Noi siamo quello che siamo (Il caffè di Monia)

Un caffè strong. Per ricordarci che nulla ci è dovuto. E che siamo il risultato di ciò che facciamo. O evitiamo di fare. Delle parole che diciamo e quelle che omettiamo di dire.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Noi siamo quello che siamo. Violenti, egoisti, approfittatori, paurosi, confusi e perennemente dominati dall’attesa di una fine che è sempre troppo vicina. Non saremo mai quelli che avremmo voluto essere. Anzi, non saremo mai nemmeno quelli che avremmo potuto essere, perché la vita decide da sola dove portarci e noi siamo troppo deboli per opporci.

Con tutto il rispetto per il porgi l’altra guancia, il lavorare meno lavorare tutti, i reich millenari, i paradisi in terra e quelli ultraterreni delle millemila religioni, la supremazia delle razze, il siamo tutti uguali, le cappelle sistine del pensiero, le architetture inossidabili della scienza, i satelliti in orbita e quel triste cellulare nel quale affondiamo lo sguardo per gran parte del tempo.

La verità è che non siamo così belli, nobili, intelligenti e speciali. Non meritiamo il posto al centro dell’universo e nemmeno quello al centro del sistema solare.

Non siamo i figli prediletti di nessuno Geova, Visnù o Allah e i profeti vari, sia quelli col saio che quelli col microscopio, ci hanno raccontato un sacco di cazzate. “Bisogna andare avanti!” dicono quelli che credono di sapere cos’è la vita.

Ma noi, quelli che cosa sia la vita non lo sanno, siamo lupi nella tagliola.

E continuiamo a correre. Sempre più lontano, sempre più di fretta, per provare a impedire al rombo sordo della fine del mondo di raggiungerci. Noi siamo quello che siamo, niente di eccezionale. E non sarà il numero di quelli che abbiamo offeso e approfittato a farci uomini migliori, o una laurea o cinque fottuti minuti di gloria o un paio di scarpe rosse.

A farci uomini sarà il rispetto con cui abbiamo trattato noi stessi e gli altri. Inutile attendersi qualcosa di meglio se non accettarsi per quello che si è. Noi siamo quelli che siamo. Corpuscoli leggerissimi, nature incerte e sospese. Troppo rigide per essere forme d’onda e troppo fragili per comportarsi da frammento. Imponderabili curvature lanciate lungo traiettorie divergenti in prenda a repentine variazioni di campo.

Noi siamo quello che siamo. Con le spalle al muro e il viso coperto di sudore e la bocca che sa di sale. O di lacrime, in fondo è lo stesso. Siamo follia, amore debole, siamo l’oscurità e la fredda luminescenza di cento milioni di stelle che punteggiano la trama algida di un cielo d’aprile sospeso tra il conforto consapevole dell’inverno e le lusinghe passeggere della primavera.

Noi siamo quello che siamo. Siamo le belle parole che scrivono i libri di storia, siamo vermiglio su tela ferita, siamo le malinconie di Klimt, l’onore di Peleo, le mani di un vecchio che si gioca il mondo a tressette. Siamo la cruna dell’ago in cui scivola la vita. E non è colpa di vangeli apocrifi, del vento dell’Est, di incognite inquiete di un’equazione. Non è colpa delle Croci, di Eva, di serpenti, di tritolo e Re. E’ che noi siamo quello che siamo. Nessuno è destinato alla salvazione da solo: “Colui che ha creato te senza di te, non salverà te senza di te“. Nessuno è l’unto del Signore: un biglietto per il Paradiso si compra salendo sul Golgotha. E noi nel frattempo facciamo quello che possiamo.

E se lo facessimo davvero, sarebbe già tanto.