Chi è e chi crede di essere Fabio Panetta (il ritratto di G. Perna)

Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Ciociaro come Fazio, il direttore di Bankitalia è un giovanotto di 59 anni, ha carattere spiccio ed è morso dall'ambizione: il suo assalto alla poltrona di Governatore non tarderà. Il ritratto di Perna su La Verità.

Giancarlo Perna per “la Verità”

Incoronato una settimana fa direttore generale di Banca d’ Italia, Fabio Panetta prepara la spallata decisiva. Il suo assalto alla poltrona di Governatore, dove ora siede Ignazio Visco, non tarderà.

L’ uomo, un giovanotto di 59 anni, ha carattere spiccio ed è morso dall’ambizione. D’ altronde, Visco, 10 anni più anziano, non nasconde di essere provato dagli affanni: banche fallite, bail in, l’incognita di un’indagine parlamentare sul sistema creditizio. Se anche ringalluzzisse, per reazione spontanea o un ciclo di cure rivitalizzanti, ci penserebbe Panetta a non dargli tregua fino alla resa.

Panetta, in carriera da 34 anni, è un cigno nero nel sinedrio di Via Nazionale. Mentre i colleghi sembrano usciti da un corso di dizione, lui ha cadenza romanesca. Gli altri indossano grisaglie fumé, Fabio insiste con gli abiti blu ferroviere. Insomma, pare un fratone chiassoso tra prelati bisbiglianti. In diversi non lo amano.

Gode invece di simpatie politiche. Il governo gialloblù ha approvato all’unisono la nomina a direttore generale, voluta da Visco per ragioni che vedremo. Lo ha favorito l’atteggiamento platealmente contrario al bail in e all’arcigno rigore dell’Ue verso le banche italiane. In realtà, Panetta non ha fatto granché, eccetto qualche battuta e alzata di ciglio. Come tutti in Bankitalia, anche Fabio si è piegato alle leggi europee e alle norme nazionali che le recepiscono. Tuttavia, i suoi modi combattivi, a tratti pugilistici, hanno dato all’ occhio.

Gli è bastato per distinguersi dai colleghi che si aggirano, ovattati e composti, nel boudoir di Palazzo Koch (sede umbertina di Bankitalia), detestati dai politici che li considerano un pugno di mummie privilegiate.

A dargli una mano, Carlo Calenda. Il focoso piddino, avendolo visto all’opera a Bruxelles, dove Panetta è di casa, lo ha percepito come anima gemella. «Ha sempre lavorato in Europa in modo molto efficace», ha detto un giorno di lui. Da allora, la generica lode è comparsa in ogni articolo che riguardasse il nostro Fabio. Dicono sia lo stesso Panetta a evocare l’encomio tutte le volte che incrocia un cronista.

Ne frequenta diversi, firme dei giornali che contano, e ne coltiva l’amicizia con discrezione. Il risultato è che, quando costoro scrivono di lui, il tono è rapito e Panetta sembra John Maynard Keynes.

Intendiamoci, Fabio è uomo preparato. Dopo la laurea in Economia, ha preso un Phd alla London school che, se non ha britannizzato i suoi modi, ne ha gonfiato il curriculum.

Tant’ è che, quando nel 1985 l’ allora Governatore, Carlo Azelio Ciampi, se l’è visto davanti, l’ha subito messo all’ Ufficio studi, che della Banca è il Gotha, facendone l’estensore dei propri discorsi monetari. Con il successore, Antonio Fazio, si istaurò un’ affinità tribale: ciociaro per nascita, Fazio; ciociaro per origini, Panetta. Il nostro è, infatti, figlio di Paolino, per decenni sindaco di Pescosolido, figura eminente della Dc nazionale e consigliere di ministri, negli anni Ottanta del secolo scorso.

Tuttofare di Fazio

Di Fazio, Fabio è stato il tuttofare e l’ accompagnatore permanente alle sessioni della Banca centrale di Francoforte. In tal modo, acquisì quella che è, tuttora, la sua forza professionale: Banche e Ue. Quando arrivò Mario Draghi, nel 2005, la carriera di Panetta pareva finita. Fazio, dopo un paio di passi falsi, fu drammaticamente defenestrato e la sua disgrazia minacciava di estendersi al pupillo.

Ma abile e di 7 vite, Fabio si accostolò a Draghi, che veniva dalla Ragioneria dello Stato ed era digiuno di Bankitalia, facendogli da cane da trifola. Lo introdusse ai misteri dell’Istituto e nei meandri di Bce e Ue. Così, mettendo a frutto le esperienze con i precedenti Governatori, s’ingraziò quello nuovo. Draghi, grato, gli affidò il ruolo di coordinatore di Bankitalia nell’eurosistema, inserendolo nel cuore delle cose.

Con l’era di Visco, cominciata nel 2011, ci fu l’apoteosi del Nostro. Ignazio, è timido, prolisso, titubante. L’ altro, spavaldo e sbrigativo. Tra i 2 si creò una chimica degli opposti.

Visco trovò nel rude Panetta le sicurezze che gli mancavano e lo cooptò nel Direttorio, motore di Bankitalia. Un bel balzo di carriera.

BALUARDO PER LE INDAGINI

Concluso lo scambio molecolare, il superiore scoprì che il subordinato gli metteva i piedi in testa. Si racconta bonariamente che nelle recondite riunioni dei 5 componenti, Fabio, sia pure con i dovuti modi, mobbizzi Ignazio. Quando il Governatore inizia uno dei suoi interminabili discorsi – da morire di pizzichi, anche in tv – il solo che osi fargli il segno di tagliare, è Panetta che poi, con una battuta da commedia all’ italiana, incanala il dibattito sul restante dell’ordine del giorno.

Visco fa buon viso per due ragioni. L’ accennata cedevolezza psicologica che lo spinge ad abbozzare e la speranza che il suo vice, forte dei buoni rapporti con la maggioranza politica, gli serva da baluardo quando sarà avviata l’indagine parlamentare sulle banche.

In un paio di occasioni, le cronache si sono occupate di Panetta suo malgrado. La prima, ai tempi di Mafia Capitale. Massimo Carminati, detto il Cecato, uomo a mezzadria tra malavita e neofascismo, fu intercettato mentre diceva: «Fabio Panetta è uno dei migliori amici. Da ragazzini, facevamo le vacanze insieme. Oggi, è il numero 3 della Bce», e concluse: «Ogni tanto ci sentiamo».

Il Cecato confondeva Bce con Banca d’Italia, ma la storia dell’antica amicizia destò allarme. Prima che la cosa montasse, Panetta dichiarò: «Eravamo da ragazzi nello stesso quartiere dell’ Eur. Posso dire con certezza che non lo vedo e sento da 30 anni almeno». Era il 2014 e Fabio aveva allora 54 anni. Quindi, fino ai suoi 24, avevo frequentato il futuro boss. La cosa finì lì.

LA CONSUETUDINE CON CDB

L’ anno scorso venne invece fuori un’ altra storia, più di costume. Il presunto insider trading di 3 anni prima, protagonista il broker di Carlo De Benedetti, padrone di L’Espresso, La Repubblica, eccetera… L’ Ingegnere, saputo in anticipo della riforma delle banche popolari, previde l’ impennata azionaria e incamerò una plusvalenza di 600.000 euro, puntando in Borsa. Sospettato di informazioni privilegiate, fu interrogato dalla Consob.

De Benedetti raccontò che il primo a ragguagliarlo era stato Panetta, allora vicedirettore. «Il 14 gennaio 2015», testimoniò, «ero andato a trovarlo in Banca d’ Italia, come faccio abitualmente, una o due volte al mese. Riaccompagnandomi all’ascensore, mi disse: “Finalmente il governo ha deciso quella roba che noi chiediamo da anni, cioè la riforma delle popolari”».

Aguzzate le meningi, l’abile imprenditore ticinese si precipitò l’indomani a Palazzo Chigi, da Matteo Renzi, allora premier. Costui, dopo una chiacchierata, accompagnandolo anche lui all’ascensore, gli dette la conferma che aspettava: «Ah! Sai, quella roba delle popolari la facciamo». Il giorno dopo, 16 gennaio 2015, De Benedetti speculò sulle azioni, dicendo al suo agente: «Ho la notizia da Renzi». Non disse Panetta, poiché ubi maior.

IL PAPAVERO CANTERINO

Resta il mistero di un alto papavero della banca centrale che parlotta regolarmente con un proprietario di giornali che dovrebbero controllarne l’operato. Captatio benevolentiae?

Sconcertante, infine, che al medesimo papavero sfugga dal sen la voce a unico vantaggio del solito noto. Da Renzi mi aspetto tutto. Da lei, Panetta, 10 Ave Maria.

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