Negozi, 1 su 4 è in crisi: colpa del poco tempo e formazione

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In crisi i negozi tradizionali. Uno su tre è in difficoltà. Colpa del tempo: ce n'è sempre meno per fare la spesa. Ma anche della poca modernizzazione. Ecco come hanno reagito alcuni in provincia

Più delle tasse, spaventa l’assenza di clienti. Che però non è da attribuirsi alle indecisioni del governo. È questa la fotografia del commercio di vicinato scattata da un sondaggio condotto da Swg per Confesercenti sui piccoli negozi.

Il settore è in crisi nazionale, con una previsione che indica il 24% degli operatori di settore timorosi di chiudere in negativo il bilancio annuale. La provincia di Frosinone segue il trend, con il settore che è in controtendenza rispetto alle Piccole e Medie Imprese. E che, sul territorio ciociaro, si attesta per metà sui dati del 2017, per metà risente della stasi annunciata del 2018.

Il quadro generale

Cos’è il Commercio di Vicinato? Sono i negozi di paese, nei quali siamo andati a fare la spesa ogni giorno, entrando ed uscendo da una bottega all’altra: la carne dal macellaio, la verdura dal fruttivendolo, latte e pasta nell’Alimentari… Magari a due passi l’uno dall’alto, lungo la stessa strada. Ha funzionato così prima che esplodesse anche in Italia il fenomeno dei grandi centri commerciali con tutto dentro la stessa area.

Il contesto nazionale del commercio di vicinanto parla di piccole imprese in carenza di ossigeno, solo un 18% degli imprenditori del settore pensa di chiudere in positivo il bilancio annuale, la metà sta valutando di ridurre il personale per ammortizzare le spese.

Di fatto è una controtendenza, dal momento che gli altri settori avevano fatto registrare timidi segnali di ripresa. Basti pensare che negli altri settori la previsione di chiudere i conti con trend positivo è del 34%, quasi il doppio dei commercianti di vicinato.

Le preoccupazioni

Ma cosa spaventa il dettagliante di quartiere? Secondo condotto da Swg per Confesercenti è l’assenza di certezze: un’assenza per la quale il 48% degli addetti ai lavori ha paura del freno alla domanda da parte dei consumatori. Lo stabilimento Fca Cassino Plant è quasi sempre in cassa integrazione, l’indotto lo segue a ruota e sono così circa 7mila buste paga tagliate dalla Cig. Nel chimico farmaceutico ci sono realtà come Biomedica che aspettano una risposta, l‘Area di Crisi Complessa non ha generato i nuovi posti di lavoro che ci si aspettava e così alcune centinaia di famiglie nell’area ex Videocon va avanti con gli ammortizzatori sociali.

I riflessi si vedono anche sul carrello della spesa. Insomma, si vende di meno e, stando al sondaggio Swg, a segnalarlo sono 32 commercianti su 100. Più del Fisco, li sta facendo scivolare verso la crisi la spesa in drastica frenata, insomma.

L’erario è indicato come “colpevole” della crisi solo dal 28% degli operatori. La percentuale sale di un altro 22% se si aggiunge ad essi la preoccupazione per la prossima manovra finanziaria con il ventilato aumento dell’Iva. I commercianti indipendenti hanno paura della riduzione di clienti ma non danno la colpa all’instabilità del governo in carica, dato che questa lettura è stata espressa solo da un 6% di essi.

Il dato schizza in alto invece nel caso delle piccole imprese, che alle decisioni o agli “inciampi” dell’Esecutivo sono legate più direttamente. E a piangere sono soprattutto le previsioni di investimento, che nel settore si traducono in forza lavoro: il 20% degli intervistati vuole ridurre i dipendenti e solo il 5% ha in previsione nuove assunzioni (da cui vanno poi scorporate le formule contrattuali atipiche).

Investire? Più tardi

Dolenti sono anche le note degli investimenti strutturali e logistici: un commerciante su due (51%) non ne farà, mentre un 35% vorrebbe farne ma non ha né risorse né “sponde” alle richieste dalle banche. Oggi infatti, i parametri per prestare il denaro sono molto più stringenti: lo prevedono le nome bancarie europee. Chi presta denaro deve mettere da parte una quota con la quale garantirsi nel caso in cui quel prestito non rientri. Un fatto che registra la rigidità delle banche nazionali e sta moltiplicando il valore sociale delle banche locali: chi conosce personalmente il commerciante e la sua impresa, sa se potergli prestare il denaro, a prescindere dai parametri di Basilea I, Basilea II e tutte le norme successive.

In provincia è tutto fermo

In provincia di Frosinone le soluzioni ad un problema che aveva dato già avvisaglie un anno fa erano state studiate con cura, ma la risposta del sistema era stata debole.

Per i negozi alimentari si era cercato di valorizzare la “filiera corta“, con un rapporto più stretto fra produttori agricoli e piccoli distributori ed un conseguente abbattimento dei costi che nel concreto attirasse più clienti.

Tuttavia i numeri della Camera di Commercio di Frosinone dicono che il settore è fermo. Alla fine del 2018 risultavano registrate presso il Registro Imprese di Frosinone 48.222 imprese, con un tasso di crescita dello 0,9% rispetto al 2017. Il Commercio è il settore principale per numero di attività: 13.162 negozi e attività commerciali in genere. Ma la variazione sul 2017 è pari a zero: significa che il comparto non cresce, non si sviluppa.

Il secondo report sviluppato dall’ufficio studi della Camera di Commercio di Frosinone su dati Unioncamere dice che nelle società di capitali con sede nella provincia di Frosinone operano al 30/9/2018 42.791 addetti (di cui n° 40.812 lavoratori dipendenti e n° 1.979 lavoratori indipendenti). Nel comparto del Commercio ci sono 21.450 addetti, di cui 11.297 dipendenti e 10.243 indipendenti.

Parola d’ordine: negozi moderni

Frosinone e provincia risentono della scarsa digitalizzazione, con un settore che, ad esempio, nell’alimentare prevede pochi corsi Sab on line (somministrazione alimenti e bevande) riconosciuti dalla provincia di Frosinone.

Il commercio si sta spostando sempre più sul digitale: Amazon ti porta a casa la spesa in meno di 24 ore, alcuni in provincia hanno risposto organizzandosi allo stesso modo. In pratica, i clienti vanno su un modulo on line, riempiono virtualmente il loro carrello, dicono a che ora passeranno a ritirare, pagano on line con la carta.

Altri, in maniera più elementare, si fanno mandare la lista della spesa via WhatsApp e poi passano a ritirare e pagare. Altri invece non hanno deciso di seguire il cliente. E risentono maggiormente della crisi.

Puntare sul contatto umano è un valore aggiunto del Negozio di Vicinato ma è la società ad essere cambiata: anche in provincia i tempi sono sempre più compressi, si esce dall’ufficio e si corre in palestra, oppure a prendere i figli a scuola per portarli al corso di danza… Il tempo per la spesa fatta come momento di relax non c’è più.

Ne parliamo al ministro

Poca formazione, pochi clienti e poche certezze danno la cifra della situazione. Intanto a livello nazionale Confesercenti promette battaglia.

Secondo la presidente Patrizia De Luisei negozi sono le luci delle nostre città: non possiamo lasciare che si spengano. È necessaria un’azione organica, ad ampio spettro, per restituire capacità di spesa alle famiglie e per accompagnare la rete commerciale nella transizione al digitale, creando le condizioni per una leale competizione con il canale Web».

«Servono negozi di vicinato e formazione continua per gli imprenditori che li gestiscono, sostegno agli investimenti innovativi ed un riequilibrio fiscale per una concorrenza alla pari tra offline e online“.

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