Pd, la pazza idea a Cinque Stelle di Nicola Zingaretti

Foto: © Imagoeconomica, Benvegnu' Guaitoli

INCONFESSABILE RETROSCENA - L’ordine è perentorio: “farla pagare” a Matteo Salvini, cercando di trovare i numeri per un altro Governo. Ce li hanno soltanto Democrat e pentastellati. Il prezzo da pagare sarebbe lo strappo di Renzi e Calenda, ma a quel punto Zingaretti potrebbe allearsi con un’altra forza di sinistra. E se anche non dovesse riuscire il “ribaltone”, ci sarebbe una piattaforma diversa.

La “pazza idea” sulla quale si sta lavorando è questa: Roberto Fico presidente del Consiglio di un Governo che vari la manovra economica e poche altre cose. Un Governo con il sostegno del Movimento Cinque Stelle e del Partito Democratico.

Probabilmente non avrebbe i numeri, probabilmente “abortirà” ancor prima di provare a nascere, forse sin dalle prossime ore. Ma è esattamente questa la piattaforma alla quale stanno lavorando i leader Democrat e pentastellati. Il dispaccio ai colonnelli è perentorio: negare, negare, negare. Fino all’evidenza. Come negli ordini dati a Rambo prima della missione nella giungla vietnamita: “Se ti catturano, negheremo perfino di conoscerti”.

I due assiomi

Il ragionamento prende le mosse dalla realpolitik ed è basato su due assiomi. Il primo: elezioni ad ottobre consegnerebbero l’Italia ad una Destra egemonizzata da Matteo Salvini, ponendo l’Italia ai margini dell’Unione Europea e parte integrante del Gruppo di Visegrad, quello dei nazionalisti, quello dei “muri”, quello del no ai migranti. Quello che non conta nulla né a Bruxelles né a Strasburgo.

Uno scenario del genere farebbe impennare lo spread e forse rappresenterebbe anche il primo passo per l’uscita dall’Euro di quella che resta comunque la terza economia continentale. Ma con l’uscita dall’Euro l’economia italiana sarebbe destinata alla distruzione.

Il secondo assioma è che la nostra resta una democrazia parlamentare e che il risultato che conta alla Camera e al Senato è quello del 4 marzo 2018: Movimento Cinque Stelle primo partito, Pd secondo. Lega soltanto terza.
I Cinque Stelle stanno cambiando impostazione. Luigi Di Maio potrebbe restare capo politico ad una sola condizione: dare alla base del Movimento lo “scalpo” di Matteo Salvini.

La scelta è obbligata: Roberto Fico uomo delle istituzioni, Alessandro Di Battista a guidare una campagna elettorale avvelenata.

“Dibba” ha già cominciato definendo quella di Salvini “una recita da vomito”. Scrivendo: “Nelle prossime settimane si potrebbero fare alcune cose straordinarie che il “Sistema” detesta: 1) tagliare 345 poltrone di parlamentari. Sono già passate 3 votazioni diamine, manca solo la quarta! 2) Togliere le concessioni autostradali ai Benetton. Tra poco arriva il 14 agosto, la data della tragedia del Ponte Morandi. 3) trovare soldi per la flat-tax (se fatta bene è una buona cosa) 4) far fare a Giorgetti i decreti attuativi per la legge sullo sport. Ma no, questo politicante di professione manda tutto all’aria. Il bello è che dirà in Parlamento che non si possono fare queste cose perché quelli del 5 Stelle lo trattano male, “poro amore”. Spettacolo da vomito di chi si è mascherato da protettore del Popolo ma che è schiavo del sistema“. 

Il super vertice

Naturalmente ce l’ha con Matteo Salvini, anche se non lo nomina. Ieri il super vertice tra Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio e altri big pentastellati. L’obiettivo è “farla pagare” a Salvini. Come? Provando a mettere in piedi un altro Governo. Se non ci si riesce, il tentativo rappresenterà comunque una prova generale. La base dei Cinque Stelle vorrebbe uno scenario del genere.

Sull’altra sponda, quella del Pd, il segretario nazionale Nicola Zingaretti ci sta pensando molto seriamente. D’altronde in un momento come questo c’è bisogno di atti straordinari per cercare di ribaltare la situazione. Perfino di un coraggio straordinario.

E Nicola Zingaretti le prove generali le ha fatte alla Regione Lazio, ente del quale è presidente. Attraverso quello che è stato già ribattezzato il “patto delle 3 di notte”. Tra il presidente del consiglio regionale Mauro Buschini (Pd) e Devid Porrello e Roberta Lombardi (Cinque Stelle). (leggi qui Il Retroscena. Così la ‘sintonia’ Pd-M5S ha blindato l’Aula della Regione Lazio)

Zingaretti ha due strade. La prima è quella di continuare a fare da mediatore tra le varie “correnti”, senza schiodarsi dal 22%. Al massimo può arrivare al 24%. Troppo poco. L’altra strada è quella di un’intesa con quella che si candida ad essere l’altra forza della sinistra italiana: i Cinque Stelle. Naturalmente senza più Beppe Grillo nei panni del vate.

Il prezzo da pagare

Il “prezzo” da pagare è una possibile doppia scissione: di Matteo Renzi e di Carlo Calenda. Entrambi potrebbero dar evita a forze centriste. Per l’ex rottamatore i Cinque Stelle sono come il crocifisso agitato sulla faccia dei vampiri. 

Ma se Renzi “strappa” fornisce l’alibi di ferro anche a Carlo Calenda per “strappare”. A quel punto Nicola Zingaretti resterebbe alla guida di un Pd spostato a sinistra, ma libero di allearsi con i Cinque Stelle guidati dal tandem Di Battista-Fico. Con Di Maio che in cambio otterrebbe un ruolo da “riserva di lusso”. Oltre al superamento della regola del doppio mandato.

Sta succedendo questo. Il tentativo ha il 10% di possibilità di riuscita. Ma è uno scenario per il prossimo futuro. Inoltre, c’è chi riferisce di un ragionamento sviluppato da Dario Franceschini. Più o meno questo: ma sicuri che Renzi e Calenda rinunceranno ad una campagna elettorale con il simbolo del Pd per lanciarsi in un’avventura centrista con così poco tempo a disposizione?

Già. Nel dubbio potrebbe anche succedere che in Parlamento l’accordo alla fine nasca da solo. Magari sulla mozione di sfiducia nei confronti di Matteo Salvini. Il Pd spingerà affinché venga votata prima di quella presentata dalla Lega contro il premier Giuseppe Conte.

Soltanto un caso?

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