Senatore, oggi è giovedì. io lunedì la opero”. Gli salvò la vita.

Uscì dalla sala operatoria con la voce rauca di chi l’ha conosciuto negli ultimi trent’anni. Si sentiva menomato, lui che poteva vantare un timbro che pareva forgiato apposta per la sua retorica forense antica e asciutta. Raccontava che un giorno, dopo avere sentito Carnellutti arringare a Napoli disse alla fidanzata dell’epoca “Se ci sposiamo ti regalerò una pistola: promettimi che mi sparerai se mi sentirai arringare cme lui”. Qualcuno gli disse che lo stesso aneddoto lo aveva raccontato Montanelli, Misserville assicurava “lo ha sentito da me”.

Al di là del tono era quello che diceva a sbalordire. Al processo per l’omicidio di Serena Mollicone arringò per quattro ore e mezza ottenendo l’assoluzione dell’imputato. Alle sue spalle si era creata una folla di avvocati trentenni: “È l’ultima occasione che abbiamo per sentire un’arringa degna di questo nome”. Erano venuti per assistere allo spettacolo. Non li deluse.

L’ultima corsa

Fiammetta Misserville

Non riuscì a schivare la morte: ma non era diretta da lui. Anzi, avrebbe preferito incontrarla e consegnarsi lui in cambio anziché farle prendere Fiammetta, la figlia che insieme al fratello Filippo gli avevano ereditato lo stile e la passione per il foro, la politica. Fece di tutto per salvarla dalla malattia: fu l’unica volta in cui dovette arrendersi.

Non si è arreso nemmeno quando la morte è venuta a prendere lui nell’ospedale Spaziani: ci stava da qualche giorno: un po’ di accertamenti di quelli che devi fare quando stai per compiere 87 anni e senti qualche piccolo segnale.

Lunedì era seduto sul suo letto, con i giornali sul comodino, la corsa di BlancMenteur ad Agnano, la vittoria, fino alla fine. Se n’è andato dopo qualche ora. Da vincitore.

L’intervista con Alessio Porcu

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