Nuovi ospedali ma niente medici: Aspat “Noi ci siamo”

La risposta ai Pronto Soccorso affollati. Con le 1.350 Case di Comunità finanziate dal Pnrr. Ma il costo dei materiali è aumentato. E non riusciremo a farne più di 936. Ma poi ci sarà il problema dei medici e degli infermieri. Che non abbiamo. La proposta di collaborazione avanzata da Alessandro Vallone di Aspat

Le parole sono di Milena Gabanelli, esemplare come sempre nella sua sintesi per il Corriere della Sera. Scrive: “Non serve ribadire che abbiamo un problema di assistenza sanitaria sul territorio. È accertato. Per dare ai cittadini un punto riferimento a cui rivolgersi per le prime necessità senza intasare inutilmente i Pronto Soccorso sono stati messi 2 miliardi di euro del Pnrr nella costruzione di almeno 1.350 Case di Comunità”. Occorre una spiegazione per i non addetti ai lavori.

Da sempre il primo punto di soccorso sanitario per gli italiani sono i Pronto Soccorso. Andiamo lì e ci mettiamo in fila per qualunque cosa: dalle due lineette di febbre sopra a quota 37° all’appendicite acuta che a momenti diventa peritonite. Passa tutto da lì. E chi aspetta pretende che si faccia la fila come dal salumiere. Invece la logica è che i più gravi vengono assistiti prima. Perchè quello è un punto di soccorso per i casi d’urgenza e di emergenza.

Ma andiamo lì perché siamo sempre andati lì. Da sempre.

Due miliardi per cambiare mentalità

Foto Saverio De Giglio / Imagoeconomica

I Governi ci hanno provato in ogni modo. Introducendo un ticket da far pagare a chi va al Pronto Soccorso ma non è un caso urgente. Naufragato. Perché al primo che ha fatto ricorso i giudici hanno dato ragione: che ne sono se sono grave, mica sono medico.

Alla fine, approfittando dei fondi messi a disposizione dal Pnrr abbiamo provato a cambiare le cose. E finanziare la realizzazione di 1.350 Case di Comunità. In pratica: ambulatori dove a turno ci sono dei medici di famiglia ma anche altri sanitari. Sono loro a dover diventare la prima frontiera al posto dei Pronto Soccorso. Che così tornano alla loro missione naturale: urgenza ed emergenza. All’atto pratico: dolore al fianco? Se è peperonata eccoti il bicarbonato, se è appendicite eccoti il foglio e vai in ospedale; se è peritonite comincia a correre al Pronto Soccorso che intanto li avvertiamo.

A che punto siamo con queste 1.350 Case di Comunità? Il report lo indica sempre Milena Gabanelli, scrivendo che

Il cronoprogramma che accompagna la realizzazione degli obiettivi del Pnrr prevede che entro dicembre 2023 ci sia la firma dei contratti d’appalto per la loro costruzione o, nel caso di edifici già esistenti, per la ristrutturazione. Come sta procedendo la tabella di marcia? Questi sono i dati dell’ultimo rilevamento Agenas-ministero della Salute di luglio 2023: 1.097 gare d’appalto aperte 96 contratti già firmati, 173 vicini alla firma. Il totale fa 1.366 perché i progetti sono un po’ di più delle Case di Comunità previste dal Pnrr in modo tale che, se qualcuno si arena, l’obiettivo delle 1.350 può essere comunque centrato.

La Revisione di Fitto

Raffaele Fitto (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ad un certo punto però ci siamo accorti che non stavamo più dentro ai conti. Perché in pochi anni i prezzi delle materie prime in edilizia sono schizzati. Così lo scorso 27 luglio il ministro Raffaele Fitto presenta la proposta di revisione del Pnrr. Il Governo Meloni ne prende atto e cancella: il numero di Case di Comunità da realizzare con i fondi Ue scende da 1.350 a 936. Come siano stati fatti i calcoli e quali siano state cancellate, non è dato sapere.

Ma c’è un problema ancora più grosso. La frase è di Benito Mussolini: “Per fare un cannone in fonderia bastano 20 minuti, per fare l’artigliere che lo manovra non bastano vent’anni”. Si adatta benissimo alle Case di Comunità: gli ambulatori potrai anche realizzarli in venti mesi ma i medici da metterci dentro dove li prendi?

I giovani stanno andando all’estero: la Medicina lì raramente è baronale e chi sa fare il medico lo pagano bene senza che debba farsi due giorni di fila in attesa di un sostituto come avvenne al ginecologo Costantino Magliocca nell’ospedale di Frosinone che alla fine svenne per sfinimento. Ai corsi per Scienze Infermieristiche è calato il numero degli iscritti: non è allettante la prospettiva di farsi insultare e denunciare dai familiari dei pazienti, diventare bersagli umani per gli studi legali specializzati nei risarcimenti.

La proposta di Vallone

La risposta a quei numeri ha provato ad avanzarla nel pomeriggio Aspat, l’Associazione della Sanità Privata Accreditata Territoriale. Il presidente regionale del Lazio Alessandro Vallone dice che la strada individuata per ridisegnare la sanità dopo il covid funziona. “In particolare convince l’idea di dotare il territorio di strutture a prevalente gestione infermieristica, in grado di prendere in carico il paziente nel percorso di assistenza extra ospedaliera. Di potenziare la diagnostica e la specialistica. Di lavorare ad un concreto abbattimento delle liste d’attesa attraverso una centrale unica di prenotazione, oltre che limitare concretamente il sovraffollamento dei Pronto soccorso”.

Ma c’è il problema reale messo in evidenza da Milena Gabanelli: i 42mila medici di famiglia non sono affatto convinti di dover uscire dai loro ambulatori per gestire tutti i pazienti di tutti in un diverso modello di assistenza. Il presidente Vallone conferma che una volta fatte le strutture ci sarà il problema concreto della loro “gestione operativa, una volta terminata la strutturazione della rete. Problematica già emersa in diversi confronti con operatori e dirigenti sanitari. Non è un mistero la difficoltà del servizio sanitario, nel reperire personale, medici ed infermieri, necessari a coprire i servizi già operativi nelle Asl”.

L’ospedale Fabrizio Spaziani di Frosinone Foto: Archivio Zeppieri

In molti ospedali del Nord si è già arrivati ai medici a gettone. Trovarne altri per le nuove esigenze rischia di essere un miraggio. Per questo Aspat “intende mettersi a disposizione della Regione Lazio e delle Asl, per elaborare una possibile proposta che possa coinvolgere attivamente, nella gestione dei servizi, le strutture accreditate”. Non indica una soluzione. Ma si mette a disposizione per individuarla insieme, “individuando insieme percorsi e modalità che possano sostenere l’offerta sanitaria della nostra Regione”.

Un modo per ricordare alla Regione il modello che venne adottato nel pieno della crisi Covid. Quando gli ospedali diventarono fronte contro la pandemia ed i privati accreditati si fecero carico di tutti gli altri pazienti. Perché anche questa di oggi è destinata a diventare una nuova emergenza.