Panem et circenses nell’era pentaleghista (di C. Trento)

Per il nuovo anno hanno promesso agli italiani il taglio degli stipendi ai parlamentari. Ma intanto la manovra economica ha colpito associazioni di volontariato, culturali, cooperative di giornalisti.

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Il regalo che Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno promesso agli italiani per il 2019 è il taglio degli stipendi dei parlamentari. D’altronde da mesi si discute di reddito di cittadinanza, di quota 100 e del decreto sicurezza.

Alla fine però la manovra economica è stata dettata dall’Unione Europea. Eppure mai come in questo momento nella politica italiana non conta il merito dei problemi, ma la narrazione. E la narrazione pentaleghista fa ancora molta presa: nei sondaggi le due forze, insieme, sono attestate intorno al 60%.

Quello che si sta verificando è una sorta di corrispondenza tra concentrazione di consenso e concentrazione di potere, assolutamente inusuale per le dinamiche italiane. I corpi intermedi contano sempre di meno e, anzi, danno fastidio. La gente, arrabbiata per una crisi economica che continua, preferisce (almeno per il momento) il matrimonio di interesse tra Lega e Cinque Stelle.

Eppure la prima emergenza italiana resta il lavoro: di occupazione nessuno parla più. Ma come si fa a creare posti di lavoro senza politiche di crescita? La vera sfida sarebbe questa. E invece si preferisce parlare di tagli ai vitalizi e agli stipendi dei parlamentari. Oltre che alle pensioni d’oro. Per carità, argomenti che hanno una loro valenza morale, ma che non risolvono i problemi economici del Paese.

Anche perché, parliamoci chiaro, quando si tratta di risanare le finanze di uno Stato, dalla notte dei tempi i Governi fanno cassa con le tasse sul macinato e sul pane, quelle che colpiscono la gente normale. E con i condoni. Mai con la lotta ai grandi evasori fiscali, sempre sbandierata e mai attuata.

Ma dicevamo della narrazione, che fa la differenza. Ha preso il posto del “panem et circenses”, la locuzione latina che sintetizza le aspirazioni della plebe nell’antica Roma, quando appunto il pane e i giochi circensi servivano a tenere buono il popolo. Un’anticipazione di quelle che oggi sono le moderne strategie demagogiche. Si parla alla “pancia”delle famiglie, sfibrate da una mancanza di prospettiva che ha azzerato perfino i sogni per le future generazioni.

La comunicazione politica si nutre delle paure e delle frustrazioni.

La pacchia è finita Ma per chi è mai iniziata?

Il “mantra” del Governo gialloverde è che la “pacchia è finita”. Ma per la gente normale è mai iniziata? Per chi da decenni paga sempre più tasse per avere sempre meno servizi la “pacchia” quando c’è stata?

Non solo. Chi dissente è un “traditore”, chi solleva un problema da una prospettiva diversa si trasforma automaticamente in un “complice” della passata classe dirigente. Gli spazi per il dibattito si stanno riducendo, conta solo la propaganda. Meglio se senza “filtri”, meglio con un “like”.

E allora sembra quasi normale che nella manovra economica possano esserci disposizioni che colpiscono il volontariato, le associazioni culturali. Per non parlare dell’editoria, delle cooperative dei giornalisti, che rappresentano un mondo fatto di sacrifici, di impegno, di autonomia, di libertà, di territorialità, di lacrime e sangue.

Nulla a che vedere con i privilegi e con le Caste.

Eppure in pochi alzano la manina per dire come la pensano. Il “mantra” però prosegue inesorabile: la “pacchia è finita”. In realtà quello che è successo in Italia dopo il 4 marzo è stato semplicemente un cambio della guardia: a casa Pd e Forza Italia, al Governo sono andati Movimento Cinque Stelle e Lega, che stanno portando avanti un “contratto” che non si parametra sulla mediazione, sul compromesso e sulla sintesi, ma semplicemente su una divisione di “sfere di competenza”.

L’immigrazione e la sicurezza sono materie della Lega, il reddito di cittadinanza e i tagli alla politica dei Cinque Stelle. Per ora lo “status quo” regge, anche perché in Forza Italia e nel Pd le carte continuano a darle Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. A dieci mesi di distanza da quella che è stata soprattutto la “loro” sconfitta.

Il governo reggerà fino a quando Salvini non deciderà di provare a prendersi tutto. Soprattutto il centrodestra, considerando le percentuali degli “azzurri”.

In Ciociaria soltanto briciole e vasi di coccio

La provincia di Frosinone appare sempre più tagliata fuori.

I parlamentari di Lega e Cinque Stelle (sei in tutto) non hanno lasciato alcun segno finora sul territorio. Per il resto ci si continua a “scannare” sul niente.

Prendiamo il congresso provinciale di Forza Italia: sarà una “guerra” tra Frosinone e Cassino. Ma per arrivare dove? Per fare cosa? In provincia di Frosinone il 4 marzo 2018 Mario Abbruzzese è stato sconfitto in un collegio considerato superblindato, da tripla “A”. Nemmeno una riflessione. Così come dovrebbe preoccupare il silenzio assordante del senatore e coordinatore regionale Claudio Fazzone, sempre attento alle vicende del partito in Ciociaria.

Il punto vero è che da Forza Italia sono in fuga non solo diversi esponenti politici, ma soprattutto gli elettori. Attratti invece dalla Lega. Si va avanti a colpi di tregue armate imposte da Antonio Tajani. Ma così non si arriva da nessuna parte.

Per i Democrat si avvicina l’appuntamento delle primarie. In provincia di Frosinone c’è una tradizione “bulgara”: tutti dalemiani ai tempi di D’Alema, poi renziani e adesso tutti zingarettiani. Insomma, le correnti seguono il vento. Magari a volte delle posizioni di avanguardia, coraggiose e solitarie, servirebbero perlomeno a ravvivare il dibattito.

Ma più in generale ci si ostina a non vedere quello che è sotto gli occhi di tutti: gli spazi si stanno riducendo per tutti, soprattutto per la politica.

Quando tra qualche mese sarà operativo il Consorzio industriale unico, quale ruolo avranno Asi e Cosilam? Stesso discorso per la rappresentanza di associazioni di categoria e sindacati: l’asse si è già spostato a Roma e, in parte, a Latina. Da tempo. D’altronde, se il tessuto industriale ed imprenditoriale continua a indebolirsi, se i disoccupati aumentano e i residenti diminuiscono, quali sono le prospettive? Pochissime per tutti.

Anche, anzi soprattutto, per la politica. Meglio, per i politici.

Un ultimo esempio: il tema del futuro dello stabilimento Fca di Piedimonte San Gemano è cruciale per l’intera economia territoriale. In altri tempi si sarebbe riusciti ad influire in sede di redazione della manovra economica. Sulle linee generali, agendo cioè sulla misura dell’ecotassa. Ora invece si oscilla tra rassicurazioni poco rassicuranti e proteste dal sapore partitico. Nemmeno politico.

E in fondo, come canta Fabri Fibra, il peso delle parole dipende da chi le dice.

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